La compressione perpendicolare delle fibre. Perché le strutture blockbau si abbassano
Il legno non è un materiale isotropo, ha una direzione preferenziale che è, banalmente, quella di crescita. Quando è soggetto ad un’azione trasversale può subire delle deformazioni visibili. Questa sua debolezza si evidenzia anche nella variazione volumetrica conseguente a un mutamento dell’umidità ambientale. Ovviamente, ad oggi, questi problemi hanno generato delle valide soluzioni.
Le deformazioni elastiche
Trascuriamo, per ora, la resistenza a fatica (resistenza che oppone il materiale sotto carichi di bassa entità ma ripetuti molte volte) e soffermiamoci solo sulle sollecitazioni statiche. Distinguiamo ora tra quelle parallele e quelle perpendicoli alla fibra.
Nel primo caso i carichi a cui resiste il legno possono essere elevati e i diagrammi sperimentali carichi-deformazione mostrano un lungo tratto rettilineo seguito poi da una brusca caduta verso le ascisse. La caduta coincide con la rottura del provino.
Nel secondo caso il limite tra le deformazioni elastiche e quelle plastiche (permanenti) è molto basso, infatti il primo tratto rettilineo risulta di lunghezza molto contenuta e poi lascia spazio ad un tratto pseudo orizzontale più lungo nel quale l’andamento può presentare dei flessi ma senza un vero e proprio punto di rottura.
Quindi, di fatto, la direzione longitudinale (principale) dell’elemento ligneo è un punto di forza del materiale, mentre la direzione trasversale (e quella radiale) diventa un aspetto da gestire. Volendo dare un ordine di grandezza ai moduli elastici ed indicando con “L” la direzione longitudinale, con “R” la radiale e con “T” la tangenziale, si hanno i seguenti rapporti EL : ER : ET 20 : 1.6 : 1.
Se poi consideriamo il fatto che questi diminuiscono al crescere della temperatura e dell’umidità si comincia a capire quali siano i problemi e, di conseguenza, le soluzioni adottate.
La resistenza a compressione perpendicolare
Torniamo al diagramma carichi-deformazioni della compressione trasversale delle fibre e alla mancanza di un punto di rottura netto. Questo significa che il materiale viene schiacciato e mano a mano si deforma senza generare fessurazioni o spacchi improvvisi. Non è possibile quindi definire una resistenza caratteristica esatta. In questo caso il normatore impone delle limitazioni derivanti da ragionamenti di proporzionalità tra sforzi e deformazioni.
La UNI EN 14080:2013 definisce una resistenza caratteristica a compressione perpendicolare alla fibra pari a fc,90,k = 2.5 MPa per tutte le classi di lamellari, mentre per i massicci la UNI EN 338:2016 stabilisce un minimo di 2.0 MPa per il C14 e un massimo di 3.0 MPa per il C50.
La resistenza inoltre viene influenzata dalla presenza o meno di un tratto scarico laterale L [Figura 1]. Un tratto privo di sollecitazioni nel quale le fibre assorbono quota parte del carico mediante la loro resistenza a trazione.
Sperimentalmente questo contributo aumenta all’aumentare del tratto libero da carichi, per arrivare ad un massimo definito da L = 1.5h.
Per il calcolo si può far riferimento al cap. 7.6.1.1.3 della CNR DT 206 R1/2018 nella quale si definisce una lunghezza efficace di appoggio maggiore dell’effettiva area di contatto. Il normatore in questo caso permette di tenere in considerazione l’effetto di confinamento delle fibre.
Osservando la Figura 2 si apprezza il contributo del tratto scarico laterale.
C – si parte dall’ipotesi di margine nullo e si prende questa situazione come riferimento. Volendo quindi considerare unitaria questa resistenza si analizzano le altre situazioni per valutarne i benefici.
D e E – l’aumento del margine determina un aumento della resistenza della compressione perché le fibre adiacenti danno un loro contributo partecipando alla resistenza alla compressione perpendicolare.
