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Il Partenariato Pubblico Privato, il BIM e un Cambio di Paradigma

Stranamente, per certi versi, il «BIM», nelle forme proprie, ha sinora avuto scarsa applicazione nei contratti pubblici che prevedono il partenariato pubblico privato. Molti sarebbero i motivi tali per intravedere nelle soluzioni partenariali il campo elettivo della digitalizzazione nel settore.


contratto-digitale.jpgStranamente, per certi versi, il «BIM», nelle forme proprie, ha sinora avuto scarsa applicazione nei contratti pubblici che prevedono il partenariato pubblico privato, inclusi il contratto di locazione finanziaria e il contratto di disponibilità.

Molti sarebbero i motivi tali per intravedere nelle soluzioni partenariali il campo elettivo della digitalizzazione nel settore.

Tra di essi, uno, in particolare, potrebbe apparire decisivo: quello inerente alla centralità del ciclo di vita utile di servizio del bene immobiliare o infrastrutturale, almeno in merito alla durata del contratto concernente il partenariato pubblico privato.

Tradizionalmente, infatti, il soggetto aggiudicatario del contratto, che sia, ad esempio, un lessor o uno special purpose vehicle relativo al promotore o alla società di progetto, dovrebbe, in teoria, finalizzare i propri sforzi committenti (si pensi al caso in cui il promotore proponga anche il progetto di fattibilità), progettuali e realizzativi alle istanze di manutenzione e, soprattutto, di gestione dell’opera, coinvolgendo precocemente e interattivamente tutti i soggetti interessati e coinvolti nella compagine.

Ciò che accade ora, tuttavia, è che, tramite una interpretazione originale degli OIR, vale a dire degli Organization Information Requirements, previsti dalle norme UNI EN ISO 19650, sarebbe possibile immaginare (con alcuni riscontri già disponibili) che essi, nella parte legata alla commessa, siano fondati sulla simulazione delle attività e dei comportamenti, che siano mirati, dunque, alle Operations.

Il che comporta il fatto che il processo, generativo, di progettazione possa nascere dal service design come fattore configurativo delle successive opzioni spaziali e tecnologiche.

Ciò sarebbe perfettamente in linea con la possibilità che, nei flussi guidati dall’ambiente di condivisione dei dati, soluzioni immersive, virtuali e interattive, consentano a un panel di fruitori prospettici di validare preventivamente i livelli dei servizi alla persona grazie a una specie di pre-occupancy evaluation, e, all’interno del «gemello digitale», che rileva il ruolo del Common Data Environment, di verificarne e di rettificarne gli esiti alla luce dei comportamenti effettivi degli utenti.

È palese come questa ipotesi abbia a che fare con una essenza «immateriale» dei contratti partenariali che collide con molti approcci, adottata da parte di molti operatori economici tradizionali del settore che hanno sempre considerato il proprio coinvolgimento nel contesto specifico come legato alla sola dimensione «tangibile».

Il potenziamento dell’essenza di «servizio» di molti contratti di partenariato pubblico privato, contrassegnati dalla «concessione» in cambio della «disponibilità», abilitata dalla digitalizzazione, potrebbe segnare un passaggio cruciale nell’evoluzione del settore.

D’altra parte, le soluzioni partenariali erano originariamente state concepite non certo quale artifizio per consentire una remunerazione differenziata di opere di interesse collettivo, bensì come modalità per far divenire i cespiti «strumenti» di generazione di elevato valore aggiunto per la collettività che producesse anche redditività per il soggetto privato affidatario, con ricadute sulla nozione di rischio operativo, così intensamente discussa nelle sedi competenti in questi anni.

La digitalizzazione sembra, tuttavia, qui promettere di far giungere questa ipotesi a una conclusione più avanzata, radicale più che non incrementale.

Iniziano, infatti, a potersi contrattualizzare «livelli di servizio» che, addirittura, oltre a vertere sulle prestazioni offerte dai cespiti e sulle prestazioni erogate dagli operatori e dagli utenti stessi (come, ad esempio, produttività nello spazio di lavoro, possano essere incentrati su gradi di benessere della persona «misurabili» in termini di «percezioni», di «emozioni», di «esperienze».

Forse la relazione tra il «BIM» e il partenariato pubblico privato, alla luce di una accezione non banale del «gemello digitale» rimarcherà un vero e proprio cambio di paradigma.

Il gemello, peraltro, rappresenterà sempre più il mezzo per esercitare una sorveglianza durante l’esecuzione del contratto da parte dell’amministrazione aggiudicatrice nei confronti del soggetto affidatario, inizialmente in versione di Business Intelligence, in seguito di Predictive Analytics.

L’ambiente di condivisione dei dati, peraltro, già nella fase della individuazione dell’affidatario, lunga e negoziata, potrà rivestire la stessa veste.

Se, quindi, in un primo tempo, sarà possibile per la parte aggiudicante rettificare i comportamenti non conformi della controparte in tempo reale, successivamente sarà possibile anticiparli e prevenirli.

Come si può constatare, la digitalizzazione assume sempre più un carattere «eversivo».

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