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La Questione (Politica) della Piattaforma Digitale: Quali Framework?

Leggi l'ultimo articolo del prof. Angelo Ciribini sulla questione delle piattaforme digitale.

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La digitalizzazione è spesso proposta per il settore della costruzione, così come dell’immobiliare, come uno sviluppo naturale e irreversibile sotto il profilo tecnologico, benché, in realtà, contino assai di più i contorni culturali, organizzativi, economico-finanziari e giuridici in cui essa avviene, contorni che essa è in grado di influenzare, ma da cui è altresì condizionata.

Sfortunatamente, tale consapevolezza non è molto diffusa, procedendosi spesso in modo acritico, come se la digitalizzazione potesse limitarsi a migliorare i contesti analogici esistenti senza intaccarne le fondamenta e senza creare interrogativi etici della massima rilevanza.

Misurare la maturità digitale nel settore della costruzione e dell'immobiliare

La progressione della misurazione della diffusione, nonché della intensità della digitalizzazione nel settore, ancorché regolabile attraverso approcci più sofisticati, è stata simbolicamente rappresentata dagli UK BIM Level, la cui natura è, invero, piuttosto evocativa.

I cosiddetti UK BIM Level sono universalmente noti; a essi, più recentemente, si sono sostituiti gli stage delle norme UNI EN ISO 19650.

Si noti che, attualmente, in diverse sedi, dallo EU BIM Task Group all’ISO e al CEN, la misurazione delle maturità digitali risulta essere un obiettivo fondamentale per impostare una appropriata strategia.

Le scale di maturità digitale alludono, in effetti, a una prospettiva futura di completa digitalizzazione del settore della costruzione e dell’immobiliare che, non a caso, attualmente si riferisce agli «ambienti collegati», eventualmente web-based linked data base, relazionati e sincronizzati, connotati da ontologie e da semantiche, ma che allude ai machine readable data.

L’espressione pre-normativa e normativa della categoria della «documentazione», accanto a quelle della «geometria» e dell’«informazione», rappresentativa di un mondo prospetticamente residuale, ma attualmente prevalente, di dati non strutturati (e persino non computazionali), costituisce, in effetti, il «lato oscuro» di un universo che desidererebbe che nulla fosse celato alla traduzione numerica, potenzialmente algoritmicamente dominabile da qualche «forza», magari espressione di intelligenze non naturali.

Si tratta del fenomeno conosciuto come del capitalismo della sorveglianza, sempre più interpretato in maniera problematica a causa del crescente rilievo assunto dagli algoritmi decisionali alimentati e allenati da grandi moli di serie storiche di dati strutturati.

A questo proposito, passando dagli algoritmi tesi ad analizzare, attraversando quelli finalizzati a raccomandare, si osservava recentemente che molti di quelli mirati a prevedere o a predire contengano elementi pregiudiziali non solo per via del rilievo assunto dalle serie storiche di dati, ma anche dall’età e dal sesso dei loro ideatori.

Evoluzione delle piattaforme digitali

Fuoriuscendo dalla dimensione fictional, ma non eccessivamente, Digital Platform, Digital Ecosystem, Digital Marketplace, alla luce della riflessione precedente, sono espressioni ormai assolutamente ricorrenti, a indicare l’evoluzione in questa direzione del settore dell’ambiente costruito, già della costruzione e dell’immobiliare, dopo che il dato è divenuto il driver principale dei mercati nazionali e internazionali.

Si parla, infatti, di piattaforme, di ecosistemi, di mercati, nazionali e sovranazionali, digitalizzati, di carattere pubblico e privato, anche se, in realtà, queste espressioni non sembra godano di definizioni chiare e precise, assumendo significati e ruoli assai eterogenei, andando da «luoghi» repertoriali di metodi e di strumenti sino a «luoghi» transattivi veri e propri.

D’altra parte, se si osserva l’evoluzione delle cosiddette BIM Library, si può facilmente intuire come esse siano divenute, o stiano divenendo, da siti di esposizione legati a data analytics sugli utenti a marketplace per e-procurement, in attesa di divenire motori behavioural delle strategic supply chain, potenzialmente etero-dirigibili dalle entità che detengono i dati in grado di profilare i comportamenti degli attori e di prevederne le azioni.

Il fatto che le BIM Library societarie, frutto di una conoscenza patrimonializzata, siano utilizzate internamente alle organizzazioni, ma, che per tutelarne la proprietà intellettuale, i modelli informativi che alimentano siano falsificati o falsati all’esterno per la consegna, è emblematico della capacità della digitalizzazione di capitalizzare la conoscenza, ma anche della difficoltà di condividerla, in barba alle liturgie della collaborazione.

Tale comportamento, tuttavia, collide forse con la possibilità che, all’interno di Library private utilizzate da «committenti» specifici per gestire la propria catena di fornitura in maniera negozialmente aggressiva, la «piattaforma» divenga strumento non di autentica cooperazione, bensì di forzatura, rendendo «pubblici» tali oggetti.

