Digitalizzazione
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Incognite e sfide della digitalizzazione Consapevole & Responsabile nel settore dell'ambiente costruito

La digitalizzazione del settore della costruzione e dell’immobiliare ha davvero un potenziale trasformativo da game changer o la rivoluzione digitale resterà un fenomeno incompiuto, dopo avere sollevato enormi attese, e si fermerà nella terra di nessuno?

Le sfide e le incognite

Per rispondere a una domanda così impegnativa, ammesso che sia possibile farlo, dovremmo provare a definire la nozione stessa di digitalizzazione, un termine spesso abusato, applicata a questo specifico comparto economico, una volta che quest'ultimo sia stato ridenominato eventualmente nell'ambito dell’ambiente costruito, per includervi non solo le reti, oltre agli edifici e alle infrastrutture, ma anche per comprendervi la relazione che intercorre tra contenuti e contenitori e per poter considerare il prodotto cyber fisico immobiliare o infrastrutturale quale bene comportamentale, ovvero Behavioural Asset.

E, infine, ciò vale per poter meglio governare i rapporti di ibridazione che possano intercorrere tra ambiente naturale e ambiente costruito.

Pur non potendo in questa sede cimentarci in un simile azzardo, cioè rispondere a un quesito del genere, possiamo, tuttavia, avanzare qualche ipotesi a partire dalla considerazione che una effettiva digitalizzazione non possa che incentrarsi sul dato, possibilmente strutturato e leggibile dalla macchina e, sempre consultabile e aggiornabile.

Ciò significa, prima di tutto, che un traguardo ultimo di questa condizione consista tanto dall’affrancare totalmente il dato e l’informazione dal documento quanto nel far sì che i primi possano, in parte, determinare, in maniera semi automatica i processi decisionali attraverso la mappatura avanzata e auto-eseguibile dei processi medesimi.

Nel primo caso, ciò che è palese è che la maggior parte delle applicazioni digitali, per quanto efficaci, tendano a migliorare i processi analogici, anziché superarli, presentandosi, peraltro, molto spesso in qualità di informatizzazione e di dematerializzazione.

Come che sia, siamo veramente disposti a trasformare progressivamente il nostro impalcato giuridico-contrattuale nella direzione della Computational Law e della Digital Compliance?

Siamo, comunque, consci del fatto che, come dimostra il tema della semi automazione dei processi autorizzativi (a partire dal Digital Building Permit), ciò implichi una disambiguazione delle prescrizioni che rischi di sfociare in riduzionismo?

È chiaro, al proposito, che sinora non vi sia stato un dibattito sufficientemente consapevole, anzitutto dal punto di vista escatologico ed etico, sul tema generale e che ci si avvii a praticare certi impervi sentieri senza una riflessione adeguata: come indica anche una certa sottovalutazione del ruolo che dovrebbero giocare, ad esempio, i Data Dictionary e i Data Template, iniziando dalla prossima versione della Construction Products Regulation, come dispositivi di regolazione delle transazioni nelle catene di fornitura strategiche e, di conseguenza, come cruciale infrastruttura immateriale?

Sinora, infatti, la contesa nel campo della normazione volontaria dei prodotti commercializzabili nello Spazio Economico Europeo si è imperniata esclusivamente sulle caratteristiche e sulle prestazioni fisiche dei prodotti entro le diverse categorie merceologiche.

È, altresì, eloquente la centralità che la Commissione Europea sta ora attribuendo al Digital Building Logbook, al fascicolo digitale dell'edificio (ma anche allo Smart Readiness Indicator for Buildings), nel tentativo primario di configurare una omogeneità delle strutture di dati, pur garantendo l’eterogeneità dei sistemi di raccolta e di articolazione, grazie al Semantic Web.

Il che dimostra come si cerchi di evitare impostazioni esageratamente deterministiche e dirigistiche, centralistiche, pur garantendo nella sussidiarietà una comparabilità e una convertibilità.

Secondariamente, si assiste a una certa frettolosità imprudente ad accogliere, tendenzialmente a parole, una estensione indiscriminata dell’universo digitale, in origine circoscritto a una concezione sintetica dell’Information Management, come Building Information Modeling, accezione poi divenuta assai più analitica, per cui attualmente si discorre superficialmente di Artificial Intelligence, Internet of Things, Additive Manufacturing, e di molto altro, a partire dagli immancabili, ma mai sinora definiti universalmente, in attesa del lavoro congiunto di ISO (International Organization for Standardization) e di IEC (International Electrotechnical Commission), Digital Shadow e Digital Twin, che, in ogni modo, derivano dalla concezione manifatturiera del Product Lifecycle Management e, dunque, ancora una volta, dopo un secolo, ripropongono la questione della natura industriale (o anti-industriale?) del settore.

