Abusi edilizi ante 1967, occhio al PRG: quando il titolo edilizio serviva anche prima della Legge Ponte
Le prove della risalenza di una determinata opera edilizia a prima del 1967 e realizzata senza permesso deve essere fornita da colui che ha commesso l'abuso, ma in ogni caso non è possibile regolarizzare interventi privi di licenza edilizia, anche antecedenti la Legge Ponte, se erano inseriti nel PRG comunale, risalente al 1931, e che imponeva il rispetto delle norme urbanistiche anche fuori dai centri urbani.
Di abusi edilizi 'ante 1967' abbiamo scritto più volte, e spesso aleggia un po' di confusione sulle regole generalizzate - che tali non sono - in merito a interventi edilizi 'molto datati', che si ritiene possano essere legittimati, anche in assenza di permesso di costruire, solo in base alla loro risalenza nel tempo e alla loro ubicazione fuori dai centri abitati.
La sentenza 8022/2025 del 24 aprile, in tal senso, consente di fare chiarezza su un punto davvero importante, quello concernente la regolamentazione - ovvero l'inserimento nel PRG - di determinate aree, che di conseguenza portano all'impossibilità di 'sanare' un abuso edilizio anche precedente al 1967, proprio in quanto il PRG inseriva la zona di riferimento tra quelle con obbligo di licenza edilizia.
Interventi assentibili senza permesso prima del 1° settembre 1967
La legge Ponte (765 del 6 agosto 1967), con l'articolo 10 ha modificato l'articolo 31 della legge 1150/1942, estendendo l'obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano.
Prima del 1° settembre 1967, quindi, ovviamente con svariate eccezioni figlie di appositi regolamenti comunali che potevano disporre già la necessità del previo ottenimento del permesso di costruire anche in zone fuori dal centro urbano, l'obbligo di licenza edilizia era limitato a zone urbanizzate e centri abitati (nelle aree non regolamentate).
Il caso: tutti gli abusi edilizi contestati
L'intervento edilizio, per il quale è stata ingiunta la demolizione, consisteva in:
- una tettoia chiusa su tutti i lati, con strutture in cemento armato e pannelli coibentati;
- un ampliamento con muratura per la realizzazione di un appartamento su due livelli, dotato di cucina, bagno, camere, impianti e arredamento;
- la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria (collegamento alla fognatura);
- la collocazione di un container con funzioni d’ufficio, con bagno e scarico.
Si trattava, secondo il TAR, di un intervento non classificabile come manutenzione o risanamento, ma come nuova costruzione ai sensi dell'art. 3, lett. e), del DPR 380/2001, con cambio di destinazione d’uso da agricolo a residenziale e incremento del carico urbanistico, pertanto abusivo in assenza di permesso di costruire, con inevitabile sanzione demolitoria.
Il ricorso: una parte dell'intervento risalirebbe a prima del 1967
Secondo i ricorrenti, “una parte della costruzione oggetto della” d.d. impugnata, ricadente in zona agricola, risale a un periodo antecedente alla c.d. legge ponte n. 765 del 1967 (prima della quale la licenza edilizia era richiesta solo nei centri abitati e non anche nelle zone agricole); con la conseguenza “che se una parte dell’opera oggetto dell'impugnato provvedimento risulta antecedente al 1967, non può essere considerata “abusiva in toto”, e, soprattutto, non può essere assoggettata a sanzione”.
I ricorrenti, dunque, deducono che l’atto impugnato sarebbe anche illegittimo per erroneità e carenza dell’istruttoria, in quanto la resistente Amministrazione Comunale avrebbe dovuto accertare che una parte dell’opera fosse legittima in quanto costruita anteriormente alla c.d. legge ponte.
Nell’atto impugnato, inoltre, non vi sarebbe alcun riferimento all’accertamento né alla data dello stesso.
Le prove della risalenza dell'opera ricadono sul privato
Il TAR respinge il ricorso partendo dal presupposto che i ricorrenti:
- non precisano quale sarebbe la “parte” dell’immobile di loro proprietà la cui costruzione dovrebbe farsi risalire a un’epoca anteriore alla Legge Ponte e, come tale, legittimamente realizzata in assenza di licenza edilizia;
- non forniscono elementi di prova idonei a dimostrare che quella parte (genericamente indicata) debba farsi risalire a un’epoca in cui non era necessario il permesso di costruire per edificare fuori dei centri urbani.
Costituisce, tuttavia, “principio consolidato che l’onere di provare la data di realizzazione dell’immobile abusivo spetti a colui che ha commesso l’abuso e che solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi - i quali non possono limitarsi a sole allegazioni documentali a sostegno delle proprie affermazioni - trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all'amministrazione. Solo l'interessato infatti può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell'Amministrazione di negare la sanatoria dell'abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria.”
