Appalti Pubblici
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L’impatto dei poteri regolatori e dei pareri dell’ANAC nei contratti pubblici a due anni dal D.lgs. 50/2016

L’11 ottobre 2018, presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Torino, si è tenuto il convegno “L’impatto dei poteri regolatori e dei pareri dell’ANAC nei contratti pubblici a due anni dall’entrata in vigore del D.lgs. 50/2016”, organizzato dagli Ordini degli Ingegneri, degli Architetti e degli Avvocati di Torino e dall’Associazione Avvocati Amministrativisti del Piemonte. Hanno portato i saluti l’avv. Michela Malerba, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino, l’ing. Alessio Toneguzzo, Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino e l’arch. Massimo Giuntoli, Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Torino. Hanno moderato il dibattito gli avvocati Alessandra Carozzo e Stefano Cresta.
Riportiamo gli interventi dell’avv. Marco Casavecchia, che ha sviluppato il tema “I poteri di vigilanza, di controllo e di ispezione dell’ANAC. La funzione consultiva dell’ANAC: uno sguardo di insieme”, e dell’ing. Lorenzo Buonomo, che ha sviluppato la tematica “L’intervento dell’ANAC sulle figure professionali tecniche quali R.U.P., Direttore dei Lavori e Collaudatori: Linee guida o regolamento?”.


I poteri di vigilanza, di controllo e di ispezione dell’ANAC. La funzione consultiva dell’ANAC: uno sguardo di insieme

Marco Casavecchia ha evidenziato come siano ormai molti coloro che ritengono l’ANAC non sempre utile.

 1. Raffaele Cantone e Roberto Garofoli, nell’ottobre 2016, asserirono che nell’ambito del nuovo codice “… ha assunto una posizione di assoluta centralità l’ANAC che, in ragione della propria genesi, si connota proprio per unire le funzioni di controllo e vigilanza del settore dei contratti pubblici alle funzioni di prevenzione e contrasto delle illegalità e della corruzione” (v.si: M.L. Chimenti, Nuovo diritto degli appalti e Linee Guida ANAC, con focus sulla disciplina transitoria [e] con premessa di Raffaele Cantone e Roberto Garofoli, pag. v). Analoga constatazione viene fatta da Sabino Cassese per il quale tale ente (trattasi di una “autorità indipendente”): “… si interessa di troppe materie (anticorruzione, trasparenza, contratti pubblici, incompatibilità e conflitti di interesse, spesa sanitaria, codice di comportamento dei dipendenti pubblici) e sfida la separazione dei poteri perché ha compiti normativi, amministrativi, di soluzione di conflitti e sanzionatori. Nella sola materia dei contratti, l’Autorità è regolatore di secondo grado, controllore, gestore di albi e di banche dati, organo di vertice del sistema di qualificazioni, organo di gestione o supporto delle attività arbitrali, organo quasi giurisdizionale, organo sanzionatorio e svolge molte altre funzioni. Il presidente del Consiglio di Stato ha notato che essa è diventata >. Altri hanno osservato che la disciplina dei contratti pubblici, regolata dall’angolo visuale della corruzione, fa perdere di vista gli altri obiettivi della disciplina e che per contrastare la corruzione si è rinunciato all’efficienza. Il difetto dell’attuale disciplina dei lavori pubblici è, quindi, quello di essere improntato a un’esigenza di prevenzione della corruzione, ispirata all’idea del sospetto nei confronti di tutti gli operatori”. Lo stesso Cassese, in un articolo per L’Economia del Corriere della Sera (17 settembre 2018, pag. 5), afferma: “Un’amministrazione centrale indebolita senza tecnici e idee progettuali si affida a contratti con esterni. Nel sistema, col tempo, è divenuta dominante la preoccupazione di prevenire i fenomeni corruttivi. Il risultato è un groviglio di contraddizioni che non consente l’utilizzo dei fondi. E le aziende vanno all’estero”.

2. Come è possibile tutto ciò, quando – secondo la nostra Carte Costituzionale - il potere legislativo spetta al Parlamento e alle Regioni (oltre che alle Province di Trento e Bolzano), il potere esecutivo spetta al Governo e ai vari enti pubblici esistenti nello Stato italiano e il potere giudiziario compete ai vari ordini giurisdizionali?

