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Integrare digitalmente la Filiera nelle Costruzioni?

Una riflessione del prof. Angelo Ciribini circa i presupposti che potrebbero portare ad un'effettiva svolta digitale del settore della costruzione.

Normalizzazione delle transazioni informative

Il CRESME ha chiaramente evidenziato, nelle sue analisi più recenti, come il settore della costruzione, accanto a quello dell’immobiliare, presenti una forte incidenza in relazione all’economia del Paese, ma, al contempo, goda di una immagine e di una reputazione inferiori alla propria rilevanza.

Tale fenomeno si può addebitare a una molteplicità di fattori, tra i quali risaltano la frammentarietà del versante della domanda e di quello dell’offerta, la eterogeneità delle identità attoriali e l’attitudine competitiva e antagonistica.

La tesi che, di conseguenza, si propone da più parti con insistenza è che la progressiva digitalizzazione del comparto, da intendere quale facilitatrice degli emergenti valori della sostenibilità e della circolarità, possa essere in grado di riconfigurare la filiera e le catene di fornitura in maniera più resiliente alle turbolenze sempre più frequenti del mercato.

Per questa ragione, a partire dalla convergenza sui protocolli relativi agli scambi di dati (strutturati in informazioni) inerenti ai prodotti della costruzione, la cui origine deriva dalla componente manifatturiera dell’indotto al fine di essere indirizzata ai destinatari finali (appartenenti al ceto professionale e a quello imprenditoriale) tramite la rete della distribuzione commerciale, si prefigura un processo di efficientamento che traguardi l’obiettivo del recupero di produttività, espressa secondo diverse metriche.

Sotto questo profilo, l’ormai abusato, ma irrinunciabile, acronimo BIM (Building Information Modeling), che come parte che sta per il tutto rimanda all’innovazione digitale, dischiude la strada a una serie di tematiche (dalla notarizzazione per mezzo dei registri distribuiti alla intelligenza artificiale, dall’Internet of Things alla manifattura additiva, dall’automazione alla realtà immersive, miste e aumentate, e così via) che ormai riempiono l’immaginario e la pubblicistica del settore, che attualmente culmina con il famigerato Digital Twin, il cosiddetto gemello digitale.

Se, tuttavia, non ci si limita alla superficie della narrazione, ci si accorge facilmente come proprio la normalizzazione delle transazioni informative inerenti ai prodotti (che sarà, ovviamente, oggetto privilegiato delle iniziative comunitarie del Digital Product Passport e della Construction Products Regulation) implichi, in primo luogo, il dover affrontare, come si sta facendo in sede di normazione nazionale e sovranazionale, oltreché internazionale, la definizione di dizionari dei dati e di modelli di dati che, a sua volta, rimanda alla determinazione di ontologie e di semantiche.

Non si tratta, a questo proposito, di tecnicalità circoscritte, bensì della effettiva posta in gioco, perché la risoluzione di tali questioni deciderà l’identità delle entità che governeranno gli ecosistemi digitali e i Digital Market Place all’interno dello Spazio Europeo (e di quello Nazionale) dei Dati: una tematica, quest’ultima, che vedrà una evoluzione significativa nel breve termine, dapprima a livello orizzontale e, successivamente, a livello verticale.

Costituire un ecosistema digitale per le transazioni dei dati

Non per nulla, le parole chiave che improntano la riflessione e l’operatività in oggetto sono univocità e disambiguazione: in definitiva, si tratta di consentire agli operatori del mercato di transare dati e contratti a partire dalla definizione di metadati e di dati strutturati, interrogabili e analizzabili.

È palese a chiunque conosca l’essenza e la storia del settore che questa ambizione, basata sulla nozione di informazione, sia assai antica e stia alla base di qualunque progetto riformista volto all’introduzione di una cultura e di una prassi industriale nel settore, puntualmente arenatosi ogni volta nelle secche di una resistenza efficace, immancabilmente attuata per assimilazione anziché per rigetto, come già si intravede ancor oggi laddove l’intento sia sposato da diversi luoghi in maniera unilaterale.

In realtà, la natura ultima della costituzione di un ecosistema digitale per le transazioni nel settore non può che riflettersi nel fenomeno della Platformization che cela un paio di incognite formidabili: la detenzione del potere di influenza sul sentimento degli attori che vi insistono da parte di soggetti esterni (l’etero-direzione) e la semi-automazione dei processi decisionali agiti dai dati all’interno di Workflow azionati da analitiche predittive e supportati dalla Business Intelligence.

Il che dovrebbe indurre il comparto a procedere nella direzione sopraddetta non prima di avere acquisito una consapevolezza e un pensiero critico in rapporto allo scenario, abbandonando, anzitutto, la retorica del settore digitalmente arretrato.

La sfida, infatti, non risiede in un affannoso recupero di implementazione delle soluzioni tecnologiche, ma nel concertare quali siano i presupposti affinché una digitalizzazione non autoreferenziale, incentrata sull’innervamento dei valori e degli esiti attesi dalle declinazioni circolari e sostenibili dei prodotti e dei processi per gli edifici, per le infrastrutture e per le reti, ne possa decretare il successo.

Presupposti per una vera svolta digitale del settore

Questo è il motivo per cui non possa esistere una svolta digitalmente supportata del settore nei confronti della cultura industriale, intesa nella sua accezione più densa, in assenza di una politica, o almeno di una strategia industriale.

È del tutto evidente, infatti, che tale svolta non possa che rivelarsi eterotopica: sarebbe, in effetti, un grave errore pensare che essa possa verificarsi internamente a una tecno-logica, basata su Data Lake interrogabili e su Data Base interoperabili senza avere prima chiarito, all’interno della filiera, quali siano i limiti del cambiamento accettabili (si pensi al tema del nanismo dimensionale o a quello della cultura gestionale) e come si possano riposizionare i soggetti che vi insistono entro la catena del valore: figurarsi, poi, se la razionalizzazione (un tempo si sarebbe detto l’ottimizzazione) dei processi decisionali e dei modelli organizzativi dovesse estendersi dalla produzione e dalla distribuzione alla commissione, alla concezione, alla realizzazione e alla gestione dei cespiti cyber-fisici.

Ciò che serve, dunque, con urgenza, per evitare, una volta ancora, una forte delusione delle aspettative, come accadde al tema, non a caso, della industrializzazione edilizia del secolo scorso, è la volontà e la capacità di accettare un confronto tra le rappresentanze, anche duro e franco, che individui i margini di integrazione tra le identità, le convenienze e le culture specifiche, senza abbandonarsi a confronti con settori come l’aerospaziale o come l’autoveicolo.

Ciò che sta accadendo in Francia, ad esempio, con la transizione dal Projet National MINnD a MINnD 2050 è la possibilità di ricevere pieno riconoscimento paritario con quei settori, senza esserne emulatori: secondo un Esprit de Système da acquisire, la vera svolta.

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