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Eliminazione e prevenzione della muffa: falsi miti da sfatare e corretti criteri di progettazione

La questione del trattamento e della prevenzione della proliferazione della muffa all’interno degli edifici è da sempre centrale nell’ambito dell’edilizia di qualità. Approfondiamo insieme le caratteristiche e i rischi collegati a queste formazioni micotiche, mettendo a confronto contromisure errate più o meno diffuse e soluzioni realmente efficaci collegate a Standard progettuali e costruttivi d’eccellenza.

Cosa si intende esattamente per Muffa, e che genere di rischi comporta per l’edificio e i suoi abitanti?

Con il termine “muffa” si intende una tipologia di microrganismi appartenente al vastissimo gruppo dei funghi, un insieme che conta oltre un milione di miceti differenti. Le muffe possono formarsi e crescere sia in ambienti aperti che chiusi, e si calcola che le varietà in grado di proliferare in un contesto domestico siano circa trecento.

Questi microrganismi presentano caratteristiche diverse in termini di genesi, sviluppo, ciclo di vita, adattabilità alle condizioni ambientali e rapporto con gli altri esseri viventi: ad esempio le muffe che proliferano sulle pareti degli edifici differiscono da quelle che tipicamente interessano certi tipi di formaggio, ed entrambe sono dissimili da quelle che trovano ospitali le superfici in pelle o in lana degli abiti lasciati a lungo negli armadi.

È stato riscontrato che circa un’ottantina di varietà può causare negli esseri umani disturbi respiratori di vario genere, e che delle trecento adatte ad un ambiente casalingo solo una sessantina raggiunge una diffusione considerevole. Ad essere ulteriormente precisi, le più comuni sono cinque, e quelle che comportano maggiori rischi allergologici quattro, identificate come Alternaria alternata, Cladosporium herbarum, Aspergillus fumigatus e Penicillium.

Purtroppo, all’esiguo numero di muffe particolarmente insidiose non corrisponde un’incidenza di sensibilizzazione nei soggetti umani altrettanto ridotta: si calcola che a livello globale una risposta negativa a questi microrganismi interessi una porzione di popolazione compresa tra il 3% e il 10%, incidenza che, per quanto riguarda le persone affette da asma, raggiunge la vetta dell’80%.

La muffa predilige in generale un clima caldo e umido, con temperature comprese tra i 15 °C e i 30 °C, ma come tipo di organismo dimostra un’ottima adattabilità, riuscendo ad insediarsi ovunque vi sia umidità e nutrimento sufficiente, con varietà che proliferano anche a temperature elevate, comprese nel range 35 °C - 50 °C, e altre che possono resistere in maniera silente anche sotto una coltre di neve, per poi riattivarsi pienamente al disgelo.

A livello di riproduzione, questa avviene tramite spore, veicolate attraverso aria, acqua o insetti, e le colonie di norma colpiscono le aree più umide e buie della casa, come cantine, seminterrati, soffitte e bagni, all’interno delle quali si collocano con particolare frequenza su superfici quali pareti coperte da mobilio, porte delle docce, vassoi di raccolta della condensa dei frigoriferi, tappeti, tende, bidoni della spazzatura, pannelli dei controsoffitti e d’isolamento, piani e strutture in legno, muri in cartongesso, cassonetti per tapparelle, materassi e imbottiture di mobili e di cuscini.

Le muffe che preferiscono gli ambienti chiusi, la categoria che più frequentemente si insinua nelle nostre abitazioni danneggiando sia la salute degli inquilini che la salubrità delle strutture, mostra un’incidenza nei Paesi con clima freddo tra il 5% e il 10% del totale del patrimonio immobiliare, mentre in quelli con clima caldo tra il 10% e il 30%.

Le cause scatenanti più comuni per la formazione di agglomerati micotici in contesti abitativi sono difetti nella posa in opera della coibentazione, infiltrazioni di acqua piovana, condensa e umidità dell’aria, scarsa traspirabilità delle pareti, errati e reiterati processi di riscaldamento degli ambienti, insufficiente ventilazione degli spazi interni dell’edificio o presenza di ponti termici, ovvero zone della struttura edilizia in cui si riscontra una discontinuità dell’isolamento termico, in cui il flusso di calore che attraversa l’elemento costruttivo (solitamente elementi strutturali come solai, pareti verticali o pareti che tra esse formano angoli retti) presenta una differenza di temperatura tra interno ed esterno in un determinato lasso di tempo maggiore rispetto a quelle delle altre parti che compongono l’edificio, generando dispersione di calore.

In Italia, lo sappiamo bene, il percorso per una residenzialità di qualità, efficiente, salubre e confortevole, è ancora piuttosto lungo.

