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Pavimenti in pietra: il porfido del Trentino, ieri e oggi

In questo articolo un elogio al porfido del Trentino quale pietra da pavimentazione dalle eccezionali caratteristiche fisico meccaniche di resistenza e di forza

Dal Brennero a Santa Maria di Leuca, il viaggio virtuale di un cubetto di pietra

Che il porfido del Trentino, sia presente in ogni angolo d’Italia, dal passo del Brennero a Santa Maria di Leuca è un dato di fatto. Del resto in un viaggio virtuale si potrebbe partire dal più alto dei rifugi montani a Canazei o a Cortina d’Ampezzo, attraversare le colline venete, raggiungere la pianura con il parco Sigurtà di Valeggio sul Mincio, lambire le rive dei laghi di Garda o di Como, e spingersi fino alle innumerevoli riqualificazioni del fronte mare da Caorle a Reggio Calabria; o ancora passeggiare per le vie del centro di Bologna o Ferrara, sorseggiare un calice di vino in Piazza Bra a Verona, calarsi nello shopping di Corso Vittorio Emanuele o Piazza San Babila a Milano, respirare la storia nel cortile delle Armi del Castello Sforzesco. E in ogni caso trovare inesorabilmente un pavimento in porfido, specificamente del Trentino Alto Adige, in gran parte nel suo formato più classico o nelle sue declinazioni, ovvero il cubetto.

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Il porfido è spesso associato al concetto di eternità e richiamato quale simbolo di nobiltà e di prestigio, poiché nell’antichità veniva impiegato per la realizzazione di sculture o monumenti sepolcrali e sarcofagi. Chiunque in visita a Venezia, se non altro inconsciamente avrà avuto modo infatti di incappare nei 4 tetrarchi in porfido viola posizionati sull’angolo della Basilica di San Marco. Ma quello è il porfido di blocco dell’Egitto che con il porfido del Trentino in comune ha solo il nome!

Il porfido del Trentino, un materiale funzionalmente perfetto e protagonista del decoro urbano italiano

Personalmente e provocatoriamente preferisco associare il porfido alla definizione “sessantottina” che identificava un pavimento in cubetti come “…un’inesauribile miniera di proiettili per la fionda della protesta”. Se non altro perché la circostanza certifica che il materiale è ampiamente diffuso nei luoghi per cui è fisiologicamente destinato, ovvero nelle strade e nelle piazze. E fortunatamente oggi, grazie alle procedure di posa “normate”, non è poi così semplice scalzare un cubetto dalla sua sede.

Così ancora come tengo a precisare che il cubetto di porfido del Trentino nulla ha a che vedere con quello che molti definiscono “bolognino” (massello da cm 30 x 45-100, spessore 12/16 cm), o addirittura con il sampietrino romano, dalla inconfondibile forma a tronco di piramide di 18 cm di altezza.

La storia economicamente significativa del porfido trentino prende corpo attorno agli anni ’30 del novecento quando il materiale venne particolarmente apprezzato per le sue eccezionali caratteristiche fisico meccaniche di resistenza e di forza: un materiale funzionalmente perfetto per la pavimentazione delle strade urbane, ma anche per le stazioni di rifornimento carburante. Oppure per i tornanti di montagna vista l’impareggiabile dote di anti scivolosità, che per questo ha visto la presenza del cubetto perfino nelle famose “curvette” dell’autodromo di Monza.

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Del resto il porfido del Trentino si è fatto largo tra le pietre da pavimentazione anche grazie ad una copiosa manualistica che ha dettato regole e procedure operative progressivamente adattate all’evoluzione dei tempi, del traffico veicolare e delle relative sollecitazioni. Curioso è ricordare in proposito quanto riportato da un anziano selciarolo di sampietrini, Roberto Giacobbi il quale confermava che ”…agli inizi degli anni sessanta a Roma  si doveva rifare via Nazionale in cubetti di porfido e noi selciaroli romani non eravamo capaci di fare gli archi contrastanti, allora sono venuti appositamente dalle cave di Trento…”. Regole e procedure dunque che hanno fatto scuola e che sono state considerate pienamente valide per tutto il settore lapideo, tanto da trovare oggi la loro naturale collocazione nelle norme tecniche nazionali e nella UNI 11714-1 in particolare.

