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Il Governo delle Transizioni nel Settore della Costruzione e dell'Immobiliare

Cosa occorre fare per riuscire a governare le transizioni che coinvolgono il settore della costruzione e dell'immobiliare? Di seguito una nota del prof. Angelo Ciribini.

Nel mezzo della transizione ecologica e della transizione digitale

Da tempo si spendono fiumi di inchiostro digitale per ribadire che i differenti settori economici, tra cui, naturalmente, il settore della costruzione e dell'immobiliare, si trovino nel mezzo della transizione ecologica e della transizione digitale: sarebbe forse meglio dire che quest'ultimo giaccia in mezzo al guado di un fiume impetuoso, le cui correnti appaiono imprevedibili e forse ingovernabili.

Tutto ciò porta gli osservatori e gli attori del settore a interrogarsi spesso sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale, nonché sulle relazioni che intercorrono tra la gestione della commessa, del rischio e dell'informazione, stretti tra gli imperativi della neutralità climatica e le ansie causate dal rialzo dei prezzi dei materiali e delle lavorazioni e dalla crisi della logistica.

Questa situazione induce a un atteggiamento piuttosto schizofrenico, oscillante di continuo tra le aspirazioni al rilancio e il timore della recessione: di questo sentimento è iconica la rappresentazione, ossessiva, del Super Bonus 110% quale emblema delle attività fraudolente e dell'inefficienza degli esiti, e la Rigenerazione Urbana, associata al Partenariato Pubblico Privato, come prospettiva determinante e obbligata per i prossimi lustri.

Il ruolo della digitalizzazione

All'interno di una congiuntura così incerta e complessa, la digitalizzazione, che assieme alla sostenibilità e alla resilienza costituisce uno degli assi portanti della strategia di sviluppo del settore elaborato dalla Commissione Europea, così come dal Regno Unito, è stata spesso narrata e proposta in termini salvifici e progressivi, oltreché autoreferenziali.

In un certo senso, la digitalizzazione è contemplata entro un racconto che evoca le «magnifiche sorti e progressive» del XIX secolo.

Il che è tanto più accentuato dalla considerazione per cui essa stia progressivamente e inesorabilmente dilatando i propri confini originari, dal cosiddetto e famigerato BIM, ossia Building Information Modeling, sino a orizzonti prossimi alla Quantum Era.

Pur dovendo forzatamente e auspicabilmente perseguire le molteplici potenzialità della età trasformativa che si para innanzi, anche a prezzo di fughe in avanti, è ora urgente, almeno per il Nostro Paese, ricondurre la tematica al principio di realtà, vale a dire a considerare con pazienza e con umiltà le pre-condizioni in cui versa il settore, per quanto, da alcuni lustri a questa parte, sia oggettivamente cambiato, come dimostra la ripartizione del mercato tra nuove costruzioni, sostituzioni e intervento sull'esistente (conservazione, recupero, riqualificazione).

Il punto è che restano sul tavolo questioni strutturali inevase che concernono la dimensione degli attori, la loro capacità di integrarsi, superando parzialmente le identità forti dei tessuti committenti, professionali e imprenditoriali, la loro cultura industriale, cioè la loro abilità e volontà di riconfigurare i processi in maniera meglio governabile e a controllare più efficacemente l'uso dei fattori produttivi.

È palese, peraltro, che la risoluzione a queste sfide epocali, benché annose, non possa essere unicamente affidato al quadro regolamentare, che si tratti di codice dei contratti pubblici, di testo unico sull'edilizia privata, di legge sulla rigenerazione urbana o di quant'altro.

Bisogna, infatti, riconoscere che sia indispensabile avviare una riflessione priva di pregiudizi e di approcci difensivi, almeno nel contesto del versante dell'offerta.

Cosa occorre fare?

Per fare ciò è consigliabile, anzitutto, dismettere il récit scandalistico relativo al Super Bonus 110%, per quanto non scevro di notevoli criticità, allontanarsi dall'ambito della frode come evento centrale (così come dal ricorso a video o ad altri mezzi multimediali che dovrebbero fornire chissà quali assicurazioni e riscontri, eventualmente notarizzati digitalmente), per concentrarsi sulle buone pratiche e, particolarmente, sui lasciti sistemici che il provvedimento potrebbe generare nei confronti della ben più impegnativa Rigenerazione Urbana.

Non dimentichiamo, del resto, che alcuni soggetti, come le Utility, nei casi migliori, stanno, appunto, utilizzando la palestra del Super Bonus 110% per internalizzare i sapere centrali da spendere nella Rigenerazione Urbana.
Non è un caso che i tre principali piani argomentativi e operativi che il Super Bonus 110% ha evocato siano dati dalla costituzione di ecosistemi e di piattaforme digitali abilitanti una piena integrazione tra realtà professionali eterogenee e tra di esse e quelle imprenditoriali, afflitte da relazioni non agevoli all'interno delle filiere e delle catene di fornitura, nonché da rinnovati rapporti del settore con gli ambienti finanziari, che i criteri ESG (Environmental Social Governance) potrebbero prossimamente stressare in merito a capitali di debito e di rischio, fondamentali per supportare la Rigenerazione Urbana.

Il terzo elemento da considerare ha, naturalmente, riguardato l'interazione tra la amministrazione pubblica e i promotori immobiliari, oltre che tutti gli operatori economici, coinvolti negli interventi rigenerativi, specie nei termini partenariali, in senso lato.

D'altra parte, anche lo stesso Piano di Ripresa e di Resilienza (PNRR), andrebbe riletto alla luce della priorità non solo delle riforme cogenti, ma pure delle riconfigurazioni volontarie, rispetto ai sostegni e ai prestiti, tanto più verificando che vi siano le coperture anche per la Operational Expenditure per la gestione del ciclo di vita dei cespiti realizzati.

Per governare le transizioni, al di là delle dichiarazioni di circostanza, ormai divenute una litanìa, è necessario ripensare con disincanto e con franchezza ai processi e alle relazioni che attualmente (o meglio, da lungo tempo) caratterizzano gli attori e i processi.

Ritenere di poter innestare i valori, i metodi e gli strumenti emergenti in un contesto che non abbia fatto davvero i conti con se stesso e con il proprio presente passato, significa rinunciare a governare le transizioni.

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