LCIA: Valutazione degli impatti ambientali con la procedura di LCA
L'analisi degli impatti ambientali è una delle 4 fasi della procedura di LCA e serve a quantificare ed evidenziare gli effetti dovuti al rilascio di inquinanti nell'ambiente. Nella prima parte dell'articolo vengono elencati e descritti gli aspetti ambientali che saranno presi in considerazione, mentre poi si passerà ai metodi di valutazione degli impatti.
Valutazione degli impatti
L’analisi degli impatti (LCIA), è una delle quattro fasi della procedura di LCA e consiste nel quantificare ed evidenziare gli effetti ambientali che si generano a seguito del rilascio di inquinanti nell’ambiente (emissioni o reflui) e dal consumo di risorse associate ad un’attività produttiva (ISO 2006a).
Per procedere alla valutazione degli impatti del ciclo di vita di un prodotto è necessario prima di tutto avere chiari quali siano gli aspetti ambientali che si vogliono considerare nell’analisi. La quantificazione dell’impatto di un prodotto, di ciascuna categoria scelta, avviene tramite l’utilizzo di un indicatore, capace di fornire un'informazione sintetica relativa ad uno specifico fenomeno.
Le procedure di scelta, misurazione e valutazione (aggregazione in indici) degli indicatori sono soggette a una forte variabilità a seconda della regione, dell’utente decisore, delle condizioni ambientali, etc. Questa fase della LCA inoltre mira a quantificare, con opportuni metodi di caratterizzazione, l’entità del contributo complessivo che il processo o il prodotto ha nei confronti degli effetti considerati (ISO 2006b). In generale, gli effetti vengono definiti non solo a seconda delle potenziali ricadute sulla salute dell’uomo e sull’ambiente, ma anche in base al loro raggio di influenza introducendo così il concetto di scala dell’effetto.
Di seguito sono elencate le maggiori categorie d’impatto:
- Effetto serra;
- Assottigliamento dell’ozono stratosferico;
- Acidificazione;
- Eutrofizzazione;
- Formazione di smog fotochimico;
- Consumo di risorse: energia e materiali;
- Tossicità per l’uomo e per l’ambiente;
- Degrado del territorio.
Categorie di impatto
Nella fase di valutazione degli impatti, i risultati dell’inventario vengono espressi come contributi a rilevanti categorie di impatto ambientale. Ciò permette di rappresentare i risultati della valutazione del ciclo di vita in modo più schematico, rendendoli immediatamente comprensibili anche ai non addetti ai lavori. Le categorie di impatto possono essere divise in due grandi gruppi:
1. le categorie di input, ovvero gli impatti connessi con i materiali e le risorse utilizzati e consumati nello studio (LCA):
- L’estrazione di risorse abiotiche (depositi quali combustibili fossili e minerali, risorse quali acque sotterranee, sabbia e ghiaia, risorse rinnovabili quali energia solare, vento e acque superficiali);
- L’estrazione di risorse biotiche (legname, biomassa in genere);
- L’uso del territorio (crescita dello sfruttamento del terreno, perdita di biodiversità, impegno di spazio fisico).
2. le categorie di output, che si riferiscono invece a quegli impatti causati dai rilasci nell’ambiente di varie sostanze e comprendono ad esempio:
- L’effetto serra,
- L’assottigliamento dello fascia di ozono,
- La tossicità umana, l’ecotossicità (terrestre e acquatica),
- La formazione di smog fotochimico,
- L’acidificazione,
- L’arricchimento in nutrienti (detto eutrofizzazione per il comparto acqua).
Una volta scelta una certa categoria di impatto, si deve anche scegliere l’indicatore con cui rappresentarla. A seconda del metodo scelto per la valutazione degli impatti si utilizzeranno, come spiegato di seguito, certe categorie piuttosto che altre e per tali categorie certi indicatori piuttosto che altri.
