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Oltre il BIM: la Digitalizzazione "Imperfetta" (o Incompiuta?) del settore dell’ambiente costruito

Nella seguente nota, il prof. Ciribini esamina la digitalizzazione nel settore dell'ambiente costruito, sollevando dubbi sulla valutazione degli investimenti e mettendo in discussione l'approccio attuale. Quali possono essere i rischi della digitalizzazione parziale, come nel caso del BIM, evidenziando le sfide giuridiche ed etiche e richiamando l'importanza di affrontare il cambiamento di paradigma in modo consapevole.

Digitalizzazione: i limiti in termini di ritorni e l'assenza di metriche affidabili

La digitalizzazione è un fenomeno certamente pervasivo, sospinto, nel nostro Paese, ulteriormente da disposti legislativi, epperò è legittimo domandarsi se si sia in grado di valutare e di quantificare il ritorno atteso dagli investimenti, materiali e immateriali, in merito.

A tale quesito non è mai stata offerta una risposta esaustiva né pare all’orizzonte la possibilità che essa si dia.

Di là, tuttavia, di un senso comune, incommensurabile, di ineluttabilità del fenomeno, l’assenza di metriche affidabili rischia, in primo luogo, di porre la questione in termini ideologici e pregiudiziali (in senso acriticamente positivo). Un primo rilievo che si possa avanzare riguarda gli esiti che una prima adozione di metodi e di strumenti digitali abbia sortito, almeno nelle migliori pratiche.

Non vi ha dubbio, infatti, che, paradossalmente, tali pratiche abbiano evidenziato un incremento qualitativo delle prassi sotto il profilo tradizionale, per così dire analogico. Un esempio piuttosto preclaro di ciò scaturisce dalla azione di coordinamento della progettazione, attraverso il controllo e la verifica dei modelli informativi disciplinari e federati.

Una altra esemplificazione, sempre nello stesso ambito, proviene dalla unificazione, in molte realtà professionali attrezzate, di sistemi di classificazione e dalla predisposizione di BIM Library personalizzate.

Si tratta, non a caso, però, della dimostrazione dell’inveramento della attività, di fatto regressiva, di ricorso alla produzione di dati strutturati e relazionati al fine di generare documenti coerenti: si tratta, in altre parole, di operare un avanzamento concettuale e operativo colla finalità di migliorare procedimenti consolidati e tradizionali, ben radicati.

In altre parole, tutto sommato, i vantaggi della digitalizzazione si sono palesati nella misura in cui essi si siano profilati sotto un simile punto di vista: il portato di questa considerazione richiede, però, di riflettere sui reali vantaggi rispetto agli oneri che la transizione digitale comporta e di domandarsi se, effettivamente, al mercato un tale risultato, non trascurabile in se stesso, sia sufficiente o meno.

Ci si dovrebbe chiedere, in realtà, se questo approccio possa essere sostenibile e se abbia ragione di essere, specialmente a fronte delle micro, delle piccole e delle medie organizzazioni, poiché esso comporta, in ogni caso, oneri non indifferenti. Per certi versi, peraltro, il conseguimento di questo obiettivo può richiedere semplicemente il riporre una certa enfasi sulla mera tecnologia, benché contestualizzata, in qualche modo, in processi e supportata da metodi.

Trasformazione digitale: il "change management" non può essere affrontato in modo semplicistico

Il passaggio sta, d’altronde, a dire che l’aver banalizzato la dimensione del processo e dell’organizzazione, a favore di quello dello strumento e della commessa comporti notevoli rischi, proprio perché manca una cultura del dato, la cui carenza non permette di far fruttare a dovere la svolta digitale. La stessa nozione di trasformazione digitale indica che il change management non possa essere affrontato in modo riduzionista e semplicistico, pena introdurre variabili turbolente anziché soluzioni costruttive.

Occorre, peraltro, essere consapevoli che la posta in gioco concerna la normalizzazione degli scambi e delle transazioni informative e che tutto ciò evochi veramente le logiche degli ecosistemi digitali e delle piattaforme tecnologiche: nonché la normalizzazione delle azioni dei soggetti ivi coinvolti.

Delle due, in effetti, l’una: o si continua a promuovere una interpretazione, in definitiva, mediocre, nel suo significato etimologico e letterale, della digitalizzazione , che porterà, comunque, rapidamente a una sorta di stanchezza per una innovazione digitale che, nonostante il rinnovarsi delle parole d’ordine, diverrà subitaneamente esausta oppure bisognerà ragionare rigorosamente su politiche e strategie sistemiche che, d’altra parte, sarebbero destinate a rimettere in discussione le identità degli attori e i relativi rapporti di forza.

È ovvio che, allo stato attuale, tutto faccia ritenere che la prima ipotesi sia la più probabile, ma anche che una opportuna retorica la giustifichi, epperò è chiaro come difficilmente la via preferita possa condurre a oltrepassare un guado immaginario.

Ciò di cui è opportuno riflettere è, infatti, questo potenziale stallo che progressivamente possa delinearsi, ma se è probabile che, entro certi limiti, le organizzazioni più avanzate possano accontentarsi di avere innalzato il proprio livello analogico, quale ritorno sull’investimento, anche in termini reputazionali, non altrettanto, nel rapporto tra entità dell’investimento e beneficio corrispondente, si potrà conclamare, lo si ripeta, per il resto, prevalente, del tessuto del versante della domanda e dell’offerta.

Quale che sia la prospettiva più realistica, la digitalizzazione parziale e incompleta, si oserebbe dire incompiuta, che si profila attraverso il cosiddetto BIM , dovrà, per prima cosa, confrontarsi colla sua estensione alle fasi temporali della realizzazione dei lavori e della gestione delle opere: una tendenza che, nelle pratiche, si sta solo ora iniziando ad avverare.


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