Abusi edilizi ante 1967: è il privato a dover fornire le prove della risalenza nel tempo
L'onere per il privato di dimostrare che l'opera è stata completata entro una data utle, nel caso il 1° settembre 1967, comporta che neanche la dichiarazione sostitutiva di atto notorio è sufficiente a tal fine, essendo necessari inconfutabili atti o documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrano la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto
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Il PRG comprendeva anche le zone agricole: titolo edilizio obbligatorio anche prima del 1967
In ogni caso - e questo è l'aspetto interessante della sentenza - per queste opere la licenza edilizia sarebbe stata obbligatoria anche prima della Legge Ponte in quanto l’assunto evocato dalla parte, semmai valido per altri contesti urbani, non lo è per Roma, ove già nel 1883 esisteva un Piano Regolatore Regionale (approvato con R.D. dell’8 marzo 1883), al quale seguì il nuovo P.R.G. adottato in Consiglio il 10/2/1909 (c.d. Piano Nathan, dal nome dell’allora Sindaco della Città) e approvato con R.D. 29/8/1909, e un terzo P.R.G. approvato con Regio Decreto Legge n. 981 del 1931, convertito con modificazioni nella Legge n. 355 del 1932, il cui art. 1, degli Allegati recanti “Norme generali e prescrizioni tecniche per l’attuazione del piano regolatore e di ampliamento della città di Roma.”, recitava: “I proprietari degli immobili compresi entro i confini generali del piano regolatore edilizio e di ampliamento nel fare nuove costruzioni, modificare ed ampliare quelle esistenti, dovranno osservare le disposizioni generali relative alla destinazione e all'uso delle costruzioni stesse nelle rispettive zone ad esse destinate secondo la classificazione del piano regolatore. Dovranno, inoltre, i proprietari suindicati osservare le disposizioni particolari dei vigenti regolamenti governatoriali, edilizio e di igiene, e quei dettami di ornato e di estetica, che verranno di volta in volta stabiliti dall'Amministrazione governatoriale”.
Solo successivamente è entrata in vigore la legge 1150/1942, allora vigente “in parte qua”, che all’art. 31 prevedeva l’obbligo di munirsi di licenza edilizia per chiunque intendesse costruire o ampliare costruzioni preesistenti o modificarne la struttura o l’assetto nei centri abitati e laddove esistente un piano regolatore generale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7, che individuava appunto le zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano, rispetto alle quali il P.R.G. doveva “indicare essenzialmente i caratteri e i vincoli di zona da osservare nell’edificazione”.
Quindi, visto che il piano regolatore del 1931 comprendeva l’area di interesse (Trionfale-Ottavia) tra quelle di espansione, per edificare in tale area fosse necessaria la licenza edilizia ben prima del 1967, in quanto appunto area interna alla perimetrazione del piano regolatore generale allora vigente e quindi soggetta alla disciplina dello strumento urbanistico.
Tra l'altro, le parti ricorrenti nulla provano in merito alla circostanza che l’area in cui è stato commesso l’abuso edilizio sanzionato con la gravata d.d. ricadesse in una zona non considerata di ampliamento e quindi soggetta, appieno, alla disciplina del PRG vigente al tempo della costruzione; e tanto fermo restando che la datazione della stessa a un’epoca anteriore al 1967 è solo un’affermazione apodittica dei ricorrenti, non sostenuta da riscontro documentale alcuno che sarebbe stato onere delle medesime parti produrre.
Riepilogo: se il PRG comprende l'area di interesse, niente da fare per gli abusi edilizi ante 1967
Il TAR ha respinto quindi il ricorso, precisando che:
- a Roma era vigente già dal 1931 un Piano Regolatore Generale, che imponeva il rispetto di norme edilizie anche fuori dai centri urbani;
- gli interessati non hanno fornito alcuna prova documentale idonea a dimostrare che l'opera risalisse effettivamente a prima del 1967;
- per consolidata giurisprudenza, l’onere della prova sulla data di costruzione grava su chi invoca la preesistenza dell’immobile.
Conclusione: non basta affermare che l'opera sia antecedente al 1967, ma occorre dimostrarlo con atti certi e inequivoci, che nel caso di specie mancavano, e accertarsi che l'area dove è stato realizzato l'abuso non ricadesse in quella ricompresa in un determinato piano rgolatore generale (PRG).
LA SENTENZA E' SCARICABILE IN ALLEGATO
Abuso Edilizio
L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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