Del resto, la focalizzazione sulle singole tematiche e, soprattutto, sugli strumenti a esse pertinenti, ha del tutto offuscato la necessità di definire la natura degli ecosistemi, delle piattaforme, delle ontologie, necessarie per creare una autentica trasformazione e una decisiva riconfigurazione del settore, sulla base della definizione di architetture dei flussi e sulla scorta di politiche e di strategie industriali di medio-lungo periodo.

Ciò, inoltre, avviene allorché i casi esemplari, la cui disseminazione e capitalizzazione è abbastanza modesta, restano quasi sempre delimitati in contesti e in occasioni particolari, non contribuendo a una Legacy, condivisa, e, in primo luogo, riguardando una porzione degli attori estremamente limitata in termini assoluti, laddove la maggior parte degli operatori, la pancia profonda del mercato, appare piuttosto distante dalla possibilità di acquisire gli strumenti, anche per evidenti limiti reddituali, sia, ancor prima, ben poco edotta dei fini e dei metodi.

Una preziosa occasione per contrastare una certa probabile deriva inerziale è offerta da una possibile linea di continuità tra disposti legislativi in divenire (Codice dei Contratti Pubblici, Testo Unico dell’Edilizia Privata, Legge sulla Rigenerazione Urbana), che potrebbero consentire una sistematizzazione dei concetti e delle prassi: a condizione che si preveda, a fianco di essi, una azione di supporto istituzionale, per così dire di agenzia, pur con tutte le criticità che essa sta mostrando nei principali Stati Membri della Unione Europea.

A prescindere da ciò, occorre ripartire dal fatto che esista una azione comunitaria, indicata dalla Transition Pathway promossa, sui temi della digitalizzazione, della sostenibilità e della resilienza, grazie allo High Level Construction Forum dalla Commissione Europea, complementare alla attività legislativa che non riguarda, peraltro, il solo Public Procurement.

E non si dimentichi come, per il settore manifatturiero, già interessato dalla Quarta Rivoluzione Industriale, la Commissione Europea abbia assai recentemente varato il Net-Zero Industry Act.

Per profittare di questa circostanza bisognerebbe, per un momento, accantonare tutto l’armamentario, ormai divenuto retorico , che oggi si impernia sui cosiddetti BIM (Building Information Modeling) e DT (Digital Twin), quali icone della innovazione e rivoluzione digitale, per guardare a due polarità opposte: da un lato, lo European Data Space e la Cyber Security; dall’altro, le riforme mai compiute del mercato, dalle identità antagoniste degli attori alla frammentazione dimensionale, dalla cultura gestionale alla integrazione delle logiche conflittuali.

Anche se lo European Data Innovation Board opererà a livello superiore, sarà, però, sin da subito guardare a una verticalizzazione, così come sta già accadendo, non per il settore nazionale della costruzione e dell'immobiliare, per GAIA-X.

In mancanza di questa volontà o possibilità di far fronte a sfide annose e inveterate, il rischio maggiore in cui incorrere è quello di ostinarsi a proporre una sommatoria di occasionali soluzioni tecnologiche che, completamente, o quasi, decontestualizzate, non producano esiti efficaci e alimentino una narrazione che si mostrerebbe progressivamente esausta e svuotata di contenuti.

Sappiamo bene, in effetti, come il settore, da sempre, pur assimilando alcuni contenuti dell'innovazione, abbia operato una sua neutralizzazione (non certo una distruzione creatrice) in modo incrementale.

È questa proprio la sfida a cui sono chiamati a rispondere gli European Digital Innovation Hub, il cui compito di disseminazione culturale e di trasferimento tecnologico non è scindibile da quello di contribuire a creare un ecosistema in cui gli episodi e le tessere acquisiscano senso in un quadro generale di significato.

L’interesse crescente manifestato per la Cost Benefit Analysis e per il Digital Maturity Assessment delle organizzazioni non è altro che il sintomo dell’esigenza di valutare complessivamente l’entità della transizione in atto, a fronte di investimenti ingenti, anche di tenore retorico e narrativo, oltre che di più concreta sostanza.

Ancora una volta, però, è possibile che questo si verifichi, specie nei confronti delle micro e delle piccole organizzazioni, in modo, per così dire, unilaterale, senza che contestualmente altrove si ponga mano a correlate misure di carattere fiscale, societario e di altra natura, senza che, appunto, quel mosaico finisca per rappresentare un altro paesaggio, uno scenario differente?

