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Spogliatoio, deposito di materiale e realizzazione difformità prospettiche: CILA, SCIA o permesso di costruire?

Consiglio di Stato: se la non autorizzata realizzazione di uno spogliatoio e di un deposito atto ad ospitare materiale per i trattamenti in agricoltura viene effettuata in un magazzino interessato da una pluralità di interventi in difformità dal titolo, ne consegue un organismo edilizio diverso da quello assentito, anche sotto il profilo del prospetto.

Gli interventi interni, meglio conosciuti come 'opere interne', necessitano del permesso di costruire oppure è sufficiente una SCIA o ancor 'meno', una CILA? E ancora: gli interventi edilizi relativi allo spogliatoio, al deposito di materiale da utilizzare in agricoltura e alla realizzazione di difformità prospettiche 'si tramutano' in un nuovo organismo edilizio rispetto a quello assentito?

A queste, interessanti domande, risponde il Consiglio di Stato nella sentenza 7369/2022 dello scorso 23 agosto, affrontando il tema delle (presunte) manutenzioni straordinarie, della possibilità di fiscalizzare l'abuso edilizio, di come si calcoli correttamente l'aumento di volumetria.

Spogliatoio, deposito di materiale e realizzazione difformità prospettiche: CILA, SCIA o permesso di costruire?

Le opere del contendere

Si dibatte sul ricorso di un privato e della società costruttrice contro l'ordinanza di demolizione del comune, spiccata per alcuni interventi edilizi.

Secondo il ricorrente, l'ordine di demolizione non avrebbe potuto prescindere “dalla compiuta identificazione dell’abuso” da rimuovere, altrimenti restandone indeterminato l’oggetto. Le opere interne, non ascrivibili alla ristrutturazione edilizia, non potrebbero essere oggetto di ordine demolitorio, “non avendo comportato la realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. Anche a ritenere che gli interventi in questione abbiano sostanziato una manutenzione straordinaria, essi avrebbero potuto essere sottoposti a sanzione pecuniaria, dovendosi ricorrere allo strumento della CILA, in quanto la SCIA, ai sensi dell’art. 22, comma 1 lett. a) del dpr 380/2001 è riservata alle (sole) manutenzioni straordinarie su parti strutturali dell’edificio.

Nella fattispecie, “in mancanza di adeguata controdeduzione, non può dirsi che l’intervento edilizio contestato, afferente ad opere interne, abbia riguardato parti strutturali dell’edificio”. E ancora: per le opere interne non sarebbe stata necessaria l’autorizzazione paesaggistica, in quanto esclusa dall’art. 149, co. 1, lett. a) d.lgs. 42/2004, salvo alterazione dello stato dei luoghi o dell’aspetto esteriore dell’immobile, non dimostrata dall’Amministrazione comunale.

Con riferimento al punto 4.4.1. della sentenza impugnata e all’aumento di volumetria di mq 15,87 ivi sottolineato, l’appellante ritiene che detto aumento rientrerebbe “entro il limite di tollerabilità del 2% delle misure progettuali (art. 34, comma 2-ter, D.P.R. n. 380/01) con conseguente diverso corredo sanzionatorio ai sensi dell’art. 34 cit.”.

Ma di quali opere si tratta? Di interventi edilizi relativi allo spogliatoio, al deposito di materiale da utilizzare in agricoltura e alla realizzazione di difformità prospettiche, che secondo il ricorrente NON sostanziano un nuovo organismo edilizio rispetto a quello assentito.

Ciò in quanto “la realizzazione di opere interne e l’apertura di alcune finestre non necessitano di permesso a costruire” e, rientrando nella categoria della manutenzione, sarebbero soggette a mera comunicazione ai sensi dell’art. 6-bis dpr 380/2001.

Tale natura degli interventi edilizi contestati, non ascrivibili quindi alla categoria della ristrutturazione, avrebbe potuto essere chiarita dall’interessato in sede di partecipazione al procedimento se non fosse stato violato l’art. 7 l. n. 241/1990 da parte dell’Amministrazione comunale.

 

L'organismo edilizio è diverso: è ristrutturazione edilizia

Secondo Palazzo Spada, però, non è ravvisabile il preteso difetto di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha considerato non autorizzate le opere contestate cui l’appello espressamente si riferisce.

Infatti il Tar ha sottolineato che la “non autorizzata realizzazione di uno spogliatoio (dimensioni in pianta di 9,30 m. x 4,23 m. e alto circa 3 m.) e di un deposito atto ad ospitare materiale per i trattamenti in agricoltura (dimensioni in pianta di 6,20 m. x 9,53 m., altezza circa 3 m.)è stata effettuata in un magazzino interessato da una pluralità di interventi in difformità dal titolo, dando luogo ad un organismo edilizio diverso da quello assentito, anche sotto il profilo del prospetto, ove, sul lato destro, “insiste una porta in loco di una finestra e il numero di finestre è pari a 13 contro le 6 autorizzate”,

Il convincimento del primo giudice deve essere quindi condiviso, in quanto la necessaria valutazione di insieme degli interventi edilizi rivela un organismo edilizio almeno in parte diverso per il quale non è attivabile lo strumento della comunicazione di cui all’art. 6-bis dpr 380/2001 (CILA).

Come nota la difesa comunale, la realizzazione dello spogliatoio avrebbe richiesto un idoneo titolo edilizio per il cambio di destinazione d’uso, così come la difformità prospettica rilevata dal Tar, in merito alla quale nessuna specifica e adeguata censura è stata proposta dall’appellante.

In definitiva, è infondata la tesi per cui detti interventi avrebbero potuto al più essere sottoposti a sanzione pecuniaria e deve ritenersi priva di rilievo l’affermazione dell’appellante per cui le opere interne non avrebbero richiesto l’autorizzazione paesaggistica, sussistendo un’alterazione dell’aspetto esteriore dell’edificio in presenza della quale è prescritta l’autorizzazione paesaggistica dall’art. 149 d.lgs. n. 42/2004.

 

L'aumento di volumetria

In merito alla tesi dell’appellante che il non assentito aumento di volumetria calcolato in mq 15,87 rientrerebbe nel limite di tolleranza del 2% ai sensi dell’art. 34, co. 2-ter, d.P.R. n. 380/2001, si nota che l’Amministrazione comunale - che ha sottolineato anche l’aumento volumetrico derivante dalla chiusura del porticato - ha fornito dimostrazione che detto limite di tolleranza avrebbe comportato una ben minore volumetria, pari a mq 4,16, calcolata pure includendo nel computo aree non coperte.

Sicché l’intervento edilizio non potrebbe essere considerato di natura pertinenziale, in quanto secondo la giurisprudenza amministrativa è configurabile “la pertinenza urbanistico-edilizia solo quando sussiste un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce”, dunque “opere di modestissima entità e accessorie rispetto a un’opera principale” (Cons. di Stato, sez. II, 22 luglio 2019, n. 5130).


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