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Nuovi MATERIALI ad ATTIVITÀ POZZOLANICA per la produzione di LEGANTI IDRAULICI

Riassunto
Questa memoria intende fare brevemente il punto sulle conoscenze acquisite in merito ai materiali ad attività pozzolanica (MAP) ed ai relativi cementi di aggiunta, con particolare riferimento alle più recenti tecniche di studio adottate. Dopo un’introduzione di carattere storico, che analizza l’evoluzione del concetto di pozzolanicità, la nota mette l’accento sull’estesa gamma di MAP attualmente disponibile, soffermandosi sulle tecniche d’indagine, da quelle tradizionali e consolidate alle più innovative. Attenzione particolare viene posta alla presentazione degli studi più recenti, che hanno introdotto per la prima volta nella tematica dei cementi pozzolanici l’analisi diffrattometrica in situ con radiazione di sincrotrone

Introduzione
La produzione di cemento è uno dei processi industriali con più largo impiego di materie prime ed energia. Il suo contributo all’emissione antropogenica globale di CO2, il più importante dei gas-serra, è stimato intorno al 7-8%, essendo connesso sia a fenomeni di combustione che alla decomposizione termica del calcare.

La sfida che oggi l’industria del cemento è chiamata ad affrontare è quella di produrre leganti sostenibili, riducendo il consumo di energia e le emissioni di CO2, senza incidere negativamente sulla durabilità e sulle proprietà meccaniche del prodotto finale.

Diversi sono gli approcci individuati per contenere i consumi di energia termica e la generazione di gas serra4: (i) utilizzazione di cementi speciali ottenuti da clinker non Portland; (ii) impiego, per la produzione di clinker di Portland, in sostituzione parziale del calcare, di scorie siderurgiche o ceneri volanti ad alto tenore di ossido di calcio; (iii) produzione di cementi di miscela che sostituiscano in parte il clinker di Portland con materiali cementizi supplementari, in particolare materiali ad attività pozzolanica.
Quest’ultimo approccio è di certo quello che presenta aspetti più positivi, in quanto non dà luogo ad interferenze, se non limitate, con il processo di produzione convenzionale. Di fatto i cementi di miscela, sia pozzolanici (a base, cioè, di pozzolane naturali, ceneri di carbone, ceneri di pula di riso o fumi condensati di silice), sia alla loppa (basati su loppa d’altoforno ed altre scorie metallurgiche), non soltanto consentono una significativa “diluizione” del clinker, riducendo sia il fabbisogno di materie prime ed energia sia, conseguentemente, l’emissione di inquinanti e di CO2 in atmosfera, ma migliorano le prestazioni del cemento, specie in termini di diminuito calore di idratazione e di più elevata resistenza chimica nei confronti di svariati ambienti aggressivi.

Il ricorso ai cementi pozzolanici conta ben più di cento anni. In questo lasso di tempo si sono registrati notevoli sviluppi sia dal punto di vista tecnologico che della scienza di base.

Gli studi si sono, in particolare, concentrati sulla disamina dei meccanismi di reazione, anche allo scopo di ottenere indicazioni per il miglioramento del processo produttivo. Di recente c’è stata un’accelerazione in tali ricerche, che ha tratto particolare vantaggio dall’introduzione di nuove tecniche d’indagine.

Il presente contributo ha appunto lo scopo di fornire una panoramica delle più recenti metodologie di indagine sui materiali ad attività pozzolanica e sui loro meccanismi di azione, con particolare riferimento all’introduzione di tecniche diagnostiche, mutuate da altri settori della scienza e tecnologia dei materiali, ma finora mai applicate ai cementi.

Evoluzione storica del concetto di pozzolanicità
La pozzolana, come si sa, è un materiale di origine piroclastica, eminentemente vetroso e incoerente, che costituisce coltri più o meno potenti in aree soggette a remota o recente attività vulcanica. Il toponimo allude alla città di Pozzuoli, nei Campi Flegrei (Napoli), il luogo in cui, in età romana, il materiale veniva cavato ed esportato in tutti i paesi del Mediterraneo.

