Permesso di costruire in sanatoria: Attenzione, i tempi per l’impugnazione partono dalla avvenuta conoscenza dell’atto!
Il permesso di costruire in sanatoria è uno strumento importante per mettere in regola lavori edilizi già eseguiti, se sono compatibili con il piano urbanistico e le leggi in vigore, anche se ci sono state irregolarità. La sentenza del Consiglio di Stato n. 1474/2025 chiarisce che il termine per fare ricorso parte dal momento in cui si viene davvero a conoscenza dell’atto, non solo dal fatto che l’opera è visibile.
Impugnazione dei permessi di costruire in sanatoria
Il permesso di costruire in sanatoria rappresenta uno strumento fondamentale per ristabilire la legalità nel settore edilizio. Esso è una misura che consente di ripristinare la regolarità nei casi in cui l’intervento sia comunque compatibile con la pianificazione urbanistica e le norme edilizie. Pur non volendo giustificare l’abusivismo, la sanatoria rappresenta una possibilità di rimediare agli errori minori, spesso frutto di disinformazione o trascuratezza.
Il permesso di costruire in sanatoria viene rilasciata dall’ufficio tecnico del Comune quando:
- si costruisce un nuovo edificio;
- si realizzano ristrutturazioni che cambiano la forma o le dimensioni dell’edificio;
- si cambia la destinazione d’uso dell’immobile in modo rilevante.
Il Decreto Salva Casa (DL 69/2024) ha semplificato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, rendendo più facile sanare certe irregolarità edilizie. La novità principale è che non è più necessario rispettare contemporaneamente le norme urbanistiche all’atto della realizzazione e sia quelle in vigore all’atto della richiesta di sanatoria (doppia conformità). Ora, per le difformità parziali basta che l’intervento sia:
- conforme alle regole edilizie in vigore al momento dell’esecuzione;
- conforme alle regole urbanistiche attuali.
Il permesso di costruire in sanatoria si differenzia dal condono edilizio, in quanto quest’ultimo può avvenire solo se previsto da una legge speciale, mentre il permesso in sanatoria si può sempre richiedere, anche se mediante una procedura piuttosto complessa che però prevede una maggiore restrizione delle casistiche sanabili (v. conformità di cui sopra).
L’impugnazione di un permesso di costruire in sanatoria deve rispettare una tempistica, infatti, se trascorrono più di 60 giorni, il ricorso è considerato tardivo e il giudice non potrà più valutarlo, anche nel caso in cui il permesso fosse viziato.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 1474/2025 offre un’occasione di riflessione sulle complesse tematiche legate all’impugnazione dei permessi di costruire in sanatoria, con particolare riguardo alla decorrenza dei termini per promuovere il ricorso. In particolare viene chiarito che chi vuole impugnare un provvedimento di sanatoria deve agire entro un certo termine che parte dal momento in cui si viene a conoscenza dell’opera e dei suoi possibili effetti negativi. Tuttavia, se si è a conoscenza da tempo dell’esistenza dell’atto e si è atteso troppo per istruire il ricorso, il giudice può dichiarare il ricorso come tardivo.
Sanatorie edilizie e diritto di ricorso
La recente sentenza del Consiglio di Stato sottolinea l’importanza del rispetto dei termini per l'impugnazione dei titoli edilizi, in particolare ci si sofferma sull’identificazione momento effettivo della decorrenza di tali tempistiche.
Il caso, riguardava una disputa riguardante la legittimità di un permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune di Milano nel 2013 a favore dei controinteressati per la realizzazione di una tettoia aperta su tre lati nell’area cortilizia di un locale, adiacente a un immobile di proprietà del ricorrente.
Quest’ultimo aveva presentato ricorso contro tale titolo solo nel 2020, sostenendo che, il termine per l'impugnazione dovesse decorrere dalla data in cui avesse avuto effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento, ossia, nel caso in questione, dal momento in cui l'amministrazione comunale avesse evaso la richiesta di accesso agli atti.
Il Consiglio di Stato, confermando la sentenza di primo grado del TAR Lombardia, ha respinto tale tesi, ritenendo il ricorso irricevibile per tardività.
In particolare evidenzia che “(…) ogniqualvolta emerga con chiarezza che la conoscenza dell’atto è avvenuta in epoca antecedente, esigenze di certezza del diritto e di stabilità delle situazioni giuridiche (…) trovino applicazione i principi generali sull’impugnativa degli atti. La “piena conoscenza”, infatti - il cui verificarsi determina il dies a quo per il computo del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale - si ha quando la parte interessata “percepisce” l’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sua sfera giuridica, in modo da rendere distinguibile l’attualità e la concretezza dell’interesse ad agire contro di esso.”