La formazione di muffa, pericolosa tanto per gli esseri umani che vivono nella casa, quanto per la struttura stessa dell’immobile, rientra senza dubbio tra i più rilevanti fattori di disagio e malessere di un contesto abitativo. Nel corso del SAIE di Bari di ottobre 2021, quando era trascorso più di un anno e mezzo dall’inizio delle restrizioni agli spostamenti dovuti alla Pandemia di COVID-19, e quindi quando si era nel pieno di quella sorta di nuova presa di coscienza dell’importanza fondamentale di una condizione abitativa di buon livello, furono prodotti dati preoccupanti in riferimento alla diffusione della muffa nel nostro patrimonio residenziale. Le stime parlarono infatti di una media nazionale attestata sul 14% della popolazione residente, oltre 8.370.000 italiani costretti a vivere in edifici con evidenti problematiche strutturali o di umidità, un tasso in crescita di quasi un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Nell’analisi per aree geografiche, si esplose il dato medio indicando che questa condizione preoccupante gravava nel Sud Italia sul 15,5% della popolazione residente, nel Centro sul 13,4% e nel Nord sul 13%.


Gli effetti degli incentivi fiscali nell'efficientamento degli edifici

Nell’arco di tempo trascorso dall’Analisi del SAIE, l’Edilizia in Italia ha vissuto stagioni di profondo rinnovamento e dinamicità. La politica nazionale e comunitaria ha sviluppato una chiara direzione per il futuro del settore delle costruzioni, un percorso fatto di efficientamento energetico, risanamento degli immobili pubblici e privati, riduzione dell’impatto ambientale e di affermazione di una maggior autonomia energetica europea, rispetto alla dipendenza da fornitori extra UE con cui è stato via via più complesso mantenere stabili e proficui rapporti commerciali.

Questa prospettiva, di per sé assolutamente corretta e, anzi, più che benvenuta, ha portato in Italia alla campagna di incentivazione e agevolazione fiscale che tutti conosciamo, declinata nei diversi sistemi Bonus ristrutturazione, Ecobonus e Superbonus che tanto movimento hanno generato nell’ampia filiera delle costruzioni.

Una ventata di rinnovamento cui, è inutile girarci intorno, è andata a corrispondere anche una certa confusione, e in molti casi una corsa precipitosa a soluzioni “standardizzate” che non solo ha ridotto la portata della potenziale ottimizzazione, ma che con ogni probabilità provocherà effetti indesiderati già nel medio periodo.

Il “salto di due classi” che è andato per la maggiore, infatti, frequentemente concretizzato con la realizzazione di un involucro termico ad alte prestazioni e con l’installazione di infissi di ultima generazione, non ha pressoché in alcun caso previsto una minuziosa risoluzione dei ponti termici né l’introduzione di un sistema di Ventilazione Meccanica Controllata.

Un’anticipazione di ciò che questo approccio parziale e frettoloso alla ristrutturazione comporterà? Beh, quando ad un edificio tradizionale di bassa fascia energetica elimini la stragrande maggioranza degli spifferi e inserisci finestre e portefinestre con ottima tenuta, vai paradossalmente a peggiorare una situazione che aveva trovato un suo precario equilibrio: calore e umidità saranno immagazzinati negli spazi interni senza più avere valvole di sfogo, il ricircolo dell’aria sarà ostacolato da una coibentazione non integrata da opportuna ventilazione, le differenze di temperatura andranno a concentrarsi in corrispondenza dei ponti termici non risolti e nel suo complesso l’edificio presterà il fianco a importanti proliferazioni di muffa.

Il rischio concreto, e a ben vedere annunciato, sarà quindi quello di aver indirizzato ingenti e preziose risorse in operazioni di ottimizzazione energetica che, per mancanza di una efficace e strategica progettazione integrata, arrecheranno alle strutture abitative, e ancora peggio a inquilini e residenti, danni cui sarà necessario porre rimedio con ulteriori, nuovi interventi, speriamo ancora una volta non solo di facciata.

Le muffe domestiche non causano infatti solo il deterioramento delle finiture dell’immobile e dell’arredamento, ma alla lunga vere e proprie situazioni di logoramento di pareti, soffitti ed elementi strutturali, soprattutto in costruzioni in legno in cui siano presenti parziali condizioni di marcescenza, nonché problemi di salute anche significativi negli esseri umani con cui entrano in contatto.

Tra questi, figurano senz’altro irritazioni agli occhi e alla pelle, e patologie allergiche alle vie respiratorie superiori e inferiori, come rinite allergica e asma allergico, con sintomi che possono manifestarsi a ridosso dell’esposizione o dopo qualche tempo, e che comprendono congestione nasale, starnuti, occhi arrossati e lacrimazione, respiro sibilante, tosse, prurito a naso, occhi e gola, cute arrossata e desquamata. Altre complicazioni possono essere la sinusite allergica fungina, l’aspergillosi broncopolmonare allergica e la polmonite da ipersensibilità, con quadri patologici che naturalmente si aggravano in presenza di soggetti già in partenza asmatici o immunodepressi.


