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Piattaforme di Sorveglianza?

Una riflessione di Angelo Ciribini

Digitalizzazione delle Costruzioni: il significato del vocabolo «piattaforma»

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Il vocabolo «piattaforma» è attualmente uno dei più ricorrenti, tanto che anche lo scrivente ne ha discusso più volte, essendo, esso peraltro, al centro, di un fondamentale programma di ricerca, già presentato presso il Senato della Repubblica,che, guidato dall’Università Politecnica delle Marche, coinvolge una parte significativa dei maggiori atenei italiani che si occupano della digitalizzazione nel settore della costruzione e dell’immobiliare.

La piattaforma, inoltre, è spesso definita «tecnologica», a indicare che essa, per avere una reale utilità, debba rispondere a politiche, strategie e progetti industriali, possibilmente legate a programmi di investimento immobiliari ed eventualmente infrastrutturali.

Vi sono, infatti, dispositivi che si proclamano piattaforme, essendo, tuttavia, essenzialmente contenitori generali, privi di un preciso orientamento nella direzione poc’anzi evocata.

Piattaforme tecnologiche del generemo cui si tratta, prossime all’Off Site, sono, invece, oggi rinvenibili tanto nel Regno Unito e negli Stati Uniti quanto nel Medio Oriente.

Di esse hanno esaurientemente trattato Daniel Hall, Jaimie Johnston, Mike Farmer, Rita Lavikka, Johanna Kallio, Thomas Casey e Miimu Airaksinen.

Naturalmente, la piattaforma tecnologica non può che essere anche «digitale».

Informativa, gestionale, commerciale e produttiva, le caratteristiche della piattaforma digitale

La piattaforma è non di rado associata a diversi ordini di caratteristiche: informative; gestionali; commerciali; produttive.

Nel primo caso, essa ospiterebbe strutture di dati relativi all’offerta merceologica proposta, anzitutto, dai produttori, possibilmente secondo product data template imposti.

Nel secondo caso, a partire da finalità elementari (come, ad esempio, la redazione del computo metrico o la verifica del progetto), essa si propone di supportare flussi decisionali, o almeno operativi.

Nel terzo caso, con riferimento all’offerta merceologica ed entro i processi gestionali, la piattaforma abiliterebbe le aggiudicazioni di contratti pubblici o le transazioni tra soggetti privati.

Nel quarto caso, infine, essa faciliterebbe i processi progettuali, produttivi, distributivi, logistici e assemblativi.

Tutto ciò detto, le piattaforme potrebbero essere, forse, assimilabili a ecosistemi digitali o, più, semplicemente, ad ambienti di condivisione dei dati, laddove la «collaborazione» appare un termine di estrema ambiguità, alla luce di ciò che si dirà in seguito.

Piattaforme digitali: due aspetti fondamentali, il condizionamento e la proceduralizzazione

Nelle versioni canoniche del tema solitamente sono, però, assenti due aspetti cruciali: il condizionamento e la proceduralizzazione.

A proposito della prima questione, è evidente che tutto ciò che accade all’interno della piattaforma abbia un obiettivo primario, che non è certo quello in prima istanza di efficientare le azioni degli attori, bensì di tradurle in dati numerici, possibilmente strutturati, le cui analisi consentano di comprendere mentalità, preferenze, intenzioni e di potere prevedere i comportamenti dei soggetti coinvolti.

Questa, e assolutamente non altra, è la natura dei capitalisti della sorveglianza che sono destinati a governare, nel medio e nel lungo periodo, la trasformazione digitale.

Ciò, in definitiva, potrebbe, per certi versi, spiegare un possibile equivoco, nel senso che tutte le promesse relative ai vantaggi della digitalizzazione siano incentrate sul miglioramento delle prestazioni, cooperative, degli attori, ma, qualora, in effetti, più che affinare i contenuti dei processi decisionali, sia più importante prevederli (e influire su di essi), la prospettiva potrebbe essere rivista.

Da questo fatto deriveranno probabilmente tensioni tra piattaforme istituzionali «regionali» e piattaforme private «globali».

Per tale motivo, gli algoritmi predittivi e raccomandativi presentano uno straordinario valore, poiché nessun dato e alcuna informazione presente nelle piattaforme potrà essere «neutrale» e