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La tettoia rientra nell'edilizia libera?

Il punto di partenza per capire se serve o meno il permesso di costruire è dato dall’impatto delle opere sul territorio. Ove il manufatto, per la sua struttura ed estensione, sia in grado di incidere sul territorio determinando significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie, si tratta di nuova costruzione e serve il permesso

Siamo alle solite. Un cittadino, si presume in buona fede, realizza in aderenza alla propria abitazione due tettoie in cui alloggia gli impianti tecnologici.

Gli anni passano quando il comune, inaspettatamente, ordina la demolizione dei manufatti.

A questo punto nasce il solito braccio di ferro che si protrae per sei anni (e siamo solo al primo grado).

Il proprietario prospetta le proprie ragioni, l’amministrazione è armata di codice. Chi avrà ragione?


L’ordine di demolizione

Il caso parte da lontano (nel 2015), quando il Comune emette una ordinanza di demolizione di n. 2 tettoie realizzate in aderenza al piano terra dell’unità abitativa, utilizzate come locali tecnici (impianti tecnologici e stenditoio) dell’abitazione.

I due manufatti misurava in pianta mt 3,20 x mt 5,00 ed avevano un’altezza all’intradosso di mt 2,40 alla gronda e di mt 2,80 al colmo; in altri termini, erano stati realizzati due locali abitabili di 16 mq ciascuno.

Le tettoie differivano tra loro per la struttura: la prima aperta e la seconda chiusa.

Ad avviso dell’amministrazione, i manufatti sarebbero stati posti in opera anni addietro, in assenza di alcun titolo concessorio e, pertanto, dovevano ritenersi abusivi; da qui la legittimità dell’ordine di demolizione, considerato “atto dovuto”.



Veranda e Superbonus: ecco quando non è abusiva e si prende tutto

Il proprietario (ovviamente) impugna l’ordine di demolizione e si difende operando su due piani diversi: da un alto, presenta istanza di accertamento di conformità (art.37 del D.P.R. 380/2001); dall’altro, impugna l’ordine di demolizione dinanzi al giudice amministrativo.

Il TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, con la sentenza n. 6146 del 1° ottobre 2021, nel risolvere la questione, affronta un ventaglio di problematiche.


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Il titolo edilizio necessario

Il TAR, in primo luogo, cerca di rispondere alla domanda di rito: per realizzare una tettoia, è necessario un titolo edilizio?

Secondo il giudice amministrativo il punto di partenza è dato dall’impatto delle opere sul territorio.

Ove il manufatto, per la sua struttura ed estensione, sia in grado di incidere sul territorio determinando significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie, l’intervento sarà qualificato come di nuova costruzione e, conseguentemente, la sua realizzazione richiederà il preventivo ottenimento di un permesso di costruire.

 

Rispondiamo alla domanda

Facciamo una fotografia dei fatti. Abbiamo due tettoie asseritamente abusive in quanto realizzate in assenza di titolo edilizio.

I manufatti sono capaci di incidere negativamente sul territorio sia per le dimensioni che sotto l’aspetto funzionale (una delle due è chiusa su tre lati).

L’area d’intervento è sottoposta a vincolo sismico. Comportano uno stabile e permanente rimodellamento della morfologia del terreno.

Nel caso in esame, quindi, la realizzazione dell’opera avrebbe richiesto il preventivo ottenimento del permesso di costruire; di conseguenza, a parere del Tar, appare irrilevante indagare sulla SCIA presentata nel 2015 dalla proprietà in quanto si tratterebbe comunque di un titolo edilizio inadeguato alla tipologia di opera.


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All'interno di questa collaborazione una serie di articoli sul tema dell'EDILIZIA LIBERA, con l'obiettivo di sciogliere alcuni dubbi più frequenti a cura di Donato Palombella.


Può trattarsi di pertinenza?

La proprietà considera le tettoie come una pertinenza dell’unità abitativa. Il Tar respinge questa “libera interpretazione” del cittadino: i manufatti non possono essere considerati come delle pertinenze dell’immobile principale!

Tale tesi trova il proprio fondamento sulla giurisprudenza che ritiene come “Ai fini urbanistici non possono ritenersi beni pertinenziali, con conseguente loro assoggettamento al regime proprio del permesso di costruire, gli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, non sono tuttavia coessenziali ma ulteriori ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo in modo autonomo e separato e poiché occupano aree e volumi diversi” (TAR Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, sentenza 24 novembre 2017, n. 941).

La linea di demarcazione tra pertinenza e manufatto autonomo sarebbe quindi rappresentata dalla capacità di un utilizzo autonomo e separato del bene.

Applicando questo principio, la tettoia sarebbe liberamente realizzabile solo ove ricorrano due concomitanti elementi ovvero:

  • a) ove la conformazione e le ridotte dimensioni rendano evidenti e riconoscibili le finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici;
  • b) quando, per la consistenza, possa ritenersi assorbita, ovvero ricompresa in ragione della sua accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accede (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 25 luglio 2011, n. 3947).

Nel caso in esame il Tar ha ritenuto che i due manufatti non rispettavano tali condizioni e, conseguentemente, non potevano essere considerati delle pertinenze.

