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Dissesto idrogeologico e clima che cambia: la lezione (amara) dell’alluvione in Romagna

Le alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna tra il 2023 e il 2024 evidenziano un cambiamento nei fenomeni meteo estremi e dei loro effetti sul territorio, imponendo una revisione urgente delle strategie di gestione del territorio. Secondo il professor Brath, oltre al cambiamento climatico, è fondamentale agire su concause locali come consumo di suolo, trasformazione dei fiumi e perdita di presidio idraulico.

Negli ultimi anni, l’Italia e in particolare l’Emilia-Romagna sono state duramente colpite da eventi meteorologici estremi, che hanno riportato al centro del dibattito pubblico il tema del dissesto idrogeologico. Ne ha parlato approfonditamente il professor Armando Brath, docente dell’Università di Bologna e presidente della commissione tecnico-scientifica istituita dalla Regione Emilia-Romagna a seguito delle alluvioni del maggio 2023.

 

Eventi eccezionali o nuovo scenario?

Le piogge torrenziali del 1-3 maggio e del 15-17 maggio 2023, seguite da nuovi episodi estremi nel settembre e ottobre 2024, hanno causato danni enormi e messo in crisi interi sistemi urbani e infrastrutturali. "Per trovare qualcosa di paragonabile agli eventi del maggio 2023", ha ricordato Brath, "dobbiamo risalire al 1939". Eppure, nel solo biennio 2023-2024, si sono verificati ben quattro eventi con tempi di ritorno superiori ai 100-200 anni. Statisticamente, la probabilità che ciò avvenga è estremamente piccola, quasi nulla. Eppure è successo.

Secondo le analisi condotte dalla commissione, in alcuni bacini (come Lamone, Montone, Ronco e Senio), il tempo di ritorno delle piogge registrate ha superato i 500 anni. Una volta aggiornati i dati con l’evento effettivo, il tempo di ritorno si è più che dimezzato. Questo implica che il sistema di riferimento basato su un secolo di osservazioni storiche potrebbe non essere più adeguato. "Non dico che siano inutili, ma vanno letti alla luce di un sistema che sta chiaramente cambiando", ha affermato Brath.

 

Le cause: clima, urbanizzazione, trasformazione dei corsi d’acqua

Il cambiamento climatico è sicuramente un fattore chiave, ma non è l’unico. «Abbiamo identificato numerose concause sulle quali è invece possibile agire con interventi locali e concreti», ha sottolineato il professore.

Tra queste:

  • La trasformazione storica dei corsi d’acqua, stretti in argini e canali che ne limitano la capacità di espansione. Oggi riescono a contenere piene con tempi di ritorno di 30-50 anni, ma non eventi più estremi;
  • Il consumo di suolo, che in Italia ha raggiunto il 7,13% (contro una media europea del 4,3%), colpendo in particolare le aree di pianura, con conseguente impermeabilizzazione dei suoli e aumento dei volumi di piena;
  • La scomparsa della rete minuta di drenaggio agricolo, dovuta alla meccanizzazione delle colture: piccoli fossi di scolo, pur apparentemente marginali, svolgevano un ruolo equivalente a importanti casse di espansione;
  • Lo spopolamento della montagna, con la conseguente perdita di manutenzione delle foreste e dei terrazzamenti che impedivano l’erosione e il trasporto di materiale vegetale verso valle;
  • La difficile gestione della vegetazione fluviale, vincolata da normative ambientali (SIC, ZPS) che spesso ostacolano interventi efficaci di sfalcio e contenimento. «Una vegetazione troppo rigogliosa alza il livello dell’acqua, aumentando il rischio di esondazioni», ha spiegato Brath.

 

Modelli climatici: incertezza e limiti

Nonostante l’ampia disponibilità di modelli climatici e dati previsionali, rimane una grande incertezza. Gli scenari emissivi (RCP) analizzati dalla Commissione mostrano differenze significative: nello scenario più pessimistico, ma purtroppo, molto realistico (RCP 8.5), le piogge estreme nei bacini del Ronco e del Coccolia potrebbero aumentare fino al 45%. Ma la stessa modellistica produce risultati incoerenti tra bacini limitrofi, segno che l’attendibilità va valutata con occhio critico ed esperto.

"Non possiamo fermare da soli il cambiamento climatico, ma possiamo intervenire sulle concause", ha ribadito Brath. Questo significa ripensare l’uso del suolo, ridare spazio ai fiumi, mantenere viva la rete di drenaggio agricolo e affrontare con maggiore incisività la gestione ottimale della vegetazione fluviale.

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Idraulica e gestione dei corsi d'acqua urbani e montani

Armando Brath

Ordinario di Costruzioni Idrauliche, Marittime e Idrologia all'Università di Bologna - Presidente Associazione Idrotecnica Italiana

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