Loggia, veranda o pergotenda? Quando serve il permesso e l'opera non è sanabile
Consiglio di Stato: la vera “pergotenda” è un'opera che non può determinare una variazione della sagoma e del prospetto dell’edificio e la cui funzione può essere solo quella di riparare dagli agenti atmosferici
Ci risiamo: ancora una volta il Consiglio di Stato (sentenza 4312/2021 dello scorso 7 giugno) 'interviene' sul caso di una 'presunta' pergotenda, andando a pizzicare una loggia abusiva che si voleva far passare come opera di edilizia libera.
Non solo: nella pronuncia ci sono altre indicazioni interessanti riguardo l'inefficacia della SCIA, il silenzio-assenso e l'istanza di sanatoria. Vediamo di fare un po' di ordine nella vicenda.
Gli abusi edilizi
Si controbatte sulla sentenza del Tar Toscana che aveva 'bocciato' il ricorso di due privati contro un provvedimento comunale di diniego dell'istanza in sanatoria per due abusi edilizi.
I provvedimenti impugnati venivano adottati a seguito di due diversi procedimenti di repressione di abusi edilizi:
- il primo respingeva la richiesta di sanatoria per le modifiche interne ed esterne all’immobile - peraltro già oggetto di SCIA dichiarata inefficace precedentemente dall’Amministrazione -, in quanto il progetto si poneva in contrasto con le disposizioni del R.U. Comunale (art. 13 c. 6); pertanto, l’Amministrazione disponeva l’ordine di rimessa in pristino dello status quo ante dell’immobile;
- il secondo è stato emesso a seguito di un sopralluogo che accertava l’esistenza di nuove opere abusive realizzate in assenza/difformità di titoli edilizi e di autorizzazione paesaggistica consistenti in particolare in:
- a) innesto di una ringhiera di metallo su un muro perimetrale preesistente;
- b) chiusura con infissi di vetro e ferro di un locale adiacente alla piscina;
- c) pavimentazione con verde e ghiaia della parte intorno alla piscina;
- d) realizzazione di una nuova loggia sul fronte dell’edificio principale (pergotenda).
Il Tar ha rigettato, in parte, le censure proposte con ricorso principale, ritenendo fondato solo il secondo motivo con il quale i ricorrenti lamentavano la genericità della motivazione del provvedimento di diniego dell’istanza di sanatoria riguardo alla copertura in ampliamento a protezione della resede di pertinenza della cucina. Quanto ai motivi aggiunti, il giudice di primo grado ne accertava l’infondatezza nella parte in cui le opere in questione eccedevano il limite previsto del restauro conservativo; mentre accoglieva la censura proposta dai ricorrenti relativa al rifacimento della pavimentazione della piscina, trattandosi di un intervento di ordinaria manutenzione.
Si arrivava, così, al Consiglio di Stato.
Il silenzio-assenso e l'efficacia della SCIA
Con il primo motivo gli appellanti sostengono che il diniego di sanatoria sarebbe illegittimo, in quanto l’Amministrazione, una volta decorso il termine entro il quale si sarebbe dovuta pronunciare sull’istanza proposta da qualificarsi alla stregua di SCIA, avendo consumato il proprio potere inibitorio, avrebbe potuto soltanto agire in autotutela ex art 21 nonies della legge n. 241/90.
La censura non è meritevole di accoglimento in quanto il diniego non è intervenuto, infatti, su una SCIA già perfezionatasi.
L’istanza di sanatoria oggetto del diniego è stata poi presentata ai sensi dell’art. 12 del regolamento edilizio e ad essa non può applicarsi la disciplina degli articoli 19 e 20 della legge n.241/90 anche in ragione del fatto che l’amministrazione aveva già dichiarato l’inefficacia della precedente SCIA e quindi la non utilizzabilità di tale strumento per l’acquisizione del titolo edilizio relativo alle opere in questione.
Valutazione delle opere edilizie: una loggia non è una pergotenda
Con gli ultimi due motivi - i più interessanti - si ritiene che il giudice di prime cure avrebbe erroneamente valutato le opere di cui sopra non sanabili (in quanto eccedenti rispetto ai limiti di risanamento conservativo e classificabili come ristrutturazione edilizia) e realizzate in assenza di apposito titolo e autorizzazione paesaggistica. Secondo gli appellanti si tratterebbe invece di lavori riconducibili all’edilizia libera non soggetti all’obbligo di preventivo rilascio di permesso a costruire e del tutto esenti da autorizzazione paesaggistica.
Per Palazzo Spada non è così, in quanto - anche sulla base della documentazione fotografica agli atti - si deve confermare la statuizione del primo giudice che ha correttamente precisato, in relazione alla ringhiera in ferro, che occorre considerare, in area vincolata, l’impatto dell’opera (che appare rilevante sia per l’altezza aggiuntiva rispetto al muro sottostante sia per estensione), non essendo sufficiente, per escludere la necessità dell’acquisizione del titolo edilizio, la sua collocazione su un muro preesistente.
Analogamente, si deve convenire con il Tar sulla creazione di nuovo volume attraverso la tamponatura del locale antistante la piscina, ciò che impedisce di considerare tale intervento come restauro conservativo; la tesi degli appellanti, secondo cui si sarebbe trattato di mera sostituzione degli infissi (della quale non vi è agli atti riscontro idoneo) implicherebbe in ogni caso la legittimità della presunta chiusura preesistente.
Infine, l’opera definita dal Comune come loggia non appare riconducibile, per le sue caratteristiche, al genere “pergotenda” la cui struttura, diversamente da ciò che si evidenzia nel caso di specie anche sulla base del parere della commissione edilizia, non può determinare una variazione della sagoma e del prospetto dell’edificio e la cui funzione può essere solo quella di riparare dagli agenti atmosferici (cfr. Cons. St., sez VI, n. 4472/2019).
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