La demolizione è vietata se la domanda di condono è ancora in sospeso?
La sentenza n. 1106/2025 del TAR Campania conferma l’illegittimità di un’ordinanza di demolizione emessa su opere con domanda di condono pendente. Il TAR ribadisce il principio sancito dall’art. 38 L. 47/1985: senza la definizione della sanatoria, il Comune non può adottare provvedimenti repressivi.
L’art. 38 della legge n. 47/1985 prevede che la presentazione della domanda di condono edilizio (ovvero la richiesta di titoli in sanatoria), munita dell’attestazione del versamento dell’oblazione, sospenda i procedimenti sanzionatori, impedendo al Comune di adottare misure repressive come l’ordinanza di demolizione prima della definizione dell’istanza. Tale principio viene ribadito con la sentenza n. 1106/2025 del TAR Campania che ha annullato un’ordinanza comunale di demolizione adottata nonostante la presenza di una domanda di condono mai esaminata, risalente al 1986.
Condono edilizio e ordinanze di demolizione: cosa prevede l’art. 38 della legge 47/1985
Quando un cittadino presenta domanda di condono per un’opera edilizia realizzata in assenza o in difformità dai titoli abilitativi si apre un periodo di attesa che può protrarsi per anni, durante la quale l’amministrazione comunale deve valutare la conformità dell'istanza ai requisiti di legge e non potrebbe procedere ad ulteriori istruttorie sull’opera abusiva in attesa di tale valutazione.
Non sempre la risposta dell’amministrazione è però immediata e il tempo di attesa può protrarsi negli anni.
Come anticipato, in questo periodo di pendenza della domanda, sorge una questione giuridica di particolare rilevanza: il Comune può procedere con l'ordinanza di demolizione dell'opera oggetto di sanatoria?
A fornire dei chiarimenti in merito è l’art. 38 della prima legge sul condono edilizio (L. 47/1985), che al comma 1 cita testualmente:
“La presentazione entro il termine perentorio della domanda di cui all'articolo 31, accompagnata dalla attestazione del versamento della somma di cui al primo comma dell'articolo 35, sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative.”
Come è possibile riscontrare, l’articolo impone la sospensione dei procedimenti sanzionatori (come demolizioni o sanzioni pecuniarie) in pendenza di una domanda di condono e l'amministrazione comunale non può esercitare i propri poteri repressivi attraverso l'adozione di provvedimenti demolitori. Questa disposizione tutela i cittadini che hanno presentato regolare domanda di sanatoria edilizia, evitando che l'autorità pubblica possa procedere con sanzioni repressive mentre sia ancora in corso l'iter amministrativo di valutazione della richiesta.
Si tratta, quindi, di un meccanismo pensato per evitare che l’intervento repressivo venga attuato prima della verifica della sanabilità dell’opera.
La recente sentenza del TAR della Campania n. 1106/2025, ha chiarito l’applicazione di questo principio nel caso di un’ordinanza comunale di demolizione emessa nei confronti di opere per le quali era stata regolarmente presentata una domanda di condono edilizio, la quale però non era stata di fatto mai esaminata.
Il TAR ha riconosciuto l’illegittimità del provvedimento di demolizione ai sensi dell’art. 38 della legge n. 47/1985, confermando che l’Amministrazione non può procedere alla rimozione delle opere senza aver preventivamente definito la posizione del richiedente.
Condono edilizio pendente: annullata l’ordinanza di demolizione
Con sentenza n. 1106/2025 il TAR Campania ha accolto il ricorso promosso dal ricorrente contro un’ordinanza comunale che disponeva la demolizione di alcune opere edilizie, realizzate qualche decennio prima dal precedente proprietario.
In particolare, il provvedimento comunale contestava tre interventi:
- la pavimentazione esterna in cotto;
- il mutamento di destinazione d’uso del sottotetto ad ambiente abitativo;
- la realizzazione di un terrazzino mediante arretramento di una falda del tetto.
Secondo il Comune, tali opere erano state realizzate in assenza di titolo abilitativo, rendendo necessaria la loro demolizione ai sensi dell’art. 31 del DPR n. 380/2001.
Tuttavia, il TAR ha ritenuto fondati i motivi di ricorso presentati dal proprietario dell’immobile, sostenendo in primis che “(…) il rifacimento della pavimentazione di un camminamento è ascrivibile alla categoria delle “opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni” di cui all’art. 6, comma 1, lett. e-ter, DPR n. 380/2001. Per espressa qualificazione normativa, dunque, la pavimentazione di un’area esterna ad un fabbricato costituisce attività edilizia libera, come si evince, altresì, dall’interpretazione letterale del Decreto del 02.03.2018 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha approvato il Glossario delle principali opere edilizie realizzabili in attività edilizia libera che, nella relativa tabella, annovera al n. 1 la “pavimentazione esterna e interna”, consistente in attività di “Riparazione, sostituzione, rinnovamento, comprese le opere correlate quali guaine, sottofondi, etc.”