Ciò premesso è abbastanza evidente che al porfido molti hanno quasi fatto l’abitudine, perché questo materiale profondamente atipico, definibile il fratello rude e forte del più nobile marmo, è comunque un fratello molto duttile e versatile, che come già sottolineato ha trovato sempre una facile collocazione sia in ambiente urbano, che extraurbano, residenziale e commerciale con un imprinting molto ben definito.

Del resto del porfido si era accorto anche Fortunato Depero già nel 1937 quando creò un arazzo dedicato a questo materiale rappresentandone magistralmente tutte le caratteristiche, in un geniale manifesto che ancora oggi farebbe invidia al più brillante fra i marketing designers.

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Fortunato Depero, 1937

E se il passaggio del porfido da materiale “funzionale” a protagonista “estetico” e indiscusso della riqualificazione e del decoro urbano italiano, per piazze, centri storici e periferie è stato molto rapido, è altrettanto vero che il ruolo del porfido del Trentino calato in una spontanea simbiosi con il paesaggio in senso lato esiste praticamente da sempre.

Il materiale nasce e si estrae nella Valle di Cembra. Il versante sinistro è quello produttivo con le cave. Il versante opposto è invece caratterizzato da chilometri di muri e muriccioli costruiti a secco con pietre di porfido, in un intreccio reticolare di terrazzamenti dalle pendenze talvolta quasi insostenibili, ma in grado di contenere un terreno porfirico mineralogicamente perfetto per il Muller Thurgau: vino di montagna, simbolo oggi di una viticultura definita eroica.

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La valle di Cembra e la viticoltura eroica

Vino e porfido vivono da sempre un binomio indissolubile, non solo in Trentino Alto Adige dove tutte le cantine esprimono l’appartenenza al territorio anche attraverso la pietra che più le rappresenta. Ma vino e porfido è un matrimonio che si può riscontrare facilmente anche nelle tenute della Sicilia, della Romagna, del Friuli Venezia Giulia fino alla sua sublimazione con Il Carapace di Arnaldo Pomodoro a Montefalco.

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Il Carapace di Arnaldo Pomodoro a Montefalco (PG)

Le ragioni di questo diffuso apprezzamento possono essere molteplici. Personalmente mi limito a pensare  che nonostante la sua atipicità, il porfido sia di facile lettura per qualsiasi progettazione, con il piano cava già pronto così com’è per il pavimento o il rivestimento senza la necessità di doverne trasformare o alterare la superficie di calpestio. E pure le cromie possono essere di immediata percezione. Come si dice dal produttore al consumatore, dalla cava al pavimento finito praticamente senza passare per la fabbrica.

Proprio per quanto riguarda la colorazione del porfido, a livello squisitamente tecnico, si può affermare che il materiale, presentandosi stratificato in spessori variabili con grande mutabilità strutturale e cromatica si distingue per giaciture difformi influenzate da infiltrazioni e fessurazioni di complessa entità, unitamente a contaminazioni che sono comunque scaturite dall’ambiente naturale, con concrezioni e ossidi penetrati in forma e quantità diversificate da rendere impossibile qualsiasi uniformità cromatica. La cosa è rilevabile non solo a livello generale considerando la zona estrattiva nella sua interezza, ma addirittura all’interno delle singole aree estrattive dove le diversità e le disomogeneità possono caratterizzare un gradone per l’estrazione dall’altro.

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Che tradotto a livello più pratico significa banalmente che in tema di colorazione del porfido del Trentino esistono varietà cromatiche non dominanti che spaziano dal grigio, al grigio violetto, dal rosso al viola fino al ruggine acceso con la peculiarità che spesso i pigmenti che contraddistinguono un tipo di colorazione sono presenti contemporaneamente in percentuali differenziate anche in tutte o parte delle altre. Con il vantaggio che il progettista ha l’opportunità di sfruttare le cromie a disposizione con lo stesso approccio di un pittore attraverso la sua tavolozza dei colori. E dare vita a pavimentazioni sobrie ed equilibrate, quasi neutre, o al contrario soluzioni e toni accesi in pieno contrasto con il costruito. In ogni caso con uno strumento in più per creare accostamenti per la valorizzazione anche delle altre pietre.

Questo e tanto altro è il porfido del Trentino.