Cambio di destinazione senza titolo edilizio. Conseguenza: demolizione!
La normativa italiana prevede sanzioni per interventi edilizi in aree soggette a vincoli paesaggistici, storici o ambientali senza le opportune autorizzazioni. Le autorità comunali e le soprintendenze hanno il compito di vigilare sulla conformità delle opere alle norme vigenti. Ulteriori chiarimenti sono stati forniti dal TAR Campania con sentenza n. 585/2025, che precisa come interventi di variazione sostanziale di ambienti naturali, come la modifica di grotte e la loro trasformazione in locali commerciali, richieda permessi specifici e autorizzazioni, specialmente in presenza di vincoli paesaggistici o culturali.
Interventi edilizi in aree vincolate: norme, procedure e sanzioni
In edilizia, il confine tra lecito e illecito può apparire sottile, soprattutto quando si interviene su immobili inseriti in contesti di particolare valore ambientale o storico. Tra manutenzione ordinaria e interventi di maggiore impatto, tra semplici opere interne e trasformazioni sostanziali, il ruolo delle regole urbanistiche e paesaggistiche è centrale, così come quello degli strumenti repressivi a disposizione della pubblica amministrazione.
In questi casi risultano fondamentali gli artt. 27 del DPR 380/01 e 167 del DLGS n. 42/04.
Il comma 1 dell’art. 27 chiarisce che il dirigente o responsabile dell’ufficio comunale deve vigilare sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale.
Il suo compito è assicurarsi che:
- le opere siano conformi alle norme di legge e di regolamento;
- rispettino gli strumenti urbanistici (come il piano regolatore);
- nell’esecuzione siano rispettate le modalità indicate nei titoli abilitativi (permesso di costruire, SCIA sostitutiva, SCIA, CILA).
Di particolare rilevanza è il comma 2, secondo il quale si sancisce che quando il dirigente comunale accerta l'inizio o l'esecuzione di opere edilizie prive del necessario titolo abilitativo e in aree vincolate per legge o destinate a opere pubbliche o edilizia residenziale pubblica, deve ordinare la demolizione delle opere abusive e il ripristino dello stato originario.
Per le aree boschive e montane, i terreni collettivi o di uso civico e beni culturali e paesaggistici, ovvero nel caso di immobili vincolati come beni storico-artistici o archeologici o si trovi in area di inedificabilità assoluta, può intervenire anche il Soprintendente. Quest’ultimo agisce su richiesta delle autorità o d’ufficio dopo 180 giorni dall’accertamento dell’abuso.
L’art. 167 del DLGS n. 42/04 disciplina le conseguenze per le violazioni delle norme paesaggistiche e descrive le modalità attraverso cui si può giungere al ripristino dello stato originario dei luoghi. In particolare, viene stabilito che, in caso di violazione delle norme, il trasgressore è sempre tenuto a riportare l'area o l'immobile al suo stato originario, a proprie spese.
Tuttavia, nei casi meno gravi (abusi ritenuti tollerabili) l’articolo prevede anche un’alternativa alla demolizione, ossia l’accertamento della compatibilità paesaggistica. Tale provvedimento è però, come anticipato, possibile solo in alcune casistiche ristrette, come:
- i lavori non hanno comportato la creazione o l’aumento di nuove superfici e/o volumi;
- uso di materiali diversi da quelli autorizzati;
- interventi configurabili come manutenzione ordinaria o straordinaria.
In questi casi specifici, il proprietario, ovvero detentore, dell’immobile può presentare una domanda di compatibilità paesaggistica, che viene esaminata dall’autorità competente (es. Comune) entro 180 giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza da rendersi entro 90 giorni. Se viene accertata la compatibilità, il trasgressore deve comunque versare una sanzione pecuniaria commisurata al danno causato o al vantaggio economico ottenuto. Se invece la domanda è rigettata, si procede con la demolizione.
A chiarire ulteriormente come la violazione di questi articoli comporti pesanti conseguenze per il trasgressore è la sentenza del TAR della Campania n.585/2025.
L’influenza delle normative urbanistiche e paesaggistiche sulle opere edilizie
Il ricorrente ha presentato un ricorso contro il Comune di Lacco Ameno, il quale aveva emanato un’ordinanza di demolizione, ai sensi degli artt. 27 del DPR n. 380/01 e 167 del DLGS n. 42/04, per la realizzazione di una serie di opere edilizie eseguite senza gli opportuni titoli edilizi.
L’intervento, oggetto del contenzioso, riguardava la trasformazione di una grotta “naturale”, realizzata mediante scava in terreno tufaceo, in un locale a probabile destinazione commerciale. I lavori includevano la posa di pavimentazione, l’installazione di impianti elettrici e di areazione, nonché il montaggio di contropareti e controsoffittature in cartongesso.