F – la pressione resistente si massimizza quando il margine è una volta e mezzo l’altezza. Dopo di che non si vedono contributi significativi.
Perché il legno non ha un comportamento isotropo
Perché le cellule legnose hanno la forma di tanti tubicini affiancati. Se vengono compresse assialmente lavorano bene, mentre se la compressione è laterale avviene un collasso delle pareti laterali della cellula e, se il carico è elevato, si può verificare una completa chiusura delle stesse.
Variazioni dimensionali dovute all'umidità
Le variazioni volumetriche del legno si definiscono ritiro e rigonfiamento e i due limiti estremi ai quali si fa riferimento sono lo stato anidro (perfetta essicazione, 0% di umidità. Ottenibile solo in laboratorio) e il punto di saturazione delle pareti cellulari. La variazione di volume derivante dalla variazione di umidità dipende dal tipo di essenza e dallo stato di salute del elemento (Ad esempio un legno sano presenterà deformazioni maggiori rispetto ad un legno attaccato da funghi). Inoltre le curve di rigonfiamento e di ritiro non si sovrappongono perfettamente creando, di fatto, un fenomeno di isteresi. Se a questo ci aggiungiamo che il contenuto di umidità influisce sui valori caratteristici e sui moduli elastici si arriva a capire che è un fenomeno molto complesso.
La moderna ingegneria governa questi fenomeni definendo con precisione le fasi di essicazione e di lavorazione del materiale, l’umidità che deve avere il legname durante la lavorazione e la cantierizzazione e i metodi di protezione dello stesso dopo la sua posa in opera.
In fase di esercizio generalmente si ha una temperatura media di 20° ed una umidità media del 65% , condizioni che portano il legno ad una umidità di equilibrio del 12%. La norma quindi delimita dei range ben precisi (CNR DT 206 R1/2018 cap 4.2.1 e NTC18 cap 4.4.5) all’interno dei quali molti aspetti possono venir trascurati.
In ogni caso le variazioni dimensionali si possono calcolare mediante il coefficiente di ritiro e il rigonfiamento k definito nella CNR DT 206 e nella EN14080. Per il castagno, ad esempio, assume il valore di 0.0001 in direzione longitudinale e di 0.0012 in direzione radiale.
Blockbau, blockhaus, log house o strutture a tronchi sovrapposti
Blockbau, blockhaus, log house o strutture a tronchi sovrapposti. Diversi nomi che indicano la medesima tipologia strutturale. Sono antichissime e hanno pareti realizzate mediante la sovrapposizione di tronchi di legno massiccio tondo.
I tronchi hanno delle piallature superiori e/o inferiori per rendere maggiore l’area di appoggio e delle scanalature per rendere più stabile la parete [Figura 5 – G, H e I ]. Sono citate anche nella normativa nazionale NTC18 al cap 6.4.1.4.
Per quanto riguarda le loro caratteristiche, si possono vedere delle strutture esistenti anche con pareti molto snelle. Costituite quindi da elementi sovrapposti di modesta dimensione [Figura 4]. Nel loro caso la stabilità era garantita dalla dimensione modesta delle stanze e dal fatto che generalmente erano monopiano.
Queste strutture erano prive di cappotto e di protezione e di alcun tipo di trattamento. Generalmente erano poste in località montane ove il carico neve è generoso.
Con il tempo, l’effetto combinato delle sollecitazioni trasversali (carico della copertura e della neve) e della variazione di umidità (venivamo messi in opera legni non essiccati, non correttamente stagionati, che perdevamo umidità durante la vita della struttura) generava una deformazione trasversale (ritiro) dei tronchi che quindi “abbassava” la casa.
Le deformazioni potevano essere dell’ordine di qualche centimetro. Era infatti uso comune dotare i pochi e rari pilastri di dispositivi (viti) che permettevano di abbassare l’elemento verticale singolo in modo da fargli assecondare quello delle altre pareti.
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