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Direttiva Case Green: cosa ci attende? Qualche considerazione tecnica e politica

Breve disamina del Prof. Kristian Fabbri dopo l'approvazione della nuova direttiva EPBD, che dovrà ancora subire vari passaggi e confronti prima della sua emanazione definitiva.

Breve storia della nuova direttiva EPBD

La sessione plenaria del Parlamento Europeo, a Strasburgo, nella sessione del 14 marzo 2023, ha approvato la Energy Performance Building Direttive (EPBD) alle cronache nota come “Direttiva casa green”.

Gli addetti ai lavori, i tecnici, conoscono questa direttiva, ultima revisione della Direttiva 2002/91/CE che introdusse i requisiti minimi di prestazione energetica e l’obbligo dell’attestato di prestazione energetica.

Negli ultimi due decenni la direttiva si è consolidata nel quadro legislativo europeo e nazionale, in Italia con il Dlgs 192/2005 e smi.

Le recast (revisioni) hanno via via aggiunto tasselli verso obiettivi ambiziosi come gli edifici di nuova costruzione a energia quasi zero, nel 2010.

La nuova versione della direttiva, si inserisce nel pacchetto “Fit for 55, e sposta l’asticella un poco più in alto, rivolgendo l’attenzione al patrimonio edilizio esistente e definendo l’obbligo di emissioni zero (quindi 100% rinnovabile) per gli edifici di nuova costruzione, a partire dal 1 gennaio 2026.

Nelle ultime settimane la direttiva è stata oggetto di battaglia, sia nella Commissione ITER sia in Parlamento, tant’è che nella discussione in Parlamento Europeo di ieri, la maggioranza degli interventi contro la direttiva faceva pensare, almeno al sottoscritto, uno stop, come per la direttiva sulle auto elettriche. Invece la direttiva è stata approvata con 343 voti favorevoli, 216 contrari e 78 astenuti, segno di divergenze sul tema.


L'articolo "dolente" della nuova EPBD

Il principale oggetto di scontro riguarda l’articolo 9 Minimum energy performance standards” nel quale si prevedono le deadline per l’adeguamento degli edifici esistenti sottoposti a intervento (ristrutturazione importante) che dovranno soddisfare la classe E a partire dal 2030 e Classe D dal 2033, nell’ambito di una roadmap definita dagli Stati Membri che dovrà prevedere di agire, soprattutto, sul 15% degli edifici in classe G.

L’obiettivo è, come noto, la neutralità climatica entro il 2050.

Il voto del Parlamento Europeo non è l’ultimo passaggio per l’approvazione ed emanazione della Direttiva che dovrà per il Trilogue ovvero la negoziazione tra Parlamento Europeo, il Consiglio dell’Unione Europea, dove sono rappresentati i governi degli stati membri UE, e la Commissione Europea.


Il punto tecnico

L’obbligo dell’edificio di nuova costruzione a energia quasi zero e della classe energetica E per gli edifici esistenti, dal punto di vista tecnico, comporta soluzioni tecnologiche e impiantistiche quasi obbligate.

Gli edifici di nuova costruzione dovranno essere alimentati (caldo e freddo + usi elettrici) al 100% da fonti energetiche rinnovabile, il che vuol dire soluzioni del tipo pompe di calore+fotovoltaico.

Tale soluzione è già presente nel mercato, le nuove costruzioni almeno da 5 anni a questa parte, vedono la predominanza di impianti con pompe di calore.

Gli interventi sugli edifici esistenti presentano maggiori problematiche, soprattutto nei contesti storici (centro storici) ma la direttiva consente agli Stati Membri di definire possibili deroghe.

IL DUBBIO
Resta il dubbio su cosa si intenda, a livello europeo, per Classe E. La classe energetica, dal 2002 a oggi, non è definita a livello comunitario, così come non lo sono i fattori di conversione in energia primaria dei diversi fattori di conversione. Il dibattito prevede una ulteriore possibile battaglia in ambito squisitamente tecnico.