L’impiego originario della pozzolana, che risale ad epoche pre-romane, ma che conobbe il suo maggior fulgore nei secoli a cavallo dell’inizio dell’era volgare, era connesso alla sua peculiarità di rendere idraulica una malta di calce aerea. Il prodotto di
tale simbiotica mescolanza, cui si dà oggi il nome di cemento romano, ha consentito ai nostri progenitori di duemila anni fa di edificare monumenti che hanno vinto la sfida dei secoli, come il Pantheon a Roma, o di costruire opere infrastrutturali ed idrauliche di grande portata. Nella costruzione, in particolare, di opere idrauliche come le strutture portuali, gli acquedotti, le terme, le cisterne ed altro fu introdotto un secondo materiale ad attività pozzolanica, il coccio pesto (opus signinum), costituito da frammenti a varia granulometria di tegole e mattoni, che, mescolato alla calce, conferiva alle malte indurite una particolare
impermeabilità. Ne è splendido esempio la maestosa Piscina mirabilis di Miseno, nel comprensorio di Bacoli, ad ovest di Napoli.

Completa la famiglia dei materiali pozzolanici antichi il tufo zeolitico, un materiale litico in relazione genetica con la pozzolana, che i Romani utilizzarono non frequentemente, ma forse non casualmente, nelle loro costruzioni.

Inspiegabilmente la tecnica di preparazione e lo stesso impiego delle malte idrauliche a calce vennero di fatto dimenticati con la fine dell’Impero, così che l’ulteriore evoluzione in questo settore ha dovuto attendere diversi secoli. L’allestimento di malte a pozzolana ritornò in auge solo in pieno Rinascimento, quando venne anche introdotta la calce idraulica, un materiale ottenuto per torrefazione di calcari marnosi, che aveva pertanto un’intrinseca capacità idraulica.

La definitiva affermazione dei materiali ad attività pozzolanica si registrò alcuni secoli dopo con l’introduzione del cemento Portland all’inizio del XIX secolo. Il ricorso alla pozzolana, e ai materiali aventi analoghe proprietà, in miscela con il Portland, nel confezionamento di quelli che vengono definiti cementi pozzolanici, ha di fatto determinato una sostanziale modifica del concetto di pozzolanicità. Non siamo più in presenza di un materiale che conferisce idraulicità a una malta aerea, ma di un materiale multifunzionale, che ad un tempo (i) contiene, attraverso la nascita di fasi aventi a loro volta carattere idraulico, i possibili danni derivanti dalla formazione di portlandite per idratazione del cemento Portland, (ii) delimita i livelli di produzione industriale del clinker con conseguente riduzione nell’evoluzione di gas-serra, (iii) riduce i costi di produzione del legante attraverso l’impiego, per quanto parziale, di materie prime di basso costo o di prodotti di risulta industriale, che richiederebbero peraltro cospicui impegni finanziari per il loro smaltimento.

L’introduzione dei cementi pozzolanici risale alla fine dell’800. Uno dei primi studiosi italiani, che se ne occupò scientificamente è stato Orazio Rebuffat (1862-1938), docente di Chimica docimastica nella Scuola d’Ingegneria di Napoli. Di rilievo i contributi, a seguire, di altri due studiosi napoletani: Giovanni Malquori (1900-1967) e Riccardo Sersale (1921-
2013).

I materiali ad attività pozzolanica oggi
Nell’odierna classificazione adottata nella chimica del cemento i materiali ad attività pozzolanica (MAP) rientrano nella più ampia classe dei materiali cementizi supplementari (MCS), cui afferiscono anche la loppa d’altoforno ed alcuni tipi di ceneri volanti, che sono intrinsecamente dei leganti.

Da un punto di vista chimico i MAP sono materiali ad alto tenore di silice ed allumina. Presentano, pertanto, una più o meno elevata reattività nei confronti della calce (primaria o secondaria), dando luogo a prodotti con proprietà idrauliche. Le loppe (e alcune ceneri volanti) sono invece più povere di costituenti acidi e più ricche di calce, per cui attraverso attivazione chimica o termica possono interagire direttamente con acqua per dar luogo a silicati e alluminati aventi proprietà leganti.

La Fig. 1 compendia le varie tipologie di MCS impiegati o impiegabili nella produzione di cementi di miscela (con un asterisco si indicano i materiali con proprietà idrauliche intrinseche).