Quindi anche se è vero che, quando si parla di titoli edilizi rilasciati in sanatoria, il termine per fare ricorso non inizia semplicemente quando si vede fisicamente l'opera, come avviene di solito per le nuove costruzioni,
in questo caso specifico, chi voleva fare ricorso era già a conoscenza dell’atto prima. Di conseguenza si applicano le regole generali, secondo cui il termine per impugnare inizia da quando si viene a conoscenza dell'atto amministrativo, non da quando si vede il risultato (es. accesso agli atti).
Nel caso specifico, il Collegio sostiene che “(…) che il primo giudice né abbia omesso di valutare circostanze di fatto e di diritto evidenziate dall’appellante, né, men che meno, di esplicitare le ragioni del proprio convincimento. Esso al contrario radica dichiaratamente sull’approfondimento istruttorio che ha connotato il rilascio del permesso di costruire alla Società ricorrente, incentrato sulla tematica delle modalità di tutela dalle immissioni sonore provenienti dalla discoteca a confine, che rende poco plausibile l’ignoranza dello stato dei luoghi, appunto, e la conoscenza che ne doveva conseguire (ove non ne fosse già conseguita) del titolo giuridico sotteso agli stessi. (…)
Era dunque inevitabile che in sede di istruttoria della pratica edilizia fosse dato rilievo alla tematica delle rilevazioni acustiche, essendo peraltro emerso dalla relazione previsionale del clima acustico, il superamento del valore limite di emissioni notturne della classe IV (51,5 db (A) misurato, 50 db (A), valore limite) e il superamento del valore limite differenziale notturno (3db), ricondotto proprio all’attività della discoteca *** ***, ossia della discoteca limitrofa, di proprietà dei controinteressati. (…) Proprio applicando dunque le coordinate generali esposte in materia di calcolo dei termini per impugnare un titolo edilizio (…) non può che concordarsi con la soluzione assunta dal primo giudice, che ha richiamato, a riprova della conoscenza di una sanatoria risalente al 2013 sia i numerosi contenziosi tra le due proprietà, sia le interlocuzioni con il Comune, sia soprattutto la documentazione posta a corredo dell’istanza di permesso di costruire poi rilasciato in data 23 aprile 2019 (permesso n. 139). In particolare da quest’ultima si desume «che l’*** *** fosse a conoscenza, al momento della presentazione della domanda di permesso di costruire, non solo della presenza dell’attività, ma anche delle opere funzionali all’attività ricettizia, con la conseguenza che la richiesta di accesso non è idonea a procrastinare i termini di proposizione del ricorso […], in quanto la società aveva l’onere di attivarsi, non appena ha avuto contezza od anche il ragionevole sospetto che le opere realizzate per la nuova attività fossero sorrette da un titolo amministrativo abilitante».
Quindi la società ricorrente conosceva lo stato dei luoghi ed era a conoscenza dell’esistenza di un permesso edilizio che autorizzava quei lavori, conoscenza che risaliva almeno a febbraio 2018. In quel momento, avrebbe dovuto rendersi conto della situazione, ancorché fossero già noti gli effetti a lui nocivi, e della presenza del titolo edilizio. Ciò premesso la Corte delibera che il principio di piena conoscenza si realizza quando la parte interessata comprende l'esistenza di un provvedimento amministrativo.
Non è necessaria la conoscenza di tutti gli elementi dell'atto con la presa visione dello stesso, ma è sufficiente che si individuino l'atto stesso e il suo contenuto essenziale, e nemmeno l’acceso tardivo agli atti può essere visto come un presupposto giustificativo alla procrastinazione dei termini del ricorso.
Particolarmente significativo è il passaggio in cui il Consiglio di Stato afferma che il terzo interessato a contestare la legittimità di un intervento edilizio "non possa procrastinare a suo piacimento la richiesta di accesso agli atti inerenti una sanatoria", soprattutto quando la costruzione altrui, oltre ad essere nota, è addirittura rilevante ai fini della realizzazione dei propri progetti edilizi.
In conclusione, la decisione del Consiglio di Stato offre un importante avviso quando si intende contestare la legittimità di titoli edilizi, ossia la mera richiesta di accesso agli atti, se tardiva rispetto alla conoscenza sostanziale dell'intervento, della sua potenziale lesività e del titolo autorizzativo, non è sufficiente a spostare in avanti il termine decadenziale per l'impugnazione. Il termine per impugnare, anche nel caso di sanatorie, decorre dal momento in cui il terzo ha avuto effettiva conoscenza dell'esistenza del titolo che autorizza l’opera e della sua potenziale lesività, valutazione che va effettuata caso per caso in base alle peculiarità della singola fattispecie.
LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO È SCARICABILE IN ALLEGATO.
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