La Direttiva è molto densa di novità: povertà energetica, sistemi tecnici per l’edilizia, obblighi relativi alla dotazione solare negli edifici, qualità dell’aria indoor, per i quali è preferibile attendere la versione definitiva.


Il punto politico

L’obiettivo politico è evidente: si vuole passare da abitazioni collegate al gas ad abitazione collegate all’elettricità, ovvero climatizzate con le pompe di calore.

La prima stesura della direttiva risale al 2021, dal punto di vista geopolitico sembra un secolo. La guerra in Ucraina, lo shift degli approvvigionamenti del gas dal fornitore russo ad altri fornitori, il prezzo del gas e tutti i cambiamenti avvenuti nell’ultimo anno, hanno influito sulla revisione della direttiva anche nel dibattito per la sua approvazione.

La “sostenibilità ambientale” è passata in secondo piano rispetto al problema della indipendenza energetica o meglio di una minore dipendenza energetica: se due anni fa lo slogan poteva essere ridurre le emissioni, ora i commenti di chi è a favore della direttiva, fanno riferimento alla riduzione dei costi energetici e della povertà energetica. (finalmente si parla di povertà energetica!)

Adrian Joyce, direttore di Renovate Europe Campaign ha dichiarato che “The Buildings Directive is THE opportunity to translate the political discourse on slashing energy imports into tangible action.” e il THE è volutamente maiuscolo.
Il primo tweet del relatore della direttiva Ciaràn Cuffe (Eurodeputato, del Green Party irlandese, facente parte del Gruppo dei Verdi/Allenza libera Europea) riporta: “Un grande passo verso la riduzione dei costi energetici, riducendo la povertà energetica e contrastare il 36% delle emissione UE”. In un altro tweet di ieri, riportava: “Insulating homes isolates Putin” a dimostrazione del ruolo della direttiva nel nuovo contesto internazionale, a mio avviso determinante.

La pace passa anche dalla riduzione dei fabbisogni energetici degli edifici. Sempre Cuffe, nella conferenza stampa , sottolinea che “We want the directive to reduce energy poverty and bring down emissions, and provide better indoor environments for people’s health. This is a growth strategy for Europe that will deliver hundreds of thousands of good quality, local jobs in the construction, renovation, and renewable industries, while improving the well-being of millions of people living in Europe.”

Mentre i favorevoli alla direttiva vedono nei nuovi obiettivi una opportunità, i paesi e partiti politici contrari ai contenuti della direttiva sono preoccupati del suo impatto sul mercato immobiliare e sul settore delle costruzioni, in particolare in Italia dove occorre riparare anche agli effetti distorsivi accelerati dalle dinamiche del Superbonus (opinione personale).

Il Ministro Gilberto Pichetto Fratin (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica) lamenta che “Manca seria presa in considerazione del contesto italiano” pertanto in sede di Trilogo si dovrà “Individuare una quota di patrimonio edilizio esentabile per motivi di fattibilità economica ” (opinione condivisibile).

L’Italia presenta una anomalia rispetto all’Europea dovuta, a mio avviso, più alla suddivisione della proprietà immobiliare (che è questione culturale, imprescindibile) che alla “storicità” degli edifici. Mettere d’accordo un’assemblea condominiale non è cosa semplice.

La Direttiva prevede incentivi finanziari e strumenti per rimuovere le barriere del mercato (articolo 15) , sarà determinante capire come e quanti soldi, come ripetuto in alcuni interventi nel Parlamento Europeo, quanti soldi l’Unione Europea sarà disposta e potrà mettere sul tavolo.

Dovrei trovare una chiusa all’articolo che, in quanto tecnico, non dia adito a polemiche o interpretazioni e, in quanto tecnico, appunto, posso osservare che dal 2010 (Direttiva 2010/31/UE) a oggi il settore delle costruzioni ha visto rivoluzioni impensabili in periodi precedenti: l’aumento dello spessore degli isolanti, la diffusione delle pompe di calore, gli edifici a energia quasi zero (per esperienza, in molti casi, zero, se non attivi) incluso il preminente ruolo dei termotecnici, prima visti come delle cenerentole o passacarte del processo di progettazione e costruzione.

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