Terremoto 1997: il Centro Italia, un cantiere dove si sono esplorate le moderne tecnologie antisismiche
Il 26 settembre del 1997 un forte terremoto colpiva l’Italia centrale, in una zona dell’Appennino situata fra l’Umbria e le Marche, causando 11 morti, 100 feriti e il danneggiamento grave di circa 80.000 edifici.
Si ebbero due forti scosse sismiche nel giro di poche ore. Una, la prima, di magnitudo 5.7 avvenne alle 2.33 di notte con epicentro a Cesi (vicino a Colfiorito e Serravalle del Chienti). La seconda, di magnitudo 6.0, e con epicentro ad Annifo (Perugia), colpì poco prima di mezzogiorno la zona a nord di Cesi, dove c’era stata la prima grande scossa.
Di quel terremoto rimangono indelebili anche le immagini del crollo della volta nella Basilica di San Francesco ad Assisi che diede un durissimo colpo al nostro patrimonio artistico e archeologico.
Con Ingenio abbiamo intervistato alcune figure per avere qualche commento dopo 25 anni da quel tragico evento.
Qui l'intervista a Paolo Clemente, Dirigente di Ricerca di ENEA e Presidente di ASSISi.
Il ricordo di Paolo Clemente del terremoto del 1997 in Centro Italia
Caro Paolo,
il 26 settembre ricorrono i 25 anni delle due importanti scosse sismiche che colpirono il centro Italia, in particolare l’Umbria nel lontano 1997, una di magnitudo 5.7 e l’altra di 6.0. Il terremoto provocò danni importanti al patrimonio storico, residenziale, industriale e infrastrutturale e, purtroppo, anche alcuni decessi. Hai ricordi di quel giorno e di quanto successe ?
Ero a Menlo Park, in California, per chiudere uno studio in collaborazione con l’USGS su un ponte strallato. La mattina del 26, Mehmet Celebi venne a prendermi all’hotel per andare all’USGS e mi informò di un forte terremoto in Italia. Mi parlò di una basilica importante. Da questo e da altri indizi capii che si trattava di San Francesco in Assisi. Passammo gran parte di quel giorno a guardare le immagini in TV con i successivi aggiornamenti e a commentare l’accaduto. Poi seppi che un collega dell’ENEA, in quel periodo al Servizio Sismico Nazionale, per poco non si era trovato nella basilica durante la scossa delle 11:40, quando crollò una volta.
In realtà, ad Assisi era stata danneggiata la basilica ma il resto del paese aveva retto le scosse, mentre erano irreparabili i danni in gran parte del territorio circostante.
Nel volo di ritorno, qualche giorno dopo, incontrai diversi turisti che avevano prenotato un tour che prevedeva anche una tappa ad Assisi e non sapevano ancora dove li avrebbero dirottati.
Tu sei il presidente protempore dell’Associazione ASSISi, un nome che richiama quel terremoto. C’è un legame preciso ?
Certamente. Fu proprio a seguito della sequenza sismica umbro-marchigiana che si decise di tenere ad Assisi un evento dedicato alle moderne tecnologie antisismiche (fino ad allora tenuti come seminari Post-Smirt Conference) e di fondare un’associazione dedicata.
L’idea dell’acronimo fu del Prof. James Kelly, uno dei padri dell’isolamento sismico: scelto l’acronimo, appunto ASSISi, si trovò la denominazione idonea (Anti-Seismic System International Society). Ci vollero, però, circa due anni perché l’associazione fosse legalmente avviata. Tra i fondatori ricorderei A. Martelli (primo presidente), R. Medeot e A. Dusi. Da allora, pur proseguendo la numerazione dei seminari Post-Smirt, la conferenza è chiamata “World Conference on Seismic Isolation, energy dissipation and active vibration control of structures”. Quella svoltasi al Politecnico di Torino nei giorni 11-15 settembre è stata la 17ma edizione, con un anno di ritardo a causa della pandemia. La prossima si terrà a Antalya, in Turchia, nel novembre 2023.
Che cosa ha evidenziato il Terremoto dell'Umbria-Marche
Il terremoto del 1997 viene spesso ricordato come un terremoto didattico, perchè ?
C’è sempre da imparare dai terremoti. Quello umbro-marchigiano del 1997 non è stato il primo né l’ultimo.
Dopo gli eventi sismici del 1976 in Friuli e del 1980 in Irpinia, si era diffusa l’abitudine di utilizzare per gli edifici esistenti i modelli che si stavano sviluppando per gli edifici di nuova realizzazione. Pertanto, gli interventi di retrofit e consolidamento prevedevano quasi sempre l’inserimento di cordoli e solai in c.a., al fine di garantire una congrua ripartizione delle azioni sismiche orizzontali, in edifici concepiti e costruiti con solai e coperture in legno, senza preoccuparsi di rinforzare le strutture murarie verticali. A seguito del terremoto del 1997, non erano rari i casi in cui gli orizzontamenti in c.a. erano rimasti intatti mentre alcuni maschi murari su cui poggiavano erano crollati totalmente sotto le azioni di inerzia legate alla massa sovrastante.