Il TAR ha dichiarato legittimo il primo intervento, richiamando anche il Glossario approvato con Decreto del Ministero delle Infrastrutture del 2 marzo 2018, che include la “pavimentazione esterna e interna” tra le opere realizzabili liberamente, ovvero senza necessità di titolo abilitativo. Quindi la pavimentazione, in tal senso, è considerata un’opera di manutenzione ordinaria, consistente in attività di semplice riparazione/sostituzione o rinnovamento di superfici, e pertanto non soggetta a permesso di costruire.

Ma ben più interessante è stato l’accoglimento del ricorso relativamente al cambio di destinazione d’uso del sottotetto e la modifica della copertura per la creazione del terrazzino.
Dagli atti di causa è emerso che il precedente proprietario dell’immobile avesse presentato istanza di condono nel 1986 per le opere contestate ma tale istanza non era mai stata formalmente definita dal Comune.
Il giudice ha rimarcato che dalle “(…) istruttorie documentali, acquisite agli atti di causa, hanno consentito di accertare che il Comune ha disposto la demolizione di opere per le quali era stata presentata (…) domanda di ‘condono edilizio (ex L. n. 47/1985), senza che, per come è incontroverso, la domanda in parola (…) sia stata “mai” preventivamente “definita” (…). Cosicché il Comune ha sanzionato opere oggetto di istanza di condono tuttora pendente, in violazione del regime di sospensione legale delle sanzioni, ai sensi dell’art. 38 L. n. 47/1985. Ed invero, la norma richiamata prevede che la presentazione della domanda di condono, accompagnata dalla attestazione del versamento della somma dovuta a titolo di oblazione, sospende il procedimento per le sanzioni amministrative.”
In presenza di una domanda di condono pendente, il Comune non può ordinare la demolizione dell’opera. Questo perché l’art. 38 della legge n. 47/1985 stabilisce che, in questi casi, il procedimento sanzionatorio deve essere sospeso fino a quando non venga definita l’istruttoria inerente alla domanda di sanatoria.
Inoltre il TAR chiarisce che “ (…) una volta presentata un'istanza di concessione in sanatoria o di condono edilizio, in assenza di preventiva determinazione su quest'ultima ed in pendenza del relativo procedimento, è illegittima l'adozione di un provvedimento sanzionatorio repressivo; e, ciò per non correre il rischio che, portata ad esecuzione l'ingiunzione a demolire o a ridurre in pristino stato, risulti vanificato un eventuale provvedimento di accoglimento dell'istanza di concessione in sanatoria per la conseguente impossibilità di restituire alla legalità un'opera non più esistente. Il provvedimento sanzionatorio, emesso senza aver prima definito il procedimento scaturente dall'istanza di sanatoria, incorre nel vizio di eccesso di potere per manifesta illogicità e ingiustizia, posto che il potere repressivo è in tale caso esercitato in base a presupposti malfermi (la sanabilità o meno delle opere) che pregiudicano le condizioni giuridiche e materiali necessarie perché si dispieghino gli effetti giuridici riconducibili all'eventuale rilascio della concessione in sanatoria”.
In sintesi, demolire un edificio mentre è ancora in corso la richiesta di condono potrebbe rendere impossibile regolarizzarlo qualora la domanda fosse poi accolta. Per questo motivo, i giudici ritengono che l’Amministrazione debba prima decidere sulla richiesta di sanatoria e solo dopo, eventualmente, adottare misure repressive come la demolizione. Così si evita di danneggiare in modo definitivo il diritto del cittadino a far regolarizzare l’opera.
È importante sottolineare che il TAR ha esteso alle più generiche istanze di sanatoria quanto la L. 47/1985 definisse per le domande inerenti al primo condono edilizio.
In conclusione, la sentenza del TAR Campania segna un punto fermo: fino a quando l’Amministrazione non si pronuncia sull’istanza di sanatoria, non può procedere ad alcuna azione repressiva.
La mancata definizione della pratica del 1986, sebbene risalente nel tempo, (o qualsivoglia altra istanza di titolo abilitativo in sanatoria) impedisce oggi al Comune di disporre legittimamente la demolizione delle opere oggetto della richiesta di condono. Tale pronuncia stabilisce un importante principio di correttezza e ragionevolezza nell’esercizio del potere repressivo in materia edilizia.
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L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.
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