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Gazebo di legno, dubbi e risposte: opera precaria o nuova costruzione? SCIA o permesso di costruire?

Tar Marche: non è un’opera precaria un gazebo di rilevanti dimensioni in legno avente superficie complessiva di circa 40 mq e altezza di 3 metri, utilizzato per la somministrazione di alimenti

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Abbiamo parlato spesso, anche negli approfondimenti del nostro Ermete Dalprato, di opere precarie, temporanee, permanenti. Ancora una volta ci imbattiamo in una sentenza sul tema, dove stavolta si disquisisce di un gazebo in legno, avente superficie complessiva di circa 40 mq e altezza di 3 mt., utilizzato per la somministrazione di alimenti, che era stato realizzato in virtù di una D.I.A. (oggi l'equivalente di una SCIA).

La domanda è: deve considerarsi un intervento di nuova costruzione o un’opera precaria? Per il Tar Marche, che si è occupato del caso nella sentenza 137/2020, è senza dubbio una nuova costruzione perché si tratta di una struttura “pesante”, stabilmente infissa al suolo.

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Leggi anche: "Temporaneo e permanente: una differenza concettuale tradotta in numero", l'approfondimento di Ermete Dalprato

Le discriminanti per la precarietà dell'opera edilizia

Il comune, nel nostro caso, non aveva ritenuto di ordinare la rimessione in pristino di tale gazebo, antistante l’immobile confinante con quello dei ricorrenti. Per il Tar, sbagliando, in quanto:

  • il manufatto per cui è causa non può essere ricondotto alla tipologia di cui all’art. 3 del Regolamento Edilizio Comunale (norma che il Comune ha richiamato nell’atto impugnato per giustificare il mancato esercizio del potere di repressione in materia edilizia). 5.1.1. L’art. 3, comma 2, let. b), del R.E.C. nella versione vigente ratione temporis stabilisce che sono realizzabili in forza di d.i.a., fra gli altri, “gazebi isolati o addossati ad una parete dell'edificio esistente, coperti con telo ombreggiante”. Il successivo art. 5, let. g), include fra gli interventi di c.d. edilizia libera le “…opere di sistemazione degli spazi esterni…”, specificando però che “….dette opere sono soggette a D.I.A. o al Permesso di costruire, quando comportino opere murarie o consistenti rimodellamenti del terreno oppure ricadano sotto la disciplina del D.Lgs. 22. 01.2004, n. 42 (ex leggi 1 giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497)…”;
  • sono da considerarsi in ogni caso interventi di nuova costruzione “…e) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”;
  • il gazebo rientra fra gli interventi di nuova costruzione per i quali è richiesto il titolo edilizio “maggiore”. Il Comune ha voluto consentire la realizzazione con semplice d.i.a. di gazebo “leggeri” (ossia finalizzati più che altro a riparare i frequentatori dei locali di intrattenimento dal sole o dall’umidità serale, il che è confermato dal fatto che la norma limita ai soli teli ombreggianti le modalità di realizzazione della copertura) e non infissi stabilmente al suolo. Ma il gazebo per cui è causa, al contrario, si presenta come una struttura “pesante”, stabilmente infissa al suolo e idonea a pregiudicare i diritti di veduta dei terzi confinanti;
  • la giurisprudenza amministrativa ha da tempo basato la differenza fra le opere c.d. precarie o stagionali e quelle aventi rilievo edilizio non tanto sulle modalità di infissione al suolo, quanto sull’utilizzo che il proprietario ne fa. E soprattutto in tema di manufatti destinati alle attività di ristorazione, di intrattenimento, etc., il principio consolidato è nel senso di affermare la natura non precaria di tutti quei manufatti che vengono utilizzati per l’intero anno o comunque per periodi non limitati e che, dunque, non vengono di fatto rimossi periodicamente (ex multis, Cons. Stato, n. 4438/2013 e n. 2842/2014).

Il gazebo a chiosco non è attività edilizia libera

Il Tar arriva alla conclusione: il gazebo in questione presenta una copertura in legno, delle gronde e delle caditoie, il che prova che esso è stato concepito per restare in situ per un tempo indefinito.

Come osservano correttamente i ricorrenti, il manufatto non è qualificabile come pertinenza, visto che, per giurisprudenza altrettanto consolidata, la nozione di pertinenza urbanistica non coincide con quella civilistica (ex plurimis, Cons. Stato, n. 7822/2003). Il manufatto in questione, in effetti, non è un modesto accessorio dell’immobile adibito a ristorante, ma è un locale autonomo e idoneo ad ampliare in modo permanente la capacità ricettiva del ristorante stesso.

Esso, quindi, va demolito in assenza di permesso di costruire. La DIA (oggi SCIA) non basta.

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