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Il calcestruzzo Auto-Riparante

La necessità di utilizzare calcestruzzi più durevoli è una peculiarità che oggi giorno è sempre più sentita tra gli addetti ai lavori grazie anche alla nascita di nuove norme/raccomandazioni nazionali ed internazionali.
La durabilità del calcestruzzo è principalmente legata al rapporto acqua/cemento: più basso è questo, più alta è la sua resistenza agli attacchi chimico-fisici a cui le armature potrebbero essere soggette. Tale parametro comunque non è il solo responsabile della durabilità dell’opera: la stessa progettazione, la messa in opera e la successiva stagionatura sono altrettanto importanti per le caratteristiche di vita utile della struttura.

Se le armature si degradano, è necessario un intervento massivo che comporta investimenti in termini di tempo, di energia ed ovviamente di denaro, quindi perché non pensare ad un materiali che ha la capacità di auto ripararsi? I primi esperimenti in tal senso furono condotti negli Stati Uniti negli anni ’90, introducendo nel calcestruzzo fibre cave contenenti resine che in caso di formazione di fessurazioni si rompevano liberando i componenti interni che reagendo (tra loro o con le sostanze chimiche presenti nella matrice cementizia) indurivano nella fessura sigillandola: nacque così il concetto di Self-Healing.

Tipologie e meccanismi
La parola “Selh-Healing” racchiude in se diversi significati, in quanto ne esistono due tipologie: il self-healing autogeno, ed il self-healing autonomo.
Il primo tipo avviene senza introdurre alcun composto volontariamente, in quanto il fenomeno accade naturalmente attraverso differenti meccanismi d’azione, il più delle volte combinati tra loro:
a) Formazione di calcio carbonato dall’idrossido di calcio e l’anidride carbonica disciolta nell’acqua
b) Riempimento della fessura tramite impurità presenti nell’acqua
c) Formazione di composti solidi derivanti dall’idratazione di cemento rimasto anidro o di costituenti a carattere idraulico (cenere volante, loppa d’altoforno, …)
d) Espansione del gel di cemento


Ref. Schlangen E. Fracture mechanics. CT5146 Lecture Notes. In: Hua X. Selfhealing of Engineered Cementitious Composites (ECC) in concrete repair system. Master thesis, Delft University of Technology; 2010

Le foto seguenti dimostrano come la formazione di cristalli di carbonato di calcio riempiono la fessura dando un’apparente monoliticità a tutto il materiale: dopo l’innesco della fessura (a), se il conglomerato viene maturato in condizioni di cicli bagnato/asciutto, la cristallizzazione avviene progressivamente nel giro di 28 giorni (b) fino alla sua completa sigillatura dopo 60 giorni (c)

      
(a)                                             (b)                                            (c)

Il self-healing autonomo invece è caratterizzato dall’introduzione nella matrice cementizia di composti specifici adibiti alla sigillatura delle fessure quando innescate da eventi esterni: generalmente la ricerca si orienta sull’utilizzo di capsule contenenti agenti in polvere (come leganti, espansivi o agenti di cristallizzazione), oppure resine mono o bi-componenti. Il meccanismo d’azione dei primi è una simulazione del self-healing autogeno, indotto appunto da composti volontariamente introdotti, mentre nel secondo caso si ha una vera e propria polimerizzazione delle resine. Una menzione particolare per questa categoria è l’utilizzo di batteri resistenti all’ambiente alcalino del calcestruzzo che opportunamente alimentati producono carbonato di calcio insolubile nelle fessure.



Spore di batteri al microscopio elettronico (Self-Healing Concrete - INGENIA ISSUE 46 MARCH 2011)


La ricerca che affianca microbiologi e ingegneri civili presso l’Università di Delft (Olanda) procede alacremente, e ci si aspetta che un’applicazione reale possa essere fattibile entro il prossimo quinquennio.
 

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