La presenza di vincoli può bloccare il condono edilizio
Il condono edilizio è una misura straordinaria che ha contribuito alla regolarizzazione di numerosi abusi edilizi. Esso ha avuto un’evoluzione temporale complessa, fino ad arrivare al terzo condono, il quale ha introdotto criteri più rigorosi rispetto ai precedenti condoni. Tuttavia, con la sentenza del TAR Lazio, si evidenzia come determinati vincoli possano impedire la sanatoria di opere abusive, sottolineando che il rispetto delle normative è essenziale per preservare l’interesse pubblico e la tutela dei luoghi sensibili, pur in presenza di abusi pregressi.
Le caratteristiche del terzo condono edilizio
Il condono edilizio è una misura straordinaria che consente, in determinate condizioni, la sanatoria di opere edilizie realizzate senza titolo abilitativo.
Nel corso del tempo sono stati emanati vari condoni, ossia:
- il primo condono con la legge 47/1985;
- il secondo condono con la legge 724/1994;
- il terzo condono con la legge 326/2003.
Il terzo condono edilizio in Italia ha riguardato gli abusi edilizi completati entro il 31 marzo 2003.
Il condono del 2003, pur essendo più restrittivo, ha contribuito alla regolarizzazione di numerosi abusi edilizi, tentando di contrastare un fenomeno molto diffuso nel Paese.
Come anticipato, l’accesso alla sanatoria non è cosa semplice da ottenere, in particolare per gli immobili in aree vincolate, per le quali si richiedeva il parere favorevole anche delle autorità competenti.
Rispetto ai condoni precedenti, infatti, il provvedimento imponeva condizioni più rigide, per le quali si richiedeva che le opere fossero almeno allo stato grezzo, con tetto completato. Inoltre, gli edifici non residenziali, così come le opere interne, dovevano risultare funzionalmente completati.
La procedura per il condono doveva seguire un iter ben preciso ossia:
- presentare istanza di condono al Comune;
- relazione tecnica descrittiva dell’abuso;
- documentazione catastale;
- copia del titolo edilizio eventualmente esistente;
- pagamento della sanzione pecuniaria, calcolata in base alla volumetria e alla tipologia dell’abuso.
Il terzo condono edilizio, come i precedenti, nasce quindi dall’esigenza di regolarizzare abusi pregressi, ma ciò non può e non deve trasformarsi in un salvacondotto generalizzato in quanto sul territorio sono presenti dei vincoli da rispettare, come ad esempio quello inerente alle fasce di rispetto cimiteriale.
Diverso è il caso del primo condono, legge n. 47/85, che risultava uno strumento legislativo meno vincolante, atto a regolarizzare un amplia platea di costruzioni realizzate senza permessi o in violazione delle norme urbanistiche. La novità di questa legge verteva quindi sull’opportunità di sanare gli abusi edilizi con l’unico limite che gli stessi fossero stati compiuti entro il 1° ottobre 1983. Come anticipato, non vi erano grosse restrizioni o requisiti di accesso, per cui poterono accedere al condono anche gli immobili situati in aree soggette a vincoli paesaggistici, ambientali o storici.
Tuttavia, l’accesso al condono non era immune ai pareri da parte delle autorità preposte alla tutela del vincolo, come ad esempio i Comuni o le Soprintendenze.
Le ulteriori limitazioni erano, invece, di tipo dimensionale, erano infatti ammessi alla sanatoria le opere che non superassero il 30% della volumetria originaria e con un tetto massimo fissato a 750 m3. Tale limite era relativo tanto agli ampliamenti quanto alle nuove costruzioni.
Inoltre, affinché si potesse accedere al condono si doveva presentare la domanda entro il 30 giugno 1986, allegando:
- una relazione tecnica sull’abuso;
- titoli abilitativi preesistenti;
- documentazione catastale;
- la ricevuta del pagamento della sanzione pecuniaria che era prevista dalla legge.
Il condono edilizio del 1985 ha rappresentato di fatto un passaggio fondamentale nella storia urbanistica italiana, sanando una serie di abusi ma al tempo stesso mantenendo un certo grado di tutela nei confronti di beni soggetti a vincoli.
Con riferimento ai vincoli presenti sul territorio, è possibile riscontrare molteplici tipologie di tutela, una delle principali e delle più antiche per riconoscimento normativo risulta essere il vincolo cimiteriale.
Il vincolo cimiteriale, in particolare, non è una semplice formalità urbanistica, bensì un presidio di ordine sanitario, civile e simbolico, volto a proteggere non solo la dignità dei luoghi in questione ma anche l’integrità del tessuto urbano circostante.
