Il permesso di costruire in sanatoria è illegittimo se successivo all’acquisizione al patrimonio comunale
La Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che, una volta decorso il termine per la demolizione del bene, il precedente proprietario perde ogni titolo e legittimazione ad avanzare richieste di sanatoria. Ogni decisione sul mantenimento o sulla demolizione dell’opera abusiva spetta unicamente al Comune, il quale, mediante deliberazione consiliare, può valutare l’esistenza o l'assenza di prevalenti interessi pubblici, nonché l’assenza di contrasti con esigenze urbanistiche, ambientali o di tutela del territorio.
Permesso di costruire in sanatoria dopo l’acquisizione dell’immobile
Il permesso di costruire in sanatoria consente di regolarizzare opere edilizie realizzate senza titolo abilitativo. Lo scopo è quello di riportare alla legalità quegli interventi eseguiti in assenza o in difformità dal permesso di costruire. Ciò naturalmente deve avvenire nel rispetto della norma, tra cui la cosiddetta doppia conformità (anche imperfetta, come introdotta dal decreto Salva Casa).
Tuttavia, la questione diventa più articolata quando il rilascio del permesso in sanatoria viene richiesto dopo che l’immobile abusivo sia stato già acquisito al patrimonio comunale (in modo automatico) a seguito dell’inerzia del responsabile dell’abuso nel provvedere alla demolizione entro i termini previsti.
In particolare, secondo il comma 3 dell’art. 31 del DPR 380/01, se “il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita. Il termine di cui al primo periodo può essere prorogato con atto motivato del comune fino a un massimo di duecentoquaranta giorni nei casi di serie e comprovate esigenze di salute dei soggetti residenti nell'immobile all'epoca di adozione dell'ingiunzione o di assoluto bisogno o di gravi situazioni di disagio socio-economico, che rendano inesigibile il rispetto di tale termine”.
Quindi se il responsabile dell’abuso non demolisce l’opera entro 90 giorni da quando riceve l’ingiunzione dal Comune, allora quest’ultimo diventa automaticamente proprietario non solo dell’edificio abusivo ma anche del terreno su cui l’abuso è stato realizzato (nonché dell'area limitrofa che servirebbe per rifare legalmente un edificio simile).
La norma prevede quindi che, decorso il termine per la demolizione, il bene abusivo non eliminato diventi automaticamente di proprietà pubblica.
Ciò detto, ci si interroga allora se, una volta avvenuta l’acquisizione, sia ancora possibile sanare l’abuso oppure se tale acquisizione precluda definitivamente ogni possibilità di regolarizzazione. In tale situazione, il rilascio successivo di un titolo abilitativo potrebbe dare origine a controversie complesse.
Tale questione viene affrontata dalla sentenza n.5536/2025 della Corte di Cassazione, nella quale si chiarisce se il permesso di costruire in sanatoria, rilasciato successivamente all'acquisizione al patrimonio comunale, sia legittimo o meno.
Illegittima la sanatoria richiesta da chi ha perso la proprietà del bene
La Corte di Cassazione fornisce un importante chiarimento sui limiti temporali per ottenere la sanatoria edilizia e sulle conseguenze dell'acquisizione automatica degli immobili abusivi al patrimonio comunale.
La vicenda nasce con una sentenza del Tribunale di Nola con cui veniva ordinata la demolizione di alcune costruzioni abusive realizzate dal ricorrente.
Già prima, nel 2006, il Comune di Cicciano aveva emesso un’ordinanza per chiedere la demolizione delle opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi. Nell’ordinanza, il Comune aveva anche avvisato che, se il ricorrente non avesse eseguito la demolizione entro il termine previsto, tutto il terreno su cui erano state realizzate le costruzioni sarebbe stato acquisito automaticamente al patrimonio comunale.
Non avendo avuto nessun riscontro da parte del ricorrente, passati più di 90 giorni dalla notifica il terreno è stato automaticamente acquisito dal Comune, secondo quanto stabilito dall’art. 31 del DPR 380/2001.
Il ricorrente cerca di ottenere, nel 2023, un permesso di costruire in sanatoria per tutti gli abusi realizzati, nonostante l'immobile fosse già stato acquisito al patrimonio comunale nel 2014. Secondo lui, l’acquisizione aveva riguardato solo una parte della proprietà e il rilascio del permesso avrebbe impedito l’esecuzione dell’ordine di demolizione delle opere abusive.
La Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che “(…) il Tribunale di Nola ha correttamente sottolineato che il decorso infruttuoso dei 90 giorni dalla notifica dell'ordinanza di demolizione emessa dal Comune aveva comportato l'automatica - ed ope legis - acquisizione del bene al patrimonio indisponibile dell'ente. A partire da quel momento, dunque, l'interessato, non più titolare dell'immobile, vantava un interesse ad agire esclusivamente con riguardo alla demolizione, come peraltro affermato e ribadito dalla costante giurisprudenza di legittimità (...), il condannato può chiedere la revoca dell'ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all'esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse (…)”
La Suprema Corte chiarisce che una volta avvenuta l'acquisizione automatica del bene, il precedente proprietario perde completamente la legittimazione ad agire per ottenere la revoca dell'ordine di demolizione, salvo il caso in cui intenda provvedere spontaneamente all'esecuzione del provvedimento demolitorio.
Inoltre viene precisato che (…) l'ordinanza impugnata ha poi evidenziato che sussiste incompatibilità tra l'acquisizione gratuita e l'ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna soltanto se, con delibera consiliare, l'ente locale stabilisce di non demolire l'opera acquisita ai sensi dell'art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380/2001, il quale prevede che «l'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico» (…). In particolare (…) il permesso di costruire in sanatoria, successivo all'acquisizione al patrimonio immobiliare del Comune, è illegittimo, in quanto emesso a favore di un soggetto che non era più titolare del bene, spettando al Comune di stabilire se mantenere o demolire l'opera (...).”
Quindi il permesso di costruire in sanatoria, quando rilasciato successivamente all'acquisizione al patrimonio comunale, risulta illegittimo in quanto emesso a favore di un soggetto che non è più titolare del bene. Inoltre, la Corte ha precisato come spetti esclusivamente al Comune stabilire, con deliberazione consiliare, se mantenere o demolire l'opera acquisita, valutando l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e verificando che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico.
Concludendo, la Cassazione ha quindi ribadito che, una volta avvenuta l’acquisizione, solo il Comune può decidere, con apposita delibera, se mantenere l’opera abusiva per ragioni di prevalente interesse pubblico o procedere alla sua demolizione. In conclusione, la sanatoria edilizia non può essere invocata in ritardo per paralizzare gli effetti dell'accertamento di conformità di un’opera, né tantomeno per annullare un ordine di demolizione già divenuto esecutivo.
LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE È SCARICABILE IN ALLEGATO.
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L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.
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