Il terremoto umbro-marchigiano ha anche evidenziato:
- l’estrema vulnerabilità degli edifici d’interesse storico e artistico, tra cui quelli di culto, e dei centri storici in generale;
- l’importanza degli effetti di sito, testimoniata dalla distruzione di alcuni centri come Cesi e Sellano e tanti altri;
- la necessità di trovare soluzioni efficaci anche a fronte di eventi distruttivi, ricorrendo a moderne tecnologie antisismiche.
Al riguardo, l’anno successivo furono pubblicate le Linee guida per progettazione, esecuzione e collaudo di strutture isolate dal sisma (LG-1998) da parte del Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Non erano ancora una normativa cogente ma rappresentarono un segnale positivo per il futuro. La prima normativa che prevedeva l’uso delle moderne tecnologie e ne regolamentava l’uso sarebbe apparsa nel 2003, con l’Ordinanza PCM 3274.
Il restauro della Basilica di San Francesco e i sistemi innovativi antisismici
Puoi raccontarci qualcosa sul restauro della basilica ? se dovesse ritornare una scossa sarebbe più sicura ?
A parte gli interventi tradizionali, ricorderei la difficoltà nell’arrivare al timpano crollato con le gru e l’utilizzo di sistemi innovativi. Nella navata principale furono inseriti degli shock transmitter, una sorta di cinture di sicurezza che consentono i movimenti lenti, come quelli dovuti alle escursioni termiche, ma si irrigidiscono sotto impulsi improvvisi (shock). Invece, tra la copertura e il nuovo timpano furono inseriti dei dispositivi a memoria di forma (SMA), già sperimentati nel progetto europeo ISTECH coordinato dal M.G. Castellano della FIP, a cui partecipava anche l’ENEA (coord. M. Indirli); gli SMA garantiscono una connessione di tipo elasto-plastico, quindi con dissipazione di energia, però con la fase plastica recuperabile perché legata alla variazione di fase della lega utilizzata anziché ad una plasticizzazione vera e propria.
Le tecnologie utilizzate garantiscono un significativo miglioramento del comportamento sotto azioni orizzontali, nel rispetto della reversibilità e della non-invasività.
Quale ruolo ha avuto l’ENEA dopo il terremoto ? da quel momento sono state avviate attività di ricerca sul territorio ?
L’ENEA, come sempre, ha fornito il proprio contributo sin dalle prime fasi di emergenza nelle verifiche di agibilità. Successivamente, siamo stati impegnati nella diffusione delle moderne tecnologie antisismiche, anche attraverso la formazione dei tecnici e la divulgazione alla popolazione. Il risultato è stato l’utilizzo delle moderne tecnologie antisismiche, soprattutto per edifici strategici e di particolare rilevanza, ma non solo.
Ad esempio, l’ENEA ha supportato la Regione Umbria nella validazione dei progetti di tutti gli edifici isolati sismicamente del centro di protezione civile regionale a Foligno, fornendo anche la propria consulenza per la definizione dell’input sismico al sito. Successivamente, sono state selezionate tre strutture, il centro operativo e l’edificio della Forestale, entrambi dotati di isolamento alla base, e un capannone in c.a.p. tradizionale, per l’installazione di sistemi di monitoraggio sismico. Tali reti di monitoraggio hanno registrato numerosi eventi e, tra questi, tutti quelli della sequenza sismica dell’Italia centrale, a partire dal 24 agosto 2016, consentendo di verificare il comportamento sismico reale di questi edifici e dei loro sistemi di protezione sismica.
ENEA è ancora attiva nell’ambito dell’ingegneria sismica ? di cosa vi state occupando ?
Certamente. Val la pena ricordare che l’ENEA nasce come ente per l’Energia Nucleare e le Energie Alternative. Pertanto, sono state sviluppate nel tempo soprattutto competenze nello studio dei siti ove realizzare impianti a rischio di incidente rilevante, come quelli nucleari e chimici, e dell’affidabilità e la sicurezza delle strutture.
Le competenze sviluppate a supporto delle attività in campo nucleare, sono state poi messe a disposizione anche in altri campi, quali quelli delle infrastrutture critiche e i beni culturali.
Tra i più recenti ricordo:
- il progetto Rafael, svolto in collaborazione con Anas e concluso recentemente, che aveva l’obiettivo di ottimizzare i sistemi di Structural Health Monitoring (SHM) di ponti e viadotti; è stato realizzato un sistema di SHM su un viadotto della tangenziale di Catania e sono state eseguite numerose prove, statiche e dinamiche su tavola vibrante, su un modello in scala nel nostro laboratorio della Casaccia;
- il progetto Monalisa, coordinato dal prof. L. Sorrentino dell’Università Sapienza di Roma e in collaborazione con l’Università Roma Tre e Somma International, ancora in corso, dove stiamo studiando un sistema di protezione degli oggetti d’arte che contemperi sia le vibrazioni sismiche sia quelle indotte dal traffico; come oggetto per l’applicazione è stato scelto il Sarcofago degli Sposi nel Museo Etrusco a Roma, sollecitato quotidianamente dalle vibrazioni indotte dal passaggio dei tram e dei treni.
- Siamo, infine, operativi nel consorzio Fabre, che abbiamo contribuito a fondare nel 2020, per la valutazione di ponti e viadotti, sia sotto il profilo sismico che sismico.
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