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Annullamento di titoli abilitativi in autotutela: margini di discrezionalità (art.21 nonies legge 241/1990)

In materia di annullamento di titoli abilitativi in autotutela da parte della PA, le rappresentazioni non veritiere – non accertate come falso nell'ambito di un procedimento penale – non determinano l'insorgenza di un interesse dell'amministrazione al ripristino della legalità violata.

La fissazione di un termine per l’annullamento d’ufficio di un atto abilitativo in edilizia - posto oggi in dodici mesi dal rilascio dell’atto presunto illegittimo - può essere disapplicato in caso di dichiarazioni mendaci che abbiano indotto in errore la pubblica Amministrazione, ma non fa venir meno il contestuale onere dell’Amministrazione procedente alla verifica (in ogni caso) della sussistenza di un interesse pubblico prevalente da tutelare; principio, questo, che sorregge in generale l’intervento di annullamento. Questo stabilisce la recente sentenza del Consiglio di Stato a precisazione di non sempre conformi risoluzioni giurisprudenziali.

*Presentazione di Ermete Dalprato

Un interessante sentenza del Consiglio di Stato (sez VI, n. 4360/2023) porta nuovamente in discussione una delle disposizioni più controverse della Legge 241/90 ovvero l’art 21-nonies (in particolare il comma 2 bis del citato articolo) dedicato ai presupposti per addivenire all'annullamento in autotutela dei provvedimenti amministrativi nonché dei titoli abilitativi edilizi.

La vicenda

Nella fattispecie posta in discussione, veniva richiesto l’annullamento in sede giudiziale del provvedimento con cui il Dirigente dello Sportello per l’edilizia aveva rigettato l’istanza presentata dal ricorrente, diretta a far annullare, a distanza di venti anni dalla sua assunzione, una concessione in sanatoria rilasciata ex Legge 47/85.

Nello specifico veniva dedotto che il fabbricato oggetto di condono non si presentasse, alla data dal 01/10/1983, ultimato con la realizzazione del rustico ed il completamento della copertura così come richiesto dall'art. 31 comma 2 Legge 47/85.

Veniva pertanto posto in questione se, pur a fronte del tardivo rilievo circa la sussistenza di una dichiarazione dolosamente infedele funzionale a vedere rilasciato il condono richiesto, sussistessero i presupposti per l’assunzione di un provvedimento di annullamento ovvero prevalesse l’interesse al consolidamento della posizione dei titolari della concessione in sanatoria.

La normativa di riferimento

L’art.21 nonies comma 2-bis L 241/90 statuisce che i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di:

  • false rappresentazioni dei fatti;
  • dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato;

possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine ,oggi previsto in dodici mesi, di cui al comma 1 del medesimo articolo, fatta salva l'applicazione:

  • delle sanzioni penali;
  • delle sanzioni previste dal capo VI del DPR 445/2000.

In particolare l’art. 75 del DPR 445/2000 statuisce che qualora emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera.

Gli opposti orientamenti del Consiglio di Stato

Il comma 2 bis dell’art 21 nonies L 241/90 si sostanzia in una disposizione che, sin dalla sua introduzione avvenuta con la Legge 124/2015, si è prestata a plurime interpretazioni specie per quanto attiene i rapporti tra l’accertamento penale della sussistenza di un falso ed il superamento delle condizioni previste dal comma 1 dell’art 21 nonies (tempo ragionevole, sussistenza di un interesse pubblico all’annullamento dell’atto da comparare all’interesse privato alla sua conservazione) che, unitamente alla rilevata illegittimità dell’atto, costituiscono i presupposti fondanti l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi.

Un primo orientamento della giurisprudenza amministrativa, muove da quanto sostenuto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n 8/2017 in ordine al fatto che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze di fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a questi favorevole, non consente di configurare in capo all’interessato una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza che l’onere motivazionale gravante sull’Amministrazione può dirsi soddisfatto con il richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.

