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Parere paesaggistico: cosa accade se la Soprintendenza si esprime oltre i termini previsti?

Il parere della Soprintendenza, sebbene vincolante nell’ambito dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 167, comma 5, del DLGS n. 42/2004, diventa inefficace oltre il termine perentorio di 90 giorni. La sentenza del TAR Campania n. 4406/2025 chiarisce le conseguenze giuridiche di un parere tardivo, ribadendo che, in tal caso, l’amministrazione competente può adottare la decisione finale anche in assenza o in difformità da esso.

Parere tardivo della Soprintendenza: quali conseguenze sull'autorizzazione paesaggistica?

Il parere della Soprintendenza rappresenta un pilastro fondamentale nella difesa del nostro patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale. Le decisioni di questo organo tecnico non sono una mera formalità burocratica, ma degli atti volti a custodire la memoria storica del territorio.

La Soprintendenza non deve essere vista come un ostacolo allo sviluppo, bensì come garante di uno sviluppo autentico e sostenibile, in grado di rispettare l’identità dei luoghi e la loro vocazione storica.
Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (DLGS n.42/2004) stabilisce precisi termini temporali entro i quali le amministrazioni competenti devono esprimere i propri pareri paesaggistici.

In particolare, l’art. 167 comma 5 stabilisce che “Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.

Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell'articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma.

Secondo l’articolo, la Soprintendenza ha un tempo di 90 giorni per esprimere un parere paesaggistico, tuttavia a volte tale tempistica non viene rispettata, e allora cosa accade se la Soprintendenza rilascia un parere non rispettando il limite temporale? Quale sarà la posizione del Comune? Può comunque basarsi su tale parere per negare l’autorizzazione paesaggistica?

Tutti i chiarimenti vengono forniti dalla sentenza del TAR Campania n. 4406/2025.

   

Autorizzazione paesaggistica: il parere vincolante perde efficacia se arriva oltre i termini

Il ricorrente, proprietario di un fondo aveva eseguito, senza titolo abilitativo, alcune murature di contenimento con l’eliminazione del pendio naturale e installato due pergolati in legno sul terrazzamento ricavato. Nel 2020 aveva presentato richiesta di accertamento della compatibilità paesaggistica secondo l'art. 167 del DLGS 42/2004 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

Il Comune trasmetteva la proposta di autorizzazione paesaggistica alla Soprintendenza il 10 marzo 2021.
Tuttavia, il parere negativo è arrivato solo il 23 dicembre 2021, con un ritardo di oltre nove mesi rispetto alla scadenza, seguito, cinque giorni dopo, dal provvedimento di rigetto dell’istanza da parte del Comune basandosi esclusivamente sul parere negativo della Soprintendenza.

La legge stabilisce chiaramente che: la Soprintendenza deve esprimere il proprio parere entro novanta giorni dalla ricezione della documentazione, termine definito espressamente come perentorio.
Il ritardo è stato quindi decisivo per l'esito del procedimento.

Il ricorrente insorge e presenta ricorso al TAR, contestando proprio la validità di un parere espresso ben oltre i termini di legge.

Il TAR sottolinea che “in via preliminare, si deve rilevare che la violazione del termine di cui all'art. 167, co. 5, del d.lgs. n. 42/2004 non comporta la formazione del silenzio-assenso, in ragione dell'inapplicabilità ai procedimenti di compatibilità paesaggistica della disciplina generale prevista dall'art. 17-bis della l. n. 241/1990. (…) Il c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio ha introdotto una procedura co-decisoria tra due Amministrazioni, segnatamente la Soprintendenza, competente nel rendere un parere vincolante, e l’Amministrazione preposta alla tutela paesaggistica, chiamata ad assumere la decisione finale, che si realizza secondo modalità peculiari, che non presuppongono un simmetrico potere di ciascuna parte pubblica di influire sul contenuto della decisione finale. (…)