In seguito ad un sopralluogo della Polizia Municipale, è emerso che le opere eseguite fossero di recente realizzazione (a dispetto di quanto dichiarato) e che le stesse avessero determinato una profonda alterazione dello stato dei luoghi, tanto da rendere irriconoscibile la conformazione originaria della grotta.
La superficie totale del locale è risultata pari a circa 102 metri quadrati, articolata in una zona centrale e due aree laterali adibite rispettivamente a bagno e a nicchia.
Il ricorrente si era opposto all’ordinanza comunale, sostenendo che le opere realizzate rientrassero nell’ambito della manutenzione ordinaria e straordinaria, o al massimo di interventi di restauro e risanamento conservativo, che non avrebbero richiesto il rilascio del permesso di costruire né l’autorizzazione paesaggistica.
Il TAR ha respinto integralmente le argomentazioni del ricorrente, affermando che “(…) l'onere della prova circa la effettiva natura ed entità dei lavori, ovvero circa la preesistenza e consistenza del manufatto su cui insistono i lavori rispetto ad una determinata data, grava in capo al soggetto che ha realizzato essi lavori, nella cui sfera di signoria, quale responsabile dell’abuso o proprietario, ricade la condotta (TAR Campania, VI, 26 giugno 2020, n. 2680; Cons. Stato, sez. II, 30 aprile 2020, n. 276; Cons. Stato, sez. VI, 24 gennaio 2020, n. 588); pertanto, non essendo possibile accertare lo stato preesistente dell’immobile, non è possibile accettare la ricostruzione di parte ricorrente, secondo cui sarebbero stati realizzati solo interventi di manutenzione (ordinaria o straordinaria) o, al più, di restauro e risanamento conservativo.
In realtà, ciò che si evince dall’ordinanza di demolizione è la trasformazione di una grotta naturale in un locale deposito; ciò che certo non costituisce un intervento né di manutenzione né di restauro o di risanamento. È palese la necessità sia del permesso di costruire, sia dell’autorizzazione paesaggistica, attesi i vincoli esistenti sul territorio di Lacco Ameno (…)”.
Dalla documentazione acquisita, è emersa chiaramente la trasformazione sostanziale di un ambiente naturale in uno spazio chiuso, rifinito e funzionalmente autonomo, con caratteristiche idonee a suggerirne l’uso commerciale. Un intervento di questa portata non può essere ricondotto a semplici opere di manutenzione, bensì configura una nuova costruzione ai sensi del DPR n. 380/2001. Di conseguenza, risulta necessaria un’autorizzazione paesaggistica, dato che l’area interessata è soggetta a vincoli stringenti in forza della normativa urbanistica e del Piano Paesaggistico Territoriale.
Inoltre, il TAR ha chiarito che «(…) l’abuso, peraltro, risulta insanabile anche a norma dell’art. 167 d.lgs. n. 42/2004; come pure rilevato in sede cautelare, “il regime vincolistico cui soggiace l’area che ne occupa avrebbe senz’altro imposto anche una valutazione di compatibilità con i valori ambientali e paesaggistici ivi insistenti (che deve compiersi da parte della Autorità preposta alla tutela del vincolo), necessariamente preventiva ed ex ante, essendo in via generale precluse autorizzazioni postume di opere abusive».
Infine, è infondata la seconda censura, incentrata sull’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento; infatti, secondo la consolidata giurisprudenza, i provvedimenti repressivi di abusi edilizi, costituendo manifestazione di attività amministrativa doverosa ed essendo atti vincolati, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento; e, comunque, il provvedimento non sarebbe annullabile ai sensi dell’art. 21-octies comma 2 l. n. 241/1990, atteso che – trattandosi per l’appunto di un atto dovuto - risulta palese che il contenuto dispositivo dell’impugnata ordinanza di demolizione non avrebbe potuto essere diverso se fosse stata data ai ricorrenti comunicazione dell’avvio del procedimento (…)”.
In sintesi, in contesti in cui vi siano aree soggette a vincolo paesaggistico qualsiasi intervento edilizio deve essere preventivamente autorizzato. Non è possibile ottenere un’autorizzazione dopo aver realizzato lavori abusi di carattere rilevante, rendendo quindi impossibile la sanatoria successiva dell’abuso.
Inoltre, il TAR spiega che non è valida la rimostranza del ricorrente inerente la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio, in quanto l’ordinanza di demolizione è un atto obbligatorio e automatico e anche in presenza di eventuali carenze procedurali, il risultato non sarebbe cambiato, essendo la demolizione un provvedimento doveroso.
Concludendo, intervenire su un territorio vincolato senza le necessarie autorizzazioni significa ignorare il valore storico, ambientale e culturale dei luoghi. È quindi fondamentale comprendere che prima di costruire, modificare o restaurare un immobile, occorre informarsi, chiedere, attendere tutti i nullaosta previsti. Solo così si può evitare di incorrere in sanzioni automatiche a causa della compromissione deliberata dell’identità di un territorio.
LA SENTENZA DEL TAR CAMPANIA È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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