La via attraverso la quale si perviene ad un ampliamento dei tre poteri di cui sopra si è parlato è sostanzialmente la seguente. Il potere legislativo nazionale affida ad un ente esterno a sé (nel caso di specie all’ANAC come autorità indipendente) il potere di completare e modificare un certo settore del diritto, così come gli affida il potere di esercitare un certo potere esecutivo e giudiziario.

Così facendo quel certo settore (nel caso di specie quello degli appalti pubblici) si amplia e si modifica al di fuori dei canali tradizionali. Si parla, in tal caso, di norme secondarie di mutamento e cioè di regole che vengono emanate dal potere legislativo non per disciplinare direttamente una certa materia, bensì per attribuire ad un certo ente pubblico di disciplinare e/o completare quella certa materia (v.nsi le varie disposizioni del d.lgs. 50/2016 e, in particolare, l’art. 213 di tale testo normativo che parlano dell’ANAC).

3. Avviene allora che le fonti del diritto aumentano di numero. Volendo scendere nel dettaglio, si ha un quadro di questo genere: le disposizioni normative (“D”) sono le “fonti” del diritto che, interpretate (“I”), danno luogo al diritto vero e proprio (“N”).

Le Disposizioni normative (D) sono: (i) Costituzione e leggi costituzionali; (ii) Direttive e Regolamenti UE; (iii) Leggi nazionali (leggi emanate dal Parlamento, decreti legge convertiti in leggi e decreti legislativi); (iv) Leggi regionali e delle Province di Trento e Bolzano; (v) Decreti emanati dal potere legislativo ma non aventi la forza normativa degli atti di cui ai punti (iii) e (iv); (vi) atti amministrativi generali emanati sia dal potere legislativo che da quello esecutivo; (vii) atti amministrativi vari emanati dai vari enti pubblici; (viii) sentenze dei vari ordini giurisdizionali; (ix) usi, codici di condotta, lex mercatoria; (x) regole emanate da certe autorità sulla base di norme secondarie di mutamento; (xi) atti negoziali privati eccetera.

3.1. Siccome non vi è corrispondenza biunivoca tra le disposizioni normative (“D”) e le norme o diritto vero e proprio (“N”), le norme dipendono da come viene interpretata una certa disposizione normativa (“I”).

Quindi il viaggio da “D” a “N” è lungo e complesso. Da una “D” possono aversi più “N” che cambiano nel tempo. Da qui il fatto che la certezza del diritto è una pia illusione.

3.2. Detto questo le regole emanate dall’ANAC (punto x) dipendono da qualche disposizione sub (iii). Cantone e Garofoli, nella premessa citata (pag. v), asseriscono che l’ANAC, nel codice è “… citata ben 86 volte all’interno dell’articolato”.

4. È un bene un tale ampliamento di poteri in capo all’ANAC al di fuori dei classici poteri delle liberal-democrazie moderne? Forse no, se si pensa che, come minimo, contribuiscono ad aumentare il disordine, ad aumentare – come si espresse un certo filosofo del diritto - l’entropia normativa.

Chi scrive non ha competenza specifica per confermare o meno quanto asseriscono coloro che vedono nell’ANAC un ostacolo all’esecuzione celere delle opere pubbliche. Può solo dire che, in effetti, nell’aumentare il numero delle fonti del diritto nel settore dei lavori pubblici, il legislatore contribuisce a rendere “più incerto” quel settore. Va però ribadito che non tutto è colpa dell’ANAC. Dovrebbero essere profondamente modificati l’art. 204 del codice dei contratti pubblici e i correlati articoli 120 - 124 del codice del processo amministrativo. In sintesi, tutte le stazioni appaltanti – una volta stipulato il contratto perché a ciò legittimate dal fatto che chi ha impugnato gli atti di gara non ne ha ottenuta la sospensione in sede cautelare davanti al TAR (ed escluso, sul punto, l’appello al Consiglio di Stato) - dovrebbero essere sicure che più nessuno può dichiarare inefficace quel contratto.

E ciò salva l’azione di risarcimento danni a favore di chi abbia ottenuto una sentenza passata in giudicato che annulli gli atti di gara.


