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Codice degli Appalti Pubblici: alcune riflessioni penalistiche sul d.lgs 36-2023

L’articolo che segue riprende l’intervento di Alberto Mittone, avvocato dello Studio penale Gianaria Mittone Ronfani di Torino, presentato in occasione della tavola rotonda "Il nuovo Codice dei contratti pubblici", organizzata dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino e da ANCE Torino lo scorso 6 aprile.

Anticomia tra velocità e controllo: una storia antica

A chi frequenta altri campi giuridici, come il sottoscritto quello penale, balza in evidenza un denominatore comune.

Si tratta dell’antica e mai superata antinomia tra velocità e controllo. Come il processo penale auspica la velocità ma nel contempo pone controlli minuziosi per scongiurare l’abuso di discrezionalità, altrettanto il settore trattato dal Convegno soffre della stessa malattia.

Si sollecita la rapidità delle procedure, ma nel contempo si teme che sorgano storture, e quindi si dissemina il percorso di barriere che azzoppano l’auspicata velocità.
In questa tensione di opposti si colloca la riforma dei contratti di cui al d.lgs 36-2023.


Il controllo come

Non vi sono troppe esitazioni a delineare la nozione di velocità: pur graduata secondo livelli interni, essa è sempre posta in relazione a un risultato prefissato.

Più indefinito è il concetto di controllo: come molti termini (penso ad esempio al garantismo di cui tutti parlano ma nessuno sa bene cosa sia), anche questo soffre di indeterminatezza. Di qui la sua vaporosità e quindi la sua temibilità.
Al proposito il mondo penalistico presenta alcune modalità di intervento.


Art. 323 c.p.

La norma, riformata nel 2020, ha ora maglie stringenti che ne limitano l’intervento.
Essa si applica solo a fronte di violazioni di “regole di condotta… previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”, quindi da fonti primarie con l’esclusione dei regolamenti.

Inoltre, rileva solo l’inosservanza di regole di condotta “specifiche ed espressamente previste”, quindi escludendo il rinvio a principi generali, come avvenne in passato con l’art. 97 della Costituzione.

Infine, rileva solo l’inosservanza di regole di condotta “dalle quali non residuino margini di discrezionalità”, quindi escludendo le ipotesi di eccesso di potere sotto forma dello sviamento, come invece avvenne nel passato (Cassazione, n. 19519-2018).


Art. 353 bis c.p.

La norma fu introdotta nel 2010 per sanzionare le condotte che condizionano la predisposizione del bando di gara, per eliminare le interferenze che conducono a bandi “fasulli”, in spregio alla concorrenza e con favoritismi.

Quindi la condotta censurabile deve avvenire entro il perimetro della gara, durante la predisposizione del bando e non invece quando gli eventuali accordi illeciti avvengono prima dell’affidamento diretto (Cassazione n. 5536-2022).


Le esclusioni non automatiche

Nel provvedimento sono previste le “esclusioni non automatiche” per garantire la reputazione dell’aspirante contraente (art. 95, lettera e).

Tra queste compare “l’illecito professionale grave” (art. 98), del quale devono comparire alcuni segnalatori cioè “il mezzo di prova adeguato” (art. 87, 3 comma, lettera g), per i reati espressamente indicati (art. 94, 1 comma).

Tra questi indici (molti dei quali, a dire il vero, in palese contrasto con la presunzione di non colpevolezza costituzionalmente garantita), compare “la sentenza non irrevocabile x art. 444 c.p.p”.

Si tratta della nota pronuncia di patteggiamento, decisione che prende atto della volontà dell’inquisito di riconoscere la propria responsabilità e così vedersi riconosciuta una diminuzione di pena.

Di stampo anglosassone (“plea barganing”), è stato introdotto nel 1989 nel codice italiano per ridurre il numero dei processi pendenti, auspicando la deflazione processuale. Per essere appetibile e raggiungere quello scopo, il Codice ha previsto finalità premiali quali il non avere ripercussione in altri campi pur trattandosi di riconoscimento di responsabilità.

Sono nate incertezze e contenziosi, e per superare questa incertezza la riforma penalistica cd “Cartabia”, entrata in vigore il 30 dicembre 2022 ha stabilito che la sentenza di patteggiamento “non ha efficacia e non può essere utilizzata ai fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile”.

Nasce pertanto un problema di contemperamento tra due disposizioni in apparenza confliggenti, l’una che assegna valore esterno al processo e l’altra che lo esclude alle sentenze patteggiate.
Per non aggiungere i riflessi sulle scelte processuali dell’inquisito, il quale può decidere di astenersi dal patteggiare in vista di effetti negativi ultronei, come nel campo contrattuale.

E siamo all’inizio…


Si ringrazia l'Ordine degli Ingegneri di Torino per la gentile collaborazione

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