Si ricorda inoltre come l’abuso edilizio non possa trovare giustificazione nel tempo trascorso, né può essere legittimato da silenzi dalla pubblica amministrazione (PA), interpretati come assensi, solo così si tutela davvero l’interesse collettivo tutto, come sottolineato dalla sentenza del TAR Lazio n. 2642/2025.
Sanatoria negata in area soggetta a vincolo cimiteriale
Il caso affrontato nell’ambito della sentenza riguarda un’opera edilizia realizzata senza titolo abilitativo nel 1974, in particolare si trattava di un’unità abitativa di 108 metri quadrati, parzialmente adibita a uso residenziale. Con il trascorrere del tempo la proprietaria aveva richiesto la sanatoria dell’immobile ai sensi della legge n. 47/1985, ma l’amministrazione comunale ha negato la possibilità di regolarizzare l’abuso.
Il diniego al condono edilizio è stato giustificato col fatto che l’immobile abusivo fosse stato realizzato in zona soggetta a vincolo cimiteriale, precisamente l’immobile era posizionato in un’area situata a ridosso del cimitero comunale, violando la fascia di rispetto di 200 metri prevista dalla legge (Reggio Decreto n. 1265 del 1934 e ss.mm.ii.).
In seguito alla posizione dell’amministrazione, il ricorrente ha presentato ricorso al TAR, dichiarando che il Comune non avrebbe correttamente perimetrato il vincolo cimiteriale. Inoltre veniva sostenuto che il vincolo fosse di natura paesaggistica e non impedisse di per sé la sanatoria.
Il Tribunale ha chiarito che “in materia di vincolo cimiteriale, la salvaguardia del rispetto dei duecento metri previsti dall'art. 338 del R.D. 1265/1934, così come modificato dall'art. 28 l. n. 166/2002 determina un regime di «inedificabilità ex lege e integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto e non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, e ciò in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, quali le esigenze di natura igienico-sanitaria, la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla sepoltura e il mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale». (…)
Quanto al momento di efficacia del vicolo si rammenta che, per giurisprudenza altrettanto pacifica, la sua sussistenza è scollegata «dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica e si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti» (ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 14 dicembre 2023, n. 10784).”
Il vincolo cimiteriale, previsto dall’art. 338 del Regio Decreto n. 1265/1934, impone quindi una fascia di rispetto di 200 metri attorno alle aree cimiteriali, all’interno della quale vige un’inedificabilità assoluta. Tale limite non è posto a caso ma trova fondamento in esigenze igienico-sanitarie, nel rispetto della sacralità del luogo e nella previsione di eventuali ampliamenti.
Nel caso in esame, la stessa ricorrente aveva ammesso che il cimitero comunale non fosse stato realizzato successivamente, bensì esso risultava esistente già prima del 1900, dunque ben prima della costruzione abusiva del 1974. Costruzione che per giunta risultava successiva all’entrata in vigore del R.D. e quindi dell’introduzione di suddetta fascia di rispetto. Di conseguenza, l’immobile ricadendo integralmente nella fascia di rispetto cimiteriale, non poteva essere oggetto di condono.
Inoltre il Tar sottolinea che “Quanto, poi, all’effettiva estensione della fascia di rispetto si rammenta che quella di 50 metri rappresenta un’eccezione alla regola generale del 200 metri che necessità dell’emanazione di un formale provvedimento amministrativo che non è stata però dimostrata dalla ricorrente; anzi, gli atti depositati dimostrano che non solo che l’immobile della ricorrente è stato realizzato a ridosso del cimitero comunale ma anche che la fascia di rispetto cimiteriale nel comune è sempre stata quella generale di 200 metri.”
Quindi la possibile deroga al limite dei 200 metri, è una possibilità ammessa dalla norma ma tassativamente in casi peculiari e solo previa adozione di uno specifico provvedimento da parte del consiglio comunale, accompagnato da parere favorevole della ASL, situazione che però non si concretizza nel caso di specie.
L’opera abusiva realizzata dalla ricorrente non potrà mai essere suscettibile di condono edilizio in quanto l’area è sottoposta a un vincolo di inedificabilità che impedisce ogni forma di sanatoria. Il rispetto dei vincoli urbanistici è essenziale per tutelare l’interesse pubblico, specie quando si tratta di vincoli assoluti, incidenti anche sulla salute pubblica.
Quello inerente al mancato rispetto del vincolo cimiteriale è solo uno dei possibili vincoli che possano rendere un abuso insanabile.
LA SENTENZA DEL TAR LAZIO È SCARICABILE IN ALLEGATO.
Abuso Edilizio
L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.
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