Come si desume dalla figura, il ricorso originario a materiali naturali, in primo luogo alla pozzolana, si è esteso via via ad una amplissima gamma di prodotti sia naturali, che, soprattutto, artificiali, fino all’adozione di materiali di risulta industriale o di veri e propri scarti. Naturalmente questo ha comportato e comporta un’attenta valutazione dei limiti entro i quali tali materiali possono essere impiegati, in maniera da ottenere il massimo delle attese nella sostituzione parziale del clinker con il MAP, ovvero effetti positivi sulle proprietà dei risultanti calcestruzzi, uniti ad un concreto vantaggio economico ed ecologico derivante dal loro uso.

Tra i materiali ad attività pozzolanica, grande attenzione è stato rivolta negli ultimi anni ai tufi zeolitizzati. Numerosi studi sull’argomento hanno infatti dimostrato che tali materiali presentano una vasta gamma di vantaggi, fra i quali: (a) ampia disponibilità con estesi depositi in molti paesi, (b) attività pozzolanica confrontabile, se non addirittura superiore a quella della tradizionale pozzolana naturale, (c) aumento della durabilità dei relativi calcestruzzi, (d) miglioramento della resistenza alle acque contenenti solfati e cloruri, (e) riduzione dei fenomeni di espansione dovuti alle reazioni alcali-aggregato, (f) rallentamento nel processo di formazione secondaria dell’ettringite, (g) riduzione del calore di idratazione del relativo cemento.

Gli studi sul meccanismo della reazione pozzolanica

dove SA simbolizza le fasi attive del MAP e CH la calce idrata, di origine primaria o secondaria (portlandite). I prodotti della reazione sono silicati di calcio idrati di varia composizione e alluminati di calcio (essenzialmente C4AH13), probabilmente carbonatati.

L’efficacia di un MAP è funzione sia della quantità di calce che è capace di fissare che della velocità con cui tale combinazione si realizza.

La quantità di CH combinato con la pozzolana dipende, a sua volta, dalla reattività e dalla concentrazione delle sue fasi attive (visto che, in genere, tutti i MAP contengono fasi inerti) e naturalmente dal rapporto calce-pozzolana nella pasta o nella malta. Questo rapporto ha una certa criticità, perché, data la natura non intrinsecamente idraulica dei MAP, ogni loro eventuale eccesso finisce per essere un inerte, che va a detrimento delle proprietà del legante indurito. La velocità con cui l’idrossido reagisce con la pozzolana dipende, oltre che dalla temperatura, anche dalla sua superficie specifica, che è certamente funzione della sua natura, ma anche di altri parametri, connessi con il processo genetico di formazione o con i procedimenti adottati per la sua preparazione.

Nonostante l’apparente semplicità della su riportata reazione, i meccanismi che regolano il suo svolgimento sono molteplici e complessi. Immaginando un sistema di sola calce, MAP e acqua, a seguito della miscelazione la soluzione si satura velocemente di idrossido e il pH sale a valori superiori a 12,7. Le fasi attive della pozzolana vengono attaccate dalla soluzione, decisamente alcalina, che favorisce la dissociazione dei gruppi terminali -SiOH in -SiO– e H+, caricando negativamente la superficie dei grani che andrebbe così a catturare il calcio presente in soluzione attraverso interazioni di tipo elettrostatiche. Sulla superficie si deposita un sottile strato amorfo ricco in Si e Al, il quale, a causa della sua instabilità, gradualmente si discioglie e si ricombina con gli ioni calcio, presenti in soluzione. Pertanto la reazione pozzolanica può essere vista come l’insieme di reazioni topochimiche e reazioni di dissoluzione-precipitazione. Sembra accertato che lo stadio limitante del complesso dei suddetti atti reattivi è nelle fasi iniziali della reazione pozzolanica e consiste nella dissoluzione delle fasi silicatiche/silico-alluminatiche presenti nel materiale pozzolanico.

La letteratura riporta vari metodi, diretti e indiretti, per la valutazione dell’attività di un materiale pozzolanico. I metodi diretti sono basati sul monitoraggio della presenza di idrossido di calcio e la sua conseguente riduzione nel tempo al procedere della reazione pozzolanica. Le tecniche diagnostiche adottate sono la classica titolazione acido-base, la diffrazione dei raggi X (XRD), l’analisi termogravimetrica (TGA) o calorimetrica. I metodi indiretti si basano, invece, sull’effetto della reazione pozzolanica su specifiche proprietà della malta indurita. Le proprietà selezionate per la valutazione sono, usualmente, la resistenza a compressione e la conducibilità elettrica o termica. Nell’ambito delle ricerche relative a questa tematica sono anche da segnalare studi di modellazione/simulazione, basati sui principi della dinamica molecolare (meccanica quantistica ab initio).