In altri termini, “non occorre un accordo tra plurime amministrazioni co-decidenti – di regola, preposta alla cura di interessi pubblici differenziati – in ordine ad uno schema di provvedimento predisposto dall’Amministrazione procedente (implicante, come osservato, il potere di ciascuna parte pubblica di influire sulla decisione di merito), costituente il presupposto di applicazione dall’art. 17 bis cit.; bensì l’Amministrazione interpellata (Soprintendenza) è chiamata ad assumere la decisione sostanziale sul contenuto del provvedimento finale da adottare (senza essere vincolata da un previo schema di provvedimento), mentre l’Amministrazione procedente (preposta alla gestione del vincolo) è tenuta a statuire in conformità” (…).

Ciò non di meno, il superamento del termine di novanta giorni, di cui all'art. 167, co. 5, del d.lgs. n. 42/2004, rende il parere soprintendentizio tardivamente trasmesso inefficace, nel senso che viene meno la sua stretta vincolatività, con la conseguenza che l’Amministrazione procedente può determinarsi sul procedimento di compatibilità paesaggistica, non solo in assenza del parere, ma anche in senso difforme allo stesso, ove emanato tardivamente.

In altri termini, “deve ritenersi che l’inutile decorrenza del termine perentorio di novanta giorni ex art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42/04 determini – anziché la formazione di un atto di assenso tacito, a conferma dell’inapplicabilità dell’art. 17 bis l. n. 241/90 – la decadenza dalla possibilità di vincolare l’amministrazione procedente nella decisione finale; il che, tuttavia, non impedirebbe all’organo statale di intervenire nel procedimento per fornire il proprio contributo partecipativo, ponendo in essere un atto non obbligatorio e non vincolante.

(…) l’Amministrazione competente per il rilascio del provvedimento finale, valutando autonomamente tale contributo, al pari di quanto avviene per ogni elemento istruttorio, è tenuta, in ogni caso, a motivare in modo autonomo le ragioni per le quali l’intervento di trasformazione territoriale non sarebbe compatibile con i vincoli imposti dalle esigenze di tutela paesaggistica (…) Inoltre, rispetto alle ragioni ostative espresse dall’Amministrazione soprintendentizia sulla realizzazione di una muratura in cemento armato e di due pergolati, non emerge nel provvedimento finale un’autonoma valutazione dell’Amministrazione comunale sulla contrarietà dell'intervento edilizio alle prescrizioni di tutela paesaggistica.”

Il TAR stabilisce quindi che il superamento del termine perentorio di novanta giorni rende il parere soprintendentizio inefficace, ossia non più vincolante per il verdetto della PA sul titolo edilizio, venendo meno la sua stretta vincolatività. In questi casi però non viene a formarsi il silenzio-assenso, il procedimento di autorizzazione paesaggistica ha infatti caratteristiche peculiari che lo distinguono da altre procedure di co-decisione tra amministrazioni pubbliche. La Soprintendenza non è vincolata da uno schema di provvedimento predisposto dal Comune, ma ha il potere sostanziale di valutare autonomamente la compatibilità paesaggistica dell'intervento.

Ne consegue che quando la Soprintendenza supera il termine perentorio, perde la possibilità di vincolare l'amministrazione procedente nella decisione finale. Tuttavia, questo non significa che l'organo statale non possa più intervenire ma il suo eventuale contributo diventa facoltativo e privo di vincolatività, al pari di qualsiasi altro elemento istruttorio del procedimento.

Di conseguenza, l'amministrazione competente per il rilascio del provvedimento finale deve valutare autonomamente ogni contributo e motivare in modo indipendente le ragioni per le quali un intervento sarebbe, o meno, compatibile con i vincoli paesaggistici, non potendo delegare tale decisione, limitandosi a rinviare la stessa al parere soprintendentizio tardivo.

Nel caso specifico, il Comune non aveva effettuato alcuna valutazione autonoma e questa mancanza di autonoma valutazione, combinata con il ritardo nell'espressione del parere, ha reso illegittimo il provvedimento comunale.

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