In altre parole, nonostante che nel prossimo futuro le normative sovranazionali del CEN metteranno a disposizione data template facilitanti la machine readability, oltre agli OTL, inerenti ai Linked Data e alla Semantic Web Technology, occorre chiedersi a quali condizioni dati che abbiano un valore effettivo possano essere condivisi agevolmente e, soprattutto, a che cosa preluda davvero la leggibilità degli stessi da parte della macchina.

Eterodirezione e Aggregazione delle piattaforme digitali

In ogni caso, è evidente una prima constatazione: le piattaforme si stanno evolvendo da contesto in cui esse ospitano dati strutturati ad ambiti in cui, in maniera guidata da flussi direzionati, tali informazioni sono oggetto, appunto, di scambi che, progressivamente, per quanto concerne i cespiti immobiliari e infrastrutturali, da tangibili si trasformeranno in immateriali, poiché lo spazio dell’abitare, del lavorare, del muoversi, diviene esso stesso social medium, con la smart home, con il cognitive building, con il digital district.

Già da queste prime considerazioni si possono enucleare due tematiche cruciali: l’eterodirezione e l’aggregazione.

In primo luogo, i soggetti che ospitano e che ospiteranno questi flussi, di là delle restrizioni sulla riservatezza dei dati, variabili da continente a continente, o da stato a stato, non potranno certo essere considerati «neutrali», in quanto, essi, pur entro limiti dettati dalle legislazioni nazionali e sovranazionali, deterranno il dato, l’informazione e la conoscenza in maniera superiore a qualunque altro soggetto individuale sul medesimo soggetto: si trasformeranno, cioè, in attori individualmente «collettivi», nel senso di accumulare il sapere altrui, ponendo un notevole interrogativo sulla loro capacità di eterodirigere e di condizionare processi, transazioni e comparti.

Non bisogna, infatti, dimenticare che la digitalizzazione, e al proprio interno il «BIM», comporta la possibilità di tradurre e di tracciare azioni e intenzioni individuali secondo profilazioni sempre maggiormente mirate e più accurate, in grado di consentire «predizioni» e «raccomandazioni» assai prossime al paradigma della «sorveglianza».

Certo, questo scenario è oggi spesso inficiato dalla scadente qualità dei dati, ma, sul medio termine, ciò potrebbe non accadere più.

Tutto ciò dovrebbe indurre a nutrire qualche sospetto, o almeno qualche diffidenza, nei confronti di coloro che apollineamente professano il credo digitale come inevitabile e virtuoso, laddove l’etica (ad esempio, a proposito dell’intelligenza artificiale) appare cruciale.

Occorre, peraltro, ascrivere al governo britannico il merito notevole, anche attraverso il gemello digitale nazionale e il quadro strutturale digitale, di avere posto la questione dei Data for the Public Good, inizialmente attraverso il celebre rapporto prefatto da Lord Adonis.

Il che, invero, implica che, oltre a chiarire il significato di «piattaforma» si definisca accuratamente quello di «interesse collettivo».

D’altra parte, la popolarità di cui gode il Partenariato Pubblico Privato già ora evidenzia la labilità dei confini.

Ovviamente, qualsiasi piattaforma abbia l’ambizione di assumere un vero e proprio carattere «pubblico» non può che sorgere sulla base di una determinata politica e strategia industriale.

Piattaforme istituzionali che eventualmente originassero in assenza di una chiara policy, a fronte di un apparente universalismo, difficilmente raggiungerebbero la pancia profonda del mercato in modo proattivo.

È chiaro che questo tema evoca quello del confronto, ad esempio, in atto tra le istituzioni nazionali o comunitarie e le Giant Technology Company, a proposito della loro natura para statuale e del capitalismo di sorveglianza, a partire dai regimi fiscali per terminare con la emissione di moneta e coll’Intelligence.

La nozione di eterodirezione è, secondariamente, connessa ai processi aggregativi, poiché, allorché si immagina di costituire piattaforme finalizzate a supportare la trasformazione digitale, bisognerebbe evitare comportamenti naïf, dato che, come si è appena detto, non esiste alcuna neutralità, bensì solo politiche e strategie di natura pubblica, privata o mista orientate.

In verità, anche l’assenza di intenzioni precise costituisce essa stessa una strategia, più o meno volontaria.

Del resto, in diversi Paesi le piattaforme digitali pubbliche per il settore, avviate con risorse messo a disposizione dallo Stato, hanno dovuto successivamente autofinanziarsi agendo sul mercato: dovranno esse, in futuro, competere direttamente con quelle delle Technology Company?

