Quali figure professionali cercano le grandi società di ingegneria?
L’economia e le costruzioni ripartono a livello mondiale. Le grandi società di Ingegneria, dopo anni di sacrifici, tornano ad investire e ad assumere in figure professionali. È quanto emerge dal Report di KPMG sul mercato delle infrastrutture, di cui pubblichiamo un estratto su questo numero.
L’economia e le costruzioni ripartono a livello mondiale. Le grandi società di Ingegneria, dopo anni di sacrifici, tornano ad investire e ad assumere in figure professionali.
È quanto emerge dal Report di KPMG sul mercato delle infrastrutture, di cui pubblichiamo un estratto su questo numero.
Una nuova opportunità quindi per i tecnici italiani, ormai compressi da un Paese non più in grado di dare lavoro né a neolaureati né a figure in cerca di una ricollocazione.
Ma quali figure professionali cercheranno queste grandi aziende? KPMG evidenzia come il posizionarsi su nuovi mercati, con regole post crisi molto più selettive, porterà le società di ingegneria a cercare tecnici con alto grado di competenza, e non sempre solo sui temi della progettazione. Per esempio vi sarà una grande attenzione nei confronti della gestione del rischio.
Una preparazione che i tecnici italiani sapranno vantare e su cui potranno fare leva per prevalere su quelli provenienti da altri paesi?
L’impressione è che - al di là di chi opera già in grandi multinazionali - il nostro sistema soffra un po’ troppo di burocratismo, anche su questo punto.
Nel 2013 tutti gli ordini professionali - su indicazione del precedente governo - hanno dovuto definire e mettere in atto un sistema di formazione obbligatorio per gli iscritti.
Sappiamo che per quanto riguarda gli ingegneri la messa a punto del regolamento sia stata oggetto di un’ampia discussione, anche con passaggi molto critici, e ci sembra che di poterla valutare in molti punti in modo positivo.
Ma il problema non sta nel testo del regolamento bensì nel principio: burocratizzare il valore dell’ingegnere.
Qual è il problema allora? Il problema è che l’imposizione voluta dal precedente governo è già di per se obsoleta, perchè nasce da una visione italo-centrica, in cui si è portati a pensare che l’emergenza da affrontare sia che chi opera sul campo sia aggiornato, e in una logica che dà precedenza ai controlli piuttosto che ai valori, si trova la soluzione nella formulazione dei crediti obbligatori.
Certo, il regolamento ha molti paletti per evitare che questo obbligo si trasformi in una rassegna di “corsi pubblicitari” come accaduto per altre professioni, ma continua a posizionare l’asticella sul basso, e non ce n’era bisogno.
Quello che non è stato capito è che il nostro Paese non ha bisogno di ulteriori regole per garantire che il progetto di una casa sia realizzato da un ingegnere “aggiornato”, su questo ci sono già numerosi livelli di controllo: abbiamo invece bisogno di un sistema competitivo che sia in grado di fornire quei supporti per una competenza valorizzata e riconosciuta in ambito nazionale e internazionale. È un ragionamento che possiamo fare nell’ambito delle diverse specializzazioni.
Per un ingegnere elettronico conta di più un certificato di competenza “Oracle” o 30 crediti? Per un ingegnere civile che si occupa di perizia vale più un master con il prof. Augenti o 30 punti presi frequentando corsi organizzati da fornitori? Per un ingegnere gestionale conta più un master al MIT o …? Ripeto, il regolamento approvato quest’anno ha il pregio sia di frenare la realizzazione di corsi commerciali e prevede anche la valorizzazione in punti della partecipazione a iniziative di pregio esterne, per questo sottolineiamo che il problema non sta nel regolamento e nell’ottimo lavoro fatto, ma nel principio generale.
Nel mese di Giugno abbiamo pubblicato su INGENIO una lettera aperta che G. Di Loreto, presidente di ASCE, ha rivolto ai propri iscritti, dal titolo: "Dobbiamo alzare il tiro solo per tenere il passo con il resto del mondo”. Riprendo quanto affermato da Di Loreto: “Mentre scrivo questo, io sono in Corea del Sud, per incontrare le controparti di ingegneria civile ... e godermi lo scambio di idee ed esperienze. Questa esperienza mi ha permesso di osservare una cosa importantissima: in questi Paesi si sta dedicando una fortissima attenzione allo sviluppo della formazione e aggiornamento delle attività di ingegneria. E questo mi fa capire che c'è una corsa contro il tempo, e mi convince ancora di più che abbiamo bisogno in America di alzare il tiro per i nostri standard educativi. In questi eventi internazionali, mi trovo ad essere l'unica persona che non ha un dottorato di ricerca o un Master. Mentre guardo i miei coetanei di altri paesi con lauree e master avanzati in ingegneria, non posso fare a meno di pensare che negli Stati Uniti stiamo perdendo il nostro vantaggio competitivo. Peraltro, la maggior parte di quegli ingegneri hanno preso quei gradi avanzati presso università degli Stati Uniti, acquisendo le nostre conoscenze e competenze, per poi spendere quelle competenze a casa. Per noi che siamo già in America c'è la necessità di cogliere ciò che i nostri colleghi di altri paesi sviluppati hanno capito - che per rispondere alle sfide di ingegneria di oggi e di domani, un grado avanzato è un must. La buona notizia è che la conoscenza è qui - è per questo che i nostri coetanei internazionali vengono qui per l'istruzione. Siamo negli Stati Uniti, dobbiamo solo aumentare il nostro gioco - Sollevare l’asticella”.
Più che pensare quindi a come obbligare un ingegnere a raccogliere 30 punti l’anno - purchessia, perchè non si parla di specializzazione - avremmo preferito dal governo la spinta per realizzare un sistema con le Professioni e le Università mirato a fornire a coloro che ne sentono il bisogno un aggiornamento tecnico di alto livello, che poi sia valorizzato in ambito lavorativo. Penso a Master di specializzazione studiati non solo per i neo-laureati, ma anche per chi opera già sul campo e desidera acquisire nuove competenze. L’esperienza ci insegna che tutte le certificazioni obbligatorie hanno partorito solo un abbassamento di profilo qualitativo del settore in cui sono state introdotte. Per questo ci auguriamo che il CNI sappia raccogliere questa sfida e, dimostrando che si possono lanciare progetti di largo di respiro anche in un Paese che sembra non avere più fiato, possa trovare con le numerose eccellenze universitarie italiane l’accordo per costruire una nuova e moderna piattaforma di aggiornamento tecnico.
Andrea Dari
Editore INGENIO