Normalizzare l’Intelligenza Artificiale
L’intelligenza artificiale non è una divinità digitale né un nemico invisibile. È una tecnologia generale, come elettricità o internet, che va normalizzata, compresa e governata. Non serviranno allarmi apocalittici, ma competenze, regole e responsabilità. Solo così l’IA potrà entrare nella realtà operativa di ingegneri, architetti e decisori pubblici senza distorsioni ideologiche.
Se l’utopia è una carezza e la distopia uno schiaffo, noi abbiamo bisogno del tatto fermo della realtà.
I punti che affronteremo in questo editoriale:
- Perché normalizzare l’IA?
- Quali sono i rischi concreti dell’IA?
- Cosa prevede il “Piano Cavour” per l’IA?
Intelligenza artificiale: ha senso chiedersi ancora se l'AI sia un pericolo per la progettazione ?
L’intelligenza artificiale è entrata nelle nostre officine progettuali come la corrente elettrica entrò nei cantieri di fine Ottocento: all’inizio solo lampi di meraviglia, poi interruttori invisibili che illuminano ogni gesto quotidiano.
Eppure, nei convegni e nei bar dell’algoritmo, continuiamo a parlarne con timbri da fantascienza.
C’è chi teme la divinità di silicio pronta a spodestare l’uomo, e chi sogna un’epoca rinascimentale fatta di creatività illimitata. In mezzo, la prassi operosa di chi ogni mattina apre un modello BIM assistito da un copilot e scopre che l’IA è già “normale”.
E allora, ha ancora senso chiedersi se l'AI sia un vantaggio o un pericolo per il mondo della progettazione o avrebbe più senso dedicare lo stesso tempo per imparare a utilizzarla non modo più efficiente e sicuro possibile?
Oltre la retorica della super-intelligenza
Il saggio di Arvind Narayanan e Sayash Kapoor, uscito da Princeton come un sasso nello stagno, invita a spegnere i fari dell’emergenza e ad accendere la luce di cantiere.
Parlare di “superintelligenza” ‒ ammoniscono ‒ è lessico che abbaglia: non descrive, ipnotizza. La storia delle tecnologie general-purpose insegna che l’impatto sociale segue curve a S, non salti quantici.
L’elettricità impiegò decenni per filtrare nei regolamenti edilizi; Internet, che oggi diamo per aria respirabile, ha impiegato una generazione per ridisegnare il mercato del lavoro. L’IA non scavalcherà questa dinamica, la percorrerà.
Ma come fare allora per seguire questo percorso, a volte ammaliante, a volte complesso e oscuro, nella propria attività, nel proprio sviluppo culturale?
L’adozione come goccia, non come onda
Ne abbiamo scritto più volte su queste pagine: l’innovazione non si misura in release notes, ma in capitolati, licitazioni, normative che trasformano l’eccezione in prassi.
Il machine learning che oggi ottimizza la disposizione delle travi in un ponte o suggerisce schemi d’isolamento termico per un edificio NZEB, domani verrà dato per scontato, come Excel.
Ciò che ora sembra “magia” diventerà mestiere, con una nuova classe di professionisti ‒ supervisori, validatori, auditor algoritmici ‒ chiamati a vigilare sulla qualità del dato e sull’etica dei modelli.
Se l’IA «supercarica il capitalismo», per citare Narayanan, la posta in gioco non sono i robot ribelli, ma la lente d’ingrandimento che l’algoritmo pone sulle nostre fratture: disuguaglianze salariali, precarietà cognitiva, polarizzazione nell’informazione.
Un generatore di immagini che crea concept per facciate vetrate in un minuto è anche un amplificatore di bias estetici e, potenzialmente, un acceleratore di dumping contrattuale. Ignorarlo sarebbe, questo sì, distopico.
Da “guerra fredda” a manutenzione democratica
Negli Stati Uniti (e, per riflesso, in Europa) serpeggia la narrativa della corsa agli armamenti digitali: restrizioni sull’export di chip, piani di sovranità dei data center, proclami di supremazia.
Gli autori la definiscono “shrill” — stridula.
Concordo: trasformare il dibattito in geostrategia muscolare è un errore speculare al catastrofismo. L’Unione Europea ha dato un segnale diverso con l’AI Act del 2024: classificare i rischi, imporre test di conformità, tutelare i diritti fondamentali. È una normativa “noiosa”? Forse. Ma le infrastrutture dell’affidabilità, come le fondamenta di un ospedale, non aspirano a conquistare i titoli di testa; mirano a reggere il peso della quotidianità.
Alfabetizzazione e competenze: la via concreta
Quel che serve oggi ‒ e lancio qui la proposta al legislatore italiano ‒ è un “Piano Cavour” per l’IA:
- corsi brevi e obbligatori di AI literacy per chi firma capitolati pubblici;
- fondi per audit indipendenti sui dataset usati da piattaforme che incidono su credito, sanità, edilizia;
- incentivi fiscali a chi rende open source modelli di validazione e non solo modelli generativi;
- un registro nazionale dei sistemi ad alto rischio, sul modello europeo, ma consultabile anche dallo studio professionale di provincia.
In ingegneria e architettura ‒ mio osservatorio quotidiano ‒ vedo l’IA già trasformare le fasi di concept, il calcolo strutturale, persino la modellazione energetica predittiva.
Ma la sfida resta umana: insegnare agli algoritmi a contare ciò che oggi sfugge ai costi parametrici ‒ benessere sociale, bellezza urbana, resilienza climatica.
Non sarà l’IA a definire questi valori, bensì il professionista-cittadino che la manovra.
Conclusione: trattare l’IA come normale
Trattare l’IA come normale non significa banalizzarla; significa riconoscere che la normalità è l’habitat dove il progresso mette radici.
Smontata dai piedistalli dell’iperbole, l’intelligenza artificiale può finalmente sedersi al tavolo del project manager, dialogare col regolatore, ascoltare il sindacato, entrare nelle aule universitarie senza incutere timore ma suscitando curiosità critica.
Perché, in fondo, l’innovazione è una stanza di cantiere: polvere, rumore, fatica e un progetto appeso al cavalletto. Se l’IA deve aiutarci, che lo faccia lì, dove il gesto si sporca di realtà.
Tutto il resto ‒ super-intelligenze e apocalissi ‒ è, permettetemi, narrativa che distoglie lo sguardo dal lavoro, dall’umana officina in cui il futuro si costruisce mattone dopo mattone.
P.S. È tempo di smettere di domandarci se un articolo, una mail o un testo siano stati generati da un’IA (noi di Ingenio comunque lo scriviamo quando viene usata); concentriamoci piuttosto sul comprenderne il contenuto e sull’impiegarlo al meglio per l’obiettivo per cui è nato. Forse è grazie all'IA, o AI come vuol dirsi, che è stato scritto meglio e ci supporta nella comprensione.

AI - Intelligenza Artificiale
Tutto sull’intelligenza artificiale nel settore AEC: progettazione, BIM, cantiere, manutenzione e gestione tecnica. Scopri come l’AI sta cambiando il lavoro dei professionisti delle costruzioni.
Condividi su: Facebook LinkedIn Twitter WhatsApp