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Quando la fiscalizzazione delle opere abusive non è possibile

La fiscalizzazione dell’abuso edilizio è un’eccezionale misura di sanatoria prevista in casi in cui la demolizione di opere abusive risulti tecnicamente impossibile senza compromettere la stabilità dell’edificio. Attraverso la sentenza del Consiglio di Stato n.2032/2025, si evidenzia come la legittimità dell’ordine di demolizione sia soggetta a controlli rigorosi e come la fiscalizzazione costituisca un’eccezione da valutarsi esclusivamente in fase esecutiva, con onere a carico del privato di dimostrare l’impossibilità tecnica di demolire senza danni.

La fiscalizzazione dell’abuso edilizio: quando la demolizione non è possibile

Cosa succede quando un’opera edilizia risulta abusiva, ma la sua demolizione metterebbe a rischio la stabilità dell’intero edificio?

Nell’ambito dell’edilizia, il contrasto agli abusi rappresenta uno dei principali obiettivi perseguiti dalle amministrazioni pubbliche, tuttavia, non sempre l’ordine di demolizione è tecnicamente eseguibile senza compromettere l’integrità dell’edificio.

Quando ciò accade, si ricorre a una misura eccezionale: la fiscalizzazione dell’abuso.
Essa è una forma di sanatoria parziale per opere abusive non demolibili ed è concessa solo in determinate condizioni ossia quando ci sia oggettivamente l’impossibilità di procedere alla demolizione senza arrecare danni ingenti al resto della struttura.

Quindi affinché ci sia la fiscalizzazione bisogna dimostrare che la demolizione potrebbe comportare danni all’edificio.
Naturalmente essa viene applicata qualora ci siano:

  • interventi realizzati in parziale difformità dal titolo abilitativo all’intervento edilizio;
  • interventi di ristrutturazione eseguiti in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire.

A prevedere la fiscalizzazione è anche il DPR 380/01. In particolare l’art. 33 comma 2 sottolinea come “Qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria […]”, quindi qualora un accertamento tecnico stabilisca che non sia possibile ripristinare lo stato dei luoghi senza causare danni strutturali o compromettere la stabilità dell’edificio, allora la demolizione viene surrogata mediante l'applicazione di un’opportuna sanzione pecuniaria.

A ciò si aggiunge quanto prescritto nell’art. 34 dello stesso DPR, che evidenzia come “Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al triplo del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al triplo del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.

Ossia se un immobile è stato realizzato in parte legittimamente (cioè in conformità al permesso di costruire) e in parte in modo abusivo, ma non è tecnicamente possibile demolire solo la parte abusiva (perché si danneggerebbe anche quella legittima), allora si evita la demolizione e si applica una sanzione pecuniaria pari al triplo del valore stesso della parte abusiva.

Quindi la demolizione delle opere abusive è la regola, mentre la fiscalizzazione dell’abuso edilizio rappresenta di contro un’eccezione, rigorosamente subordinata alla dimostrazione da parte del privato. Quanto detto è nello specifico ribadito dalla sentenza del Consiglio di Stato n.2032/2025.

 

La legittimità dell’ordine di demolizione

La vicenda nasce quando la ricorrente realizza opere edilizie abusive consistenti in un ampliamento di un alloggio popolare, per le quali è stata richiesta una sanatoria ai sensi della legge n. 47/1985 (primo condono). Il Comune, a causa della mancata integrazione della documentazione, ha respinto l’istanza ordinando la demolizione delle opere abusive.

Ciò ha suscitato il ricorso al TAR Calabria, il quale ha confermato come l’amministrazione avesse agito correttamente. La vicenda si protrae in appello quindi fino al Consiglio di Stato. Infatti il ricorrente, ferma sulla propria posizione, sostenendo che l’ordine di demolizione fosse illegittimo perché il Comune lo aveva emanato senza aver valutato se l’abuso potesse essere sanato con una sanzione pecuniaria alternativa.

A tal proposito, il Consiglio di Stato sottolinea che “la disposizione di cui all’art. 34, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 «ha valore eccezionale e derogatorio e non compete all’amministrazione procedente di dover valutare, prima dell’emissione dell’ordine di demolizione dell’abuso, se essa possa essere applicata, piuttosto incombendo sul privato interessato la dimostrazione, in modo rigoroso e nella fase esecutiva, della obiettiva impossibilità di ottemperare all’ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme» (cfr., ex ceteris, Cons. Stato, sez. VI, 18 novembre 2024, n. 9241; sez. VI, 12 febbraio 2024, n. 1387; sez. VI, 10 maggio 2021, n. 3666; sez. II, 17 febbraio 2021 n. 1452).

Quindi tale misura ha carattere eccezionale e non costituisce una facoltà automatica, in particolare, non spetta all’amministrazione verificare preventivamente la fattibilità tecnica della demolizione, bensì è onere del privato dimostrarne l’impossibilità con elementi rigorosi e in fase esecutiva.

In tal caso invece la ricorrente non ha fornito alcuna documentazione tecnica idonea a provare che la rimozione delle opere avrebbe comportato pregiudizio alla parte regolarmente autorizzata dell’edificio.

La decisione del Consiglio di stato sottolinea che la fiscalizzazione dell’abuso rappresenta un’eccezione da valutarsi solo in fase esecutiva e a fronte di una comprovata impossibilità tecnica.

  

LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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