Il che vuol dire che, nel mentre che si alloggiano i flussi informativi e i processi decisionali, se ne influenzano le direzioni e i contenuti, soprattutto nel confermare o nello smentire gli assetti esistenti e consolidati.

Come dimostrano alcune piattaforme francesi dedicate ai micro committenti, ai micro professionisti, ai micro imprenditori e alle micro commesse, è possibile apparentemente supportare digitalmente alcuni segmenti del mercato esistente in vista della loro evoluzione.

Si può, infatti, pensare, profittando anche dei Modern Methods of Construction, di aggregare verticalmente i soggetti della catena di fornitura, espungendone, di fatto, una gran parte da un ruolo autonomo, ovvero mantenendo le sembianze della individualità nel nanismo dimensionale, specie nell’On Site, depotenziandoli nella sostanza grazie a una regia di monitoraggio, di controllo e di sorveglianza «invisibili».

D’altronde, i soggetti che ospitassero transazioni digitali, specie se rivolti alle MPMI, a partire dalle BIM Library evolute, potrebbero sempre più utilizzare, come sta già accadendo per Libra, valute forse eterodosse e alternative.

La questione delle MPMI è, infatti, un tema molto controverso: esse, da una parte, contraddistinguono il tessuto committente, professionale e imprenditoriale del settore a tutti i livelli, ma, al contempo, la micro e la piccola organizzazione appaiono forse antitetiche nei confronti di un universo pienamente digitalizzato.

Tra l’altro, come appena ricordato, almeno inizialmente, non è detto che le leve digitali finalizzate all’incremento della catena del valore abbiano interesse a rendere evidenti i processi di aggregazione e di verticalizzazione, ma, sotto questo profilo, il destino appare fortemente indirizzato.

Nessuno avvezzo, infatti, alle logiche di mercato può davvero credere alla versione irenica di piattaforme pubbliche neutrali al servizio degli operatori, laddove proprio il valore dei dati strutturati in informazioni costituirà vieppiù il maggiore fattore competitivo.

In altre parole, il contenuto iniziale di una piattaforma digitale attirerà sempre più «ospiti» i quali, peraltro, contribuiranno, più o meno volontariamente ad alimentarne l’attendibilità. A questo punto, gli operatori non potranno che fare affidamento sempre più sull’indirizzo che la piattaforma fornirà loro, condizionando la loro capacità decisionale.

Lo stesso soggetto istituzionale, in effetti, ergendosi a gestore della piattaforma, a buon diritto potrebbe servirsene per impostare una politica industriale, disponendo digitalmente di elementi decisionali in passato non disponibili: a meno che attraverso gli open data non si sia in grado di promuovere nuove forme di concorrenza.

Oltre al fatto che i concetti di «pubblico» e di «privato» subiscano incrementali variazioni di significato, la riflessione non può, peraltro, limitarsi alla natura pubblicistica o privatistica dei detentori di digital platform, ecosystem, marketplace, poiché il cloud computing e altre forme di servizi riportano alla constatazione che vi siano meta attori (tra cui BAT e GAFAM) che forniscono l’elemento primario per le «piattaforme», soggetti dal carattere transnazionale con cui è necessario dialogare, ancorché soggetti a minacce istituzionali in materia di anti trust e di perplessità sulla fiducia nelle stesse.

Nel momento in cui l’operatività si sposta da flussi singolari e sincopati di dati strutturati e non strutturati, come per il «BIM», a flussi informativi sistematici e collegati (tra data base), come per la «piattaforma», è palese che il futuro dei mercati sia in gioco.

Serve, dunque, a livello nazionale e sovranazionale di istituzioni e di rappresentanze, la massima lucidità per comprendere la natura dei fenomeni e per instaurare un dialogo «politico» della più rilevante importanza.

Per questa ragione, urgono gruppi di opinione e think tank internazionali in grado di istruire sfide epocali che i decisori politici ed economici dovranno affrontare su scala globale nei mercati internazionali, mediando tra logiche differenti.

Queste sfide, peraltro, sono resi ancora più impegnative proprio dal fatto che, contrariamente ai convincimenti generali, gli «oggetti» contrattuali del settore diverranno, appunto, molto più immateriali, molto più legati ad as a Service, ad as an Experience.

È evidente, dunque, che la questione delle piattaforme, degli ecosistemi, dei mercati, debba essere posta all’attenzione dei decisori politici in termini non banali, sia che essi intendano servirsene per rafforzare i caratteri strutturali del comparto sia, al contrario, per stravolgerli, come, in parte, ad esempio, suggerirebbe l’opzione legata ai Modern Method of Construction.

Non a caso, la piattaforma è nozione cruciale.

Qualora, poi, la piattaforma divenisse «configuratore», si può facilmente comprendere quale sia la posta in gioco, attinente alla regolazione del mercato e alla sua, appunto, riconfigurazione.

Data for the Public Good vs Surveillance Capitalism: quali alternative al confronto?

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