 

Non si tratta di volumi tecnici

Il Tar esclude che le tettoie in argomento possano essere considerate come dei volumi tecnici.

Ancora una volta il punto di riferimento è dato dalla giurisprudenza che considera il “volume tecnico” come un piccolo manufatto necessario per contenere impianti tecnologici, incapace di assolvere ad una diversa ed autonoma utilizzazione anche sotto il profilo economico (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, sent. 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, sent. 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, sent. 2 febbraio 2012, n. 615, TAR Campania Napoli, Sez. VIII, sent. 30 maggio 2017, n. 2870).

Rientra nel concetto di volume tecnico, per esempio, il vano destinato ad ospitare il fine corsa o le macchine dell’ascensore ovvero quello, di ridotte dimensioni, destinato esclusivamente ad ospitare la riserva idrica o gli impianti del fotovoltaico.

A parere del giudice amministrativo, nel caso in esame le tettoie non possono essere considerate come dei volumi tecnici non solo a causa delle loro dimensioni, ma anche causa del loro potenziale autonomo utilizzo.
  

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Sanzione demolitoria o pecuniaria?

Il proprietario offre di sostituire la sanzione demolitoria inflitta dal comune con quella pecuniaria.

Il ragionamento è semplice: demolire costa e perdo il bene; a questo punto è preferibile pagare, costa meno (forse), ma mantengo la proprietà delle tettoie anzi ci guadagno perché le regolarizzo.

La richiesta di “commutazione della pena” viene supportata da una motivazione tecnico-giuridica. La proprietà sostiene che non sia possibile demolire le tettoie asseritamente abusive senza compromettere la statica del fabbricato preesistente e legittimo.

Il Tar esaminato questo profilo ritiene che non sia un motivo valido per ritenere l’ordinanza di demolizione illegittima.

Il giudice amministrativo chiarisce che il cittadino può chiedere di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria ove ci sia il fondato timore di danneggiare la parte dell’immobile realizzata in maniera legittima.

Sottolinea, inoltre, che “Soltanto nel caso di opere realizzate in parziale difformità dal titolo edilizio, può trovare applicazione la fiscalizzazione dell'abuso edilizio, consistente nella sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria; non essendovi, di contro, alcuno spazio per l'applicazione della norma in caso di totale carenza del titolo edilizio” (TAR Campania, Napoli, Sez. II, sent. 4 maggio 2020, n. 1635).

Questo elemento, però, può essere valutato dall’amministrazione solo in sede di esecuzione dell’ordinanza di demolizione ovvero in una fase successiva (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 12 maggio 2020, n. 2980; TAR Marche, Ancona, Sez. I, sent. 26 gennaio 2021, n. 62).

Per altro verso il Tar sottolinea come, una volta che sia stato accertato l’abuso, l’amministrazione è tenuta ad emanare l'ordine di demolizione (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, sent. 29 ottobre 2018, n. 6337).

 

Esiste un interesse pubblico a demolire?

Il destinatario dell’ordine di demolizione si lagna perché l’amministrazione non avrebbe dimostrato l’esistenza di un interesse pubblico a procedere alla eliminazione di opere realizzate da lungo tempo. Il TAR non fa fatica a respingere questa eccezione.

Secondo la giurisprudenza “l'ordinanza di demolizione, in quanto atto ad adozione e contenuti vincolati, non abbisogna di una comparazione dell'interesse pubblico al rispetto della disciplina urbanistico - edilizia con l'interesse privato sacrificato, e nemmeno della valutazione di un affidamento alla conservazione della situazione di fatto, che il decorso del tempo non potrebbe mai legittimare” (TAR Campania, Napoli, Sez. III, sent. 4 gennaio 2021, n. 12; T.AR Lombardia, Brescia, Sez. I, sent. 1 ottobre, n. 679).

In definitiva, quindi, “Il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell'opera abusiva non è idoneo a radicare in capo al privato interessato alcun legittimo affidamento in ordine alla conservazione di una situazione di fatto illecita” (Cons. Stato, Sez. V, sent. 26 febbraio 2021, n. 1637).

Il giudice partenopeo, in proposito, rileva che una volta accertata la natura abusiva dell’opera, l’ordine di demolizione scatta in automatico, in quanto costituisce un “atto dovuto” senza che l’amministrazione sia tenuta ad effettuare una comparazione tra l’interesse pubblico alla demolizione e quello privato al mantenimento dell’opera.

E vi è di più! L’amministrazione non è tenuta neanche a valutare se l’opera potrebbe essere sanata (T.A.R. Campania, Napoli Sez. VII, sent. 27 maggio 2013, n. 2755 e Sez. III, sent. 27 settembre 2006, i. 8331). Spetta al privato, se ne ha interesse, valutare se vi è la possibilità di una sanatoria presentando, per esempio, una domanda di accertamento di conformità.


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Quali sono le opere che rientrano nell'edilizia libera? La Riforma Madia, con il glossario delle opere libere, sembrava aver fornito una risposta definitiva a questo interrogativo. L'esperienza dimostra come non sia assolutamente facile incasellare le opere nella casistica astrattamente prevista dalla norma. Affrontiamo alcuni casi concreti: il dehor, le tettoie, la chiusura del portico e le vetrate panoramiche. 

A cura di Donato Palombella

 

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