D’altronde, l’affermazione dell’approccio geo-spaziale, che è intimamente connaturato alla impossibilità per la digitalizzazione di presentarsi autoreferenzialmente, non per nulla si parla di Twin Transition, digitale e sostenibile, costringe a vedere nel dato geo-referenziato un fattore abilitante dei valori della circolarità e della sostenibilità.

Servirebbe, infatti, una diffusione della cultura del dato, una sua piena comprensione, per indurre a una reale transizione: ma essa è praticabile nelle attuali circostanze, dinnanzi a una storia analogica di lunga durata?

Siamo in grado di ripensare il settore e il mercato in maniera olistica, agendo contemporaneamente sui livelli culturali, organizzativi, giuridici, sociali, oltre che tecnologici?

O meglio: sarebbe permesso alle rappresentanze praticare una cosiffatta via senza mettere in grave repentaglio assetti ed equilibri, perché non si può ignorare certo la reale essenza dei mercati?

Penso che, per dare una risposta positiva, affermativa, sia opportuno accettarne la dimensione del medio termine, a iniziare proprio dai soggetti che ci sembra offrano le migliori pratiche, ma che, proprio per questo motivo, dovrebbero avviare una riflessione critica nella direzione evolutiva e non essere proposti esclusivamente in una specie di Wunderkammer, utile in una fase prodromica o promozionale, ma ormai divenuta un campionario.

Non servono, infatti, più solo exempla e, comunque, essi devono essere, per così dire, sottoposti a rigoroso vaglio critico, per non restare dimostratori con fini, peraltro, affatto legittimi, anzitutto, commerciali.

Soprattutto, però, dovremmo chiederci come traghettare la vasta popolazione degli attori e degli operatori che, ammesso che siano alla ricerca di una nuova identità, necessiterebbero di una indefessa maieutica, oltre che di concrete azioni di sostegno e di supporto.

Può esistere una cabina di regia, può esistere una intelligenza collettiva del Sistema Paese o dobbiamo rassegnarci a una dinamica eterogenea e, quindi, con-fusa, in cui ciascun soggetto che si presenti in veste consulenziale fornisca un proprio indirizzo?

In realtà, dietro alla circolarità, alla digitalizzazione e alla sostenibilità, risiede una sfida epocale, che concerne e che investe la reputazione del settore e la sua credibilità, che dipende dall’essere capace di attrarre il capitale umano promettente, ormai in aperta competizione con altri settori.

Per fare questo, bisognerebbe, prima di tutto, dotarsi di una robusta teoria macro- e micro-economica che legittimi diversamente il comparto agli occhi di policy maker e di financial player: a questo proposito, almeno in Italia, siamo fermi all'Industria delle Costruzioni di Tamburini: del 1983.

Il grande sforzo della sistemazione teorica in corso sul tema della digitalizzazione tende a rafforzare il ruolo della funzione committente nella prospettiva della gestione del ciclo di vita dei cespiti immobiliari e infrastrutturali.

Il che equivale a portare al centro della scena una committenza che sia responsabilizzata in termini di spesa corrente, oltreché in conto capitale, e che sia sensibile alle condizioni di fruizione dei beni, fungendo da motore originatore del cambiamento sul versante dell’offerta, agendo su quello della domanda, ma che sia anche in grado di progettare proattivamente i servizi che dovrebbero essere veicolati dall'opera attraverso il Documento di Fattibilità delle Alternative Progettuali e il Documento di Indirizzo della Progettazione.

È questa, infatti, l’ipotesi che sta all’origine dell’enfasi riposta sulla cosiddetta qualificazione delle stazioni appaltanti e sulla adozione dell’e-Procurement (del tutto incentrata sulla fase dell'affidamento dei contratti, a discapito del prima, dell'attraversamento amministrativo, e del dopo, l'esecuzione della pattuizione contrattuale) e dei metodi di gestione informativa digitale delle costruzioni.

Epperò, oggi è il mondo finanziario a dover essere interpellato assieme all’universo committente, pubblico o privato che sia (stazioni appaltanti, enti concedenti, committenti strumentali, sviluppatori immobiliari), perché, a parte le soluzioni partenariali per i contratti pubblici, l’obiettivo è quello di rendere interoperabili i modelli e le strutture di dati che appartengono alle due sfere, per disintermediare i rapporti con i Real Estate Investment Trust, coi Pension Fund, colle Asset Management Company, relativamente alle diverse asset class.