Recenti sviluppi nelle tecniche di indagine
Un notevole avanzamento nelle tecniche d’indagine sui cementi pozzolanici si è registrato di recente con l’applicazione dell’analisi diffrattometrica in situ con radiazione di sincrotrone. Tale radiazione, per la sua natura e le sue caratteristiche, comporta una serie di vantaggi rispetto alla convenzionale radiazione X: raggio monocromatico, elevato rapporto segnale/rumore, alta risoluzione, con conseguente alta velocità di acquisizione e possibilità di effettuare studi in tempo reale di processi in atto (Time Resolved Analysis).

La ricerca ha riguardato paste cementizie contenenti materiali ad attività pozzolanica, in particolare tufi zeolitici a base di clinoptilolite (pre-scambiata nelle forme Na, K, Ca) e cabasite. La sperimentazione si è concentrata sullo studio della cinetica di idratazione sia nelle sue fasi iniziali (campionando il processo all’incirca ogni 10 minuti fino ad 8 ore dall’inizio) sia a tempi più lunghi (fino a 20 giorni). È stato anche valutato l’effetto della temperatura, eseguendo prove da temperatura ambiente fino a circa 60°C. L’esito delle prove ha permesso di descrivere dettagliatamente la cinetica della reazione di idratazione, oltre che di evidenziare l’effetto di importanti parametri quali il contenuto cationico dello specifico MAP e l’alcalinità della miscela. È in particolare emerso che per i sistemi investigati esiste un periodo di induzione, precedente la nucleazione dei prodotti di reazione, che ha una stretta dipendenza dai cationi scambiabili della zeolite. Tali cationi influiscono, peraltro, sul pH del sistema e quindi sul processo di dissoluzione delle fasi zeolitiche, il che si riflette sulle caratteristiche dei prodotti di idratazione. È stato inoltre rilevato che la presenza di materiale zeolitico accelera l’idratazione del C3S del clinker.

Sulla base di questo approccio gli autori della presente nota hanno di recente condotto indagini analoghe, eseguite presso i laboratori di “Elettra Sincrotrone Trieste”. È stato affrontato lo studio del processo di idratazione di malte costituite da calce e zeolite sintetica. Lo scopo è stato quello di investigare sistemi a grado di variabilità basso o controllato in termini di chimismo e omogeneità strutturale, condizioni queste che di norma non sono conseguibili con l’impiego di materiali polifasici quali i tufi e di zeoliti naturali zeoliti che si denotano per avere rapporti Si/Al e contenuto cationico variabili.

Sono state analizzate malte di calce e zeoliti dei tipi A [LTA] e X [FAU]27, a diverso contenuto cationico (Na+, K+, Ca2+), e, con riferimento al secondo tipo, a diverso rapporto Si/Al (LSX, X e Y), allo scopo di determinare l’effetto del tipo di reticolo (LTA o FAU), della composizione reticolare e della natura del catione sul decorso del processo di idratazione. Sebbene l’elaborazione dei dati sia ancora in corso, i risultati ottenuti sembrano preliminarmente mostrare un deciso effetto del rapporto Si/Al sulla cinetica di reazione, e del catione extrareticolare (Na+, K+, Ca2+), sia sul tempo di induzione, che
precede la comparsa delle fasi idrate, sia sulla dissoluzione della fase zeolitica di partenza.

A titolo esemplificativo, in Fig. 2 si riportano a confronto porzioni di diffrattogrammi di paste di calce-zeolite A (nelle tre diverse forme cationiche), che illustrano l’evoluzione nel tempo delle fasi che si origine dalla reazione fra calce e MAP.

È evidente il diverso decorso della reazione al variare del catione extrareticolare, sia in termini di fasi formate, sia in termini di tempistica.

Conclusioni e sviluppi futuri

La conoscenza dettagliata dei meccanismi di reazione risulta fondamentale al fine di identificare i parametri in gioco nella reazione pozzolanica. I recenti sviluppi nelle tecniche di indagine hanno permesso di chiarire alcuni aspetti, ma resta ancora molto da fare.

L’approfondimento dei meccanismi di reazione e degli aspetti cinetici permetterà di migliorare i modelli di predizione del processo di formazione dei prodotti che evolvono nel corso della idratazione.


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