Se infatti è vero, in via generale, che il potere dell’amministrazione di annullare in via di autotutela un atto illegittimo incontra un limite generale nel rispetto dei principi di buona fede, correttezza e tutela dell'affidamento comunque ingenerato dall’iniziale adozione (i quali plasmano il conseguente obbligo motivazionale), è parimenti vero che le medesime esigenze di tutela non possono dirsi sussistenti qualora il contegno del privato abbia consapevolmente determinato una situazione di affidamento non legittimo.

In tali casi infatti (anche a prescindere dai profili di rilevanza penale) l’oggettiva falsità della prospettazione dei fatti rilevanti e la sua incidenza ai fini dell’adozione dell’atto illegittimo ostano alla configurazione di un affidamento legittimo e abilitano l’amministrazione a limitare l’onere motivazionale dell’annullamento in autotutela alla dichiarazione non veritiera, non sussistendo un interesse privato da salvaguardare e da porre in comparazione con quello pubblico (comunque sussistente) al ripristino della legalità violata (Consiglio di Stato, sez. VI – 18/5/2020 n. 3151; si vedano anche C.G.A. Sicilia - sez. riunite - 13/3/2018 n. 11; T.A.R Campania Napoli, sez. V – 22/7/2019 n. 402; C.G.A. Sicilia – 11/5/2020 n. 280).

In conclusione, l’orientamento sopra descritto ritiene che in presenza di una falsa rappresentazione, l’interesse pubblico all’annullamento sia in re ipsa senza che rilevi il tempo trascorso tra l’adozione del provvedimento illegittimo ed il suo annullamento.

La soluzione data al caso concreto

Seppur tale orientamento sia stato dominante sino a qualche tempo fa in ordine all’annullamento dei titoli abilitativi edilizi, vanno evidenziate pronunce, come quelle in commento, di senso opposto che con tutta probabilità risentono anche del contesto storico attuale in cui rispetto a situazioni consolidate nel tempo, alla difesa di meri principi si predilige l’ottenimento del risultato.

Nella pronuncia in commento viene posto in rilievo che le rappresentazioni non veritiere – non accertate come falso nell’ambito di un procedimento penale – non determinano l’inefficacia dei precetti che circoscrivono l’esercizio del potere di autotutela, ossia del rispetto del termine ragionevole e dell’accertamento dell’effettiva sussistenza dell’interesse pubblico concreto e attuale alla espunzione dal mondo giuridico dell’atto.

Già con la precedente pronuncia n. 6016/2021 la medesima Sezione del Consiglio di Stato, espressasi sull’annullamento in autotutela di un permesso di costruire in sanatoria, aveva chiarito che “l’incondizionata adesione alla formula dell’interesse pubblico in re ipsa può produrre effetti distorsivi, consentendo in ipotesi-limite all’amministrazione - la quale abbia comunque errato nel rilascio di una sanatoria illegittima - dapprima di restare inerte anche per un lungo lasso di tempo e poi di adottare un provvedimento di ritiro privo di alcuna motivazione, in tal modo restando pienamente deresponsabilizzata nonostante una triplice violazione dei principi di corretta gestione della cosa pubblica”.

In definitiva, secondo la pronuncia in commento, le rappresentazioni non veritiere – specie se, come nel caso in esame, non accertate con sentenza passata in giudicato – non determinano l’insorgenza di un interesse in re ipsa dell’amministrazione al ripristino della legalità violata, in quanto l’asserito “mendacio” non obbliga l’amministrazione, trascorsi vent’anni dall’adozione dell’atto, all’esercizio poteri inibitori e repressivi invocati.

Anche in questo caso, il potere d’annullamento di secondo grado deve essere esercitato entro un termine ragionevole, dovendo poi essere accertata la sussistenza dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto– ontologicamente diverso dal ripristino della legalità violata – a tutela delle situazioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.


LA SENTENZA 4360/2023 DEL CONSIGLIO DI STATO E' SCARICABILE IN ALLEGATO.

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