L’effetto serra
L’effetto serra è un fenomeno naturale ed utile, che assicura il riscaldamento della terra fin dalle sue origini ed è legato alla presenza di alcuni gas atmosferici quali: l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), l’ozono(O3), il vapore acqueo (H2O) e il protossido d’azoto (N2O). Essi vengono definiti “gas serra naturali”.
La superficie terrestre assorbe la radiazione emessa dal Sole sotto forma di radiazioni a breve lunghezza d’onda (spettro del visibile) e ridistribuisce l’energia ricavata grazie alla circolazione atmosferica e oceanica. Questo flusso energetico viene bilanciato dalle radiazioni infrarosse a onde lunghe (infrarosso termico) che la Terra riemette verso lo spazio. Una porzione di questa radiazione infrarossa è tuttavia assorbita dai gas serra naturali presenti nell’atmosfera, provocando quel riscaldamento della superficie terrestre e dell’atmosfera conosciuto come “effetto serra naturale”, proprio come in una serra la temperatura tende conseguentemente a salire.
Senza questa regolazione la temperatura media della superficie terrestre sarebbe di circa 33°C più bassa, ovvero pari a -18° contro i 15° attuali e la Terra sarebbe un pianeta freddo e inospitale. Negli ultimi anni, però, la presenza di questi gas serra nell’atmosfera è andata continuamente aumentando, principalmente a causa delle attività umane, e sono stati immessi nell’atmosfera anche gas serra di natura sintetica.
Oggi, un crescente numero di osservazioni scientifiche fornisce il quadro che il pianeta si sta scaldando e considera una relazione stretta esistente tra l’incremento della concentrazione dei gas serra e l’aumento di temperatura del pianeta, e quindi che la maggior parte di questi cambiamenti climatici sia da attribuire all’uomo. Il contributo di un certo gas all’effetto serra dipende da quattro fattori:
- Le lunghezze d’onda alle quali il gas assorbe le radiazioni;
- La sua concentrazione nell’atmosfera;
- La sua capacità di assorbimento intrinseca;
- La sua eventuale interazione con altri gas atmosferici.
Per comparare gli impatti dovuti all’emissione di differenti gas serra, ad ogni sostanza è stato assegnato un potenziale di riscaldamento globale (GWP, Global Warming Potential), che esprime il rapporto tra l’assorbimento di radiazione infrarossa causata dall’emissione istantanea di 1 kg di tale sostanza e quello causato da una stessa emissione di anidride carbonica (sostanza presa come riferimento).
La formulazione dell’indice GWP più semplice e diffusa è basata sull’integrazione temporale della media globale del Forzante Radiativo RF di una emissione a impulso di 1 kg di composto confrontato con quella di 1 kg del gas di riferimento, vale a dire la CO2, il cui calcolo è stato sviluppato nel primo rapporto del 1990 ed adottato per l’utilizzo nel Protocollo di Kyoto. Il GWP di un composto è dunque dato da:
• RF [W/m2]: Forzante Radiativo determinato a livello della tropopausa. Se non vi sono ulteriori specificazioni, RF si riferisce alla media globale. Nei report dell’IPCC il valore di RF per ciascun agente è spesso riportato come differenza di RF tra la data di uscita del rapporto e l’inizio dell’era industriale (1795). La definizione di Forzante Radiativo, perfezionata nei successivi tre rapporti, è la seguente: “il forzante radiativo rappresenta il cambio netto di irradianza che si registra alla tropopausa, dopo che sia stato consentito alle temperature stratosferiche di riassestarsi al nuovo equilibrio radiativo e considerando la superficie, le temperature e le condizioni ambientali della troposfera costanti”;
• TH (time horizon): rappresenta l’orizzonte temporale sul quale è fondata l’analisi del GWP.
• ai: efficienza radiativa, rappresenta la variazione di RF per ogni incremento unitario della concentrazione dell’agente i in atmosfera;
• Ci(t): concentrazione dell’agente in funzione del tempo.
• La formula esposta fornisce il potenziale di riscaldamento globale assoluto dell’agente i rispetto all’agente di riferimento, che, come già detto, in tutti i rapporti dell’IPCC è assunto essere la CO2.
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