L’intervento dell’ANAC sulle figure professionali tecniche quali R.U.P., Direttore dei Lavori e Collaudatori: Linee guida o regolamento?”.

Lorenzo Buonomo, dopo una premessa sul ruolo degli Ordini e l'illustrazione dell’attività svolta dalla Commissione LLPP dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino, ha messo a confronto la “bulimia” normativa nel settore dei lavori pubblici con l’incremento del debito pubblico italiano per porre le domande: c’è relazione tra tale bulimia e l’incremento del debito pubblico? C’è relazione tra incremento del debito pubblico e incremento della corruzione?
Ha quindi illustrato le criticità del Codice dal punto di vista dei tecnici ed, infine, ha lanciato una serie di proposte per inserire nel Codice gli “anticorpi” per prevenire la corruzione auspicati dallo stesso Cantone. 

1. Ruolo dell’Ordine degli Ingegneri: gli iscritti all’albo sanno (o dovrebbero sapere perché è nel codice deontologico) che l'attività dell'ingegnere implica doveri e responsabilità nei confronti della collettività. I lavori pubblici sono in maggior parte gestiti da ingegneri nei diversi ruoli: di Committente, Appaltatore, Progettista, Direttore dei Lavori e Collaudatore. Nel processo di realizzazione delle opere pubbliche intervengono aspetti legislativi, amministrativi, giuridici, oltre che tecnici. Al processo partecipano quindi differenti professionalità che spesso dialogano tra loro con difficoltà. L'Ordine non è, e non deve essere, portatore di interessi, ma è, e deve essere, portatore di competenze per favorire il dialogo tra le professionalità tecnico-amministrative e quelle giuridiche.

2. Attività della commissione LLPP dell’Ordine di Torino: già nel 1994, dopo l’emanazione della legge Merloni, quando si era in attesa del Regolamento, in un convegno organizzato dalla FIOPA, la Commissione pubblicò un documento dal titolo "Minimo comune multiplo di principi morali dal quale far emergere osservazioni alla legge 109 e suggerimenti per il Regolamento". Si scrisse allora: “La nuova legge nasce dall’esigenza di porre un freno al degrado morale, passato attraverso i lavori pubblici, nel quale è caduta la nostra società. Responsabili del degrado sono i pubblici amministratori, i professionisti e gli imprenditori che hanno esercitato ruoli attivi, o quanto meno conniventi, formando una catena nascosta in una guaina di norme equivoche che, negli ultimi tempi, hanno snaturato i saldi principi impostati nel secolo scorso”. 

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La Commissione ha intensificato i lavori nel 2015, quando il Governo annunciò l’emanazione di una legge delega per il riordino della normativa; ha pubblicato lettere aperte e appelli segnalando criticità e proponendo soluzioni. Ha seguito, in particolare, i lavori delle Commissioni di Camera e Senato durante la scrittura della legge delega, quella che sarà la legge n. 11 del 2016. Ha pubblicato nel dicembre 2015 un “Parere” con proposte indirizzate al Governo per la scrittura del decreto legge: il futuro codice 50. Il “Parere” fu condiviso con l’Ordine degli architetti, il Collegio dei Periti del Piemonte e con gli Ordini degli Ingegneri della Puglia.

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Nel giugno del 2018 l’Ordine degli Ingegneri torinese ha organizzato, con il Politecnico di Torino e l’Ordine degli Architetti locale, una tavola rotonda per invitare i relatori a rispondere alla domanda: “La giungla di leggi, regolamenti, circolari, che ha iniziato a formarsi negli anni ‘90 con un crescendo sempre più vorticoso, ha creato terreno fertile e ha aperto spazi al clientelismo, alla corruzione, al riciclaggio del denaro sporco. Da questo punto di vista, la corruzione non è un problema solo da Codice Penale. Tale sistema ha prodotto spesso opere non finite, opere inutili, opere sbagliate, servizi inefficienti e forniture inadeguate. La società civile ha bisogno che ciascuno tragga leciti profitti e svolga correttamente il proprio ruolo nell’interesse della collettività. Il nuovo Codice degli appalti è in grado di migliorare questa situazione?”.

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ORD-ING-TORINO.jpg Si ringrazia l'ORDINE DEGLI INGEGNERI DI TORINO per la gentile collaborazione

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