Il che, d’altra parte, avviene proprio allorché si potrebbe, per il settore, saldare l’effetto congiunto delle Guidelines on Loan Origination and Monitoring della European Banking Authority e dei Sustainability Reporting Standards dello European Financial Reporting Advisory Group, nel senso che la restrizione della concessione del credito imputabile agli indicatori finanziari si accompagna a una altrettanto impegnativa Disclosure relativa alla Finanza Sostenibile.

In conclusione, non si dovrebbe mai dimenticare che, in Europa, la digitalizzazione diviene oggetto di politiche industriali per il comparto, tra il 2010 e il 2011, con l’iniziativa del Governo Britannico, contemporaneamente alla azione di alcuni esponenti dell’industria manifatturiera tedesca nei confronti del Governo Federale Tedesco su Industrie 4.0.

Pur con una differente maturità digitale, e cultura industriale, il leitmotiv e il fil rouge sono identici: sincronizzare e interconnettere maggiormente gli attori dell’offerta (e della domanda), rendere meno discrezionali i processi decisionali, incrementare la predittività degli eventi per ridurre la complessità dei procedimenti; in una frase, mitigare il rischio e accrescere la produttività.

E, successivamente, con fortune alterne, il settore dell’ambiente costruito, dalla Smart Home delle Over the Top e dalla epopea di WeWork a Wall Street alla Smart City del Waterfront di Toronto di Alphabet, entra a pieno titolo nel dibattito sulla Platformization e sul Capitalismo della Sorveglianza.

Nel settore della costruzione e dell’immobiliare ciò non è evidentemente praticabile solo con soluzioni improntate al Design for Manufacturing and Assembly o alla Off Site Construction, che pure una parte possono giocare nella Rigenerazione Urbana, ma alcuni temi caldi palesano la difficoltà a trattare il tema.

Le controversie riguardanti l’appalto integrato nella disciplina dei contratti pubblici, in grande ascesa secondo gli studi del CRESME, costituiscono veramente una eloquente e formidabile cartina da tornasole, perché manifestano la difficoltà a rendere riducibili culture e interessi altri tra loro da un punto di vista identitario, tali per cui una ineludibile integrazione sul piano della cultura industriale è impedita letteralmente dagli statuti costitutivi e dalla evoluzione storica di entità che si autorappresentano in maniera peculiare.

Ancora, varrebbe la pena di riflettere sul rapporto singolare che intercorre tra oggetto fisico e replica digitale nel Cultural Built Heritage con riferimento alla Conservazione Programmata.

A una scala minore, analogo ragionamento vale per la fisionomia delle fasi embrionali della progettazione, dallo schizzo al disegno e al modello, particolarmente sensibili, nei confronti della digitalizzazione, nei concorsi di progettazione (di architettura): argomento che idealmente si ricongiunge all’intricato argomento della proprietà intellettuale e a quello della corresponsabilità autoriale nell’era digitale, che non a caso, giusto nell’appalto integrato, si riflettono e si rifrangono in vessate questioni: della centralità (di chi?) della creatività e dell’asimmetria.

Non si tratta, però, di elementi da liquidare ideologicamente, nel senso di sacrificarli in nome delle magnifiche sorti e progressive della duplice transizione sostenibile e digitale, ma di riconoscere che senza agire sui presupposti, una Svolta nelle Costruzioni, per riprendere un celeberrimo volume di Konrad Wachsmann, essa resterà sempre a metà del guado, come aveva testimoniato tempo addietro ai Comuni Mark Bew nel corso di una audizione parlamentare sulla industrializzazione edilizia.

E noi continueremo ad agitare il vuoto tema di una arretratezza del settore che non ha ragione di esistere nella misura in cui se ne riconosca la specificità.

Serve, invece, come testimoniano alcune occasioni in cui lo scrivente è testimone oculare, dal Projet National MINdD francese sulla digitalizzazione delle infrastrutture alla attività di normazione volontaria europea sulle competenze digitali e sulla qualificazione del capitale umano del CEN (European Committee for Standardization), un lavoro paziente di ricomposizione sistemica di un quadro parcellizzato, refrattario a soluzioni apodittiche.

È ormai terminato il tempo delle grandi narrazioni, perseguito dalla pubblicistica divulgativa e inseguito dalla letteratura scientifica.

È appena iniziato il tempo del lungo tragitto verso orizzonti che cerchino di evitare al settore tutto una condizione di terzismo nei confronti della reale evoluzione della economia e della società.

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