Il tema dei “vincoli” è cruciale per la pianificazione e per l’operato dei tecnici sia in fase di progettazione che di attestazione di legittimità o di piani di fattibilità, ma la loro definizione, contenuti e procedure spesso sfuggono ad una precisa conoscenza.
Anche l’uso del termine avviene spesso in modo impreciso e generico (a volte addirittura errato).
Di alcuni casi specifici ci siamo già occupati (Immobili di pregio paesaggistico: tutela o conservazione?; Sanabilità delle opere in vincolo paesaggistico - PARTE PRIMA; Sanabilità delle opere in vincolo paesaggistico - PARTE SECONDA), ma pare utile trattare l’argomento in modo sistematico ripartendo dai fondamentali e ricostruendo poi l’articolazione dei “vincoli” in funzione delle loro specificità e delle diverse modalità con cui incidono sui beni di riferimento.
In urbanistica e in edilizia ricorre spesso il termine “vincolo”.
Di per sé è espressione un po’ generica che non consente di inquadrare esattamente ciò di cui si sta parlando e che meriterebbe una più circostanziata precisazione.
Dal punto vista definitorio possiamo dire che col termine “vincolo” si intende una qualsiasi limitazione all’uso di un bene (mobile o immobile che sia) e dunque si coglie subito che il “vincolo” incide sull’assetto proprietario di quel bene: è dunque una limitazione all’esercizio del diritto di proprietà libero e incondizionato.
E poiché il diritto di proprietà costituisce uno dei cardini del nostro ordinamento (puntualmente recepito nei principi della Comunità Europea) ben si comprende che si pone subito il problema di chi possa limitare questo diritto fondamentale (e con quali procedure).
Cercheremo allora di darne un inquadramento possibilmente organico con interventi successivi, e per quanto possibile sintetici, prendendo in esame le varie “tipologie” di vincolo.
Una basilare suddivisione possiamo farla in base all’oggetto su cui grava il vincolo e avremo così:
Cominciamo da questi ultimi.
Un’altra suddivisione possiamo farla in base a: motivazione/obiettivo, e contenuto prescrittivo da cui discendono poi effetti e durata.
In base a questi parametri di valutazione esistono due grandi categorie di vincoli:
Sono vincoli conformativi quelli che derivano dalla peculiare natura del bene e sono finalizzati alla sua conservazione e tutela. Per questo motivo vengono anche definiti “dichiarativi” perché non aggiungono nulla al bene gravato rispetto alle sue originarie caratteristiche, ma semplicemente ne riconoscono (ne dichiarano formalmente) i valori intrinseci meritevoli di tutela.
Sono vincoli costitutivi quelli imposti per esigenze di pianificazione urbanistica e finalizzati all’acquisizione di beni immobili (aree e/o edifici) per finalità di pubblica utilità o di pubblico interesse. Per questo si definiscono anche “espropriativi” perché prevedono l’espropriazione e dunque il trasferimento coattivo della proprietà da un soggetto privato a uno pubblico (o che persegue interessi pubblici).
Da questo inquadramento concettuale deriva che:
Quanto fin qui detto fa ben comprendere la rilevanza dei vincoli sull’assetto proprietario, il che ci rimanda alla questione di fondo cui avevamo accennato in esordio: qual è la fonte normativa che attribuisce il potere di portare limitazioni al diritto di proprietà riconosciuto sacro e inviolabile dalla nostra Costituzione? E quali sono le modalità di “imposizione” del vincolo, dalla cui data decorrono le limitazioni (e il periodo di durata nel caso di vincoli espropriativi) di cui si è detto.
Chi può essere la fonte giuridica, se non quella primaria del diritto, ovvero la Costituzione stessa che all’articolo 42 così recita: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”.
Dal testo ben si ricava che
Abbiamo così chiarito la fonte giuridica della qualificazione dei vincoli e le loro indefettibili caratteristiche: la Costituzione.
Restano ora da definire le procedure che sono altrettanto importanti perché solo la correttezza della procedura (come afferma la Costituzione stessa) può dare efficacia e legittimità ai vincoli imposti.
In linea generale e concettuale possiamo dedurre da quanto detto fin qui le procedure espropriative sono uguali per tutti i vincoli espropriativi (oggi statuite del DPR 327/01 – detto anche “Testo Unico delle Espropriazioni” integrate dalle eventuali leggi regionali in quanto anche in questa materia si estrinseca il potere legislativo concorrente), mentre i vincoli conformativi dipendono da fonti diverse e seguono procedure impositive diverse.
Da quanto precede si deduce in prima approssimazione che i vincoli costitutivi/espropriativi sono prevalentemente vincoli urbanistici (ossia riferiti ad ambiti territoriali o, comunque, per finalità urbanistiche), mentre i vincoli conformativi possono essere riferiti sia ad ambiti territoriali che a singoli manufatti (ovvero a tutela sia di porzioni di territorio che di edifici singoli): in altri termini le due suddivisioni fin qui enunciate (vincoli edilizi o urbanistici e vincoli conformativi o costitutivi) non sono di per sé escludenti dell’appartenenza di un vincolo ad entrambe le categorie.
Tema cruciale per l’interprete della normativa urbanistico-edilizia è capire dove si possano individuare i vincoli gravanti su di un bene (territorio o manufatto).
I vincoli espropriativi sono necessariamente rappresentati nei piani urbanistici (regolatori o con qualsiasi altra denominazione che le eventuali leggi regionali abbiano diversamente definito).
Se non sono rappresentati nei piani non esistono perché, anche se derivano da provvedimenti paralleli o successivi alla redazione dei piani urbanistici, ne costituiscono variante e su questi vanno rappresentati.
Anzi (al contrario) potrebbero essere rappresentati nei piani vincoli espropriativi non più efficaci per intervenuta decadenza (tempo di vigenza trascorso senza l’attivazione della procedura espropriativa). E’ assai frequente infatti (direi quasi la prassi) che le cartografie dei piani non vengano periodicamente aggiornate a seguito della decadenza di un vincolo espropriativo (il che induce l’interprete alla ricerca analitica della data di imposizione per verificarne l’attuale esistenza. Di cosa succede ai vincoli decaduti diremo nel seguito).
Per i vincoli conformativi la loro esistenza/efficacia dipende da provvedimenti di autorità diverse da quella comunale e sono indipendenti dalla pianificazione; anzi su questa si sovrappongono e prevalgono indipendentemente che vi siano rappresentati o meno.
Sarebbe comunque buona prassi che venissero descritti anche negli atti di pianificazione (e generalmente così si opera), ma – si badi bene – si tratta di un “recepimento” di vincoli che hanno comunque una origine e vita autonoma ed esistono anche se non sono rappresentati negli atti di pianificazione.
La loro esatta rappresentazione dipende dunque dalla corretta ed esaustiva ricognizione che il progettista del piano ne avrà fatto e non gli se ne può addebitare responsabilità in caso di incompletezza.
Il che rinvia al “lettore/interprete” del piano l’onere di una corretta analisi.
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