Tecniche di eliminazione e prevenzione della muffa: una tematica piena di falsi miti da sfatare

Come abbiamo avuto modo di vedere, il proliferare di muffe è una condizione purtroppo molto diffusa in edifici di ogni regione italiana, che implica rischi notevoli tanto a livello di struttura edilizia quanto a livello di salute delle persone, e che non solo non conoscerà una vera e propria battuta d’arresto, ma che anzi in certi casi renderà ancor più urgenti nuovi interventi di risanamento.

Come spesso accade, intorno ad una questione di un certo grado di complessità, sono sorte numerose procedure inesatte di soluzione, molteplici tecniche di trattamento e prevenzione che nella migliore delle ipotesi si rivelano parziali e temporanee, ma che in taluni casi si mostrano davvero totalmente inefficaci.

Ecco, se hai sentito parlare in prima persona di qualcuno dei seguenti “falsi miti” sulla buona gestione delle formazioni fungine in un contesto domestico, o anche se ti sono state riportati per interposta persona, i prossimi paragrafi potranno esserti particolarmente utili nella prospettiva di fare effettiva chiarezza in materia di muffa e concentrazione di umidità in casa.


1. La muffa sulle pareti è sinonimo di umidità di risalita

È un’affermazione che si sente abbastanza frequentemente, e che indica come origine della comparsa della muffa sulle pareti una inefficace coibentazione dell'attacco a terra. Pur essendo una situazione certamente negativa, e che richiede mirati interventi, non è certamente l’interruzione della coibentazione alla base dell’edificio la principale causa della proliferazione delle formazioni fungine sulle pareti della casa, ma piuttosto una concausa. A dover essere indagati con priorità sono senza dubbio accumuli di umidità interni alla casa dovuti a scarsa o assente ventilazione, ponti termici sulle superfici verticali, in corrispondenza dei nodi fra pareti, balconi e solai, situazioni di ombreggiamento eccessive e infiltrazioni dal tetto.


2. Non è necessario un frequente ricambio dell’aria, perché i muri respirano per proprio conto

Questa è una delle credenze più diffuse e rischiose, in termini di aggravarsi del fenomeno di accumulo dell’umidità all’interno dell’edificio. Purtroppo si tratta di un’espressione in voga non solo tra privati cittadini estranei al mondo dell’edilizia, ma impiegata e ripetuta anche tra troppi progettisti, artigiani e titolari di imprese di costruzione. In realtà, i muri non “respirano” affatto, o comunque non dovrebbero respirare: ciò significherebbe "pompare" all'interno delle stratigrafie fredde un'enorme quantità di condensa che fluisce attraverso gli spifferi (da dove il muro "respira"...), danneggiando significativamente la qualità degli elementi costruttivi. Allora se non "respirazione", perlomeno "traspirazione"... Occorre osservare su questo che la capacità media di traspirazione delle pareti è comunque minima, dal momento che l’assorbimento e il rilascio di vapore si attesta in media intorno al 2% del totale ricevuto. Posto che un approccio corretto alla realizzazione di pareti e solette è quello di partire dall’interno con strati impermeabili o poco permeabili al passaggio del vapore, per poi proseguire con strati più traspiranti verso l’esterno, così da ridurre al minimo la quantità di vapore acqueo assorbito e agevolarne anzi il rilascio all’infuori dell’immobile, non esistono soluzioni sostitutive ad una corretta ventilazione degli ambienti interni, che garantisce valori di umidità assoluta contenuti nel range di comfort e di salubrità.


3. Aprire le finestre una mezz’oretta al mattino scongiura il formarsi di muffa

Un altro mito assolutamente da sfatare è quello della pratica dell’arieggiamento concentrata in trenta minuti ogni mattina. In primis, perché il calcolo è fondamentalmente sbagliato: il volume d’aria necessario a rendere ottimale la ventilazione si attesta infatti in un ben più impegnativo 20 minuti ogni ora. Inoltre, “aprire le finestre al mattino per arieggiare le stanze” provoca una ingente dispersione di calore, soprattutto nei mesi più freddi dell’anno, permettendo fra l'altro l'ingresso di particelle inquinanti, pollini, polvere, insetti, odori fastidiosi o rumori molesti. Se quindi è vero - come è vero - che il ricambio dell’aria interna è una procedura utilissima per evitare la formazione di agglomerati micotici, la soluzione sicuramente più valida è l’adozione di sistemi di ventilazione meccanica controllata, meglio ancora nella versione con recupero di calore.

...continua la lettura nel PDF.

L'articolo continua con altri falsi miti da sfatare e con le indicazioni e i criteri per una progettazione a regola d'arte. 



La tutela della salubrità dell’edificio, che comprende certamente l’eliminazione del rischio di proliferazione di organismi micotici, segue le stesse regole delle best practices dell’efficientamento energetico: conoscere approfonditamente i prodotti, le tecniche e le strategie del costruire con qualità, meglio se alla luce di protocolli progettuali ed esecutivi di comprovata validità come ad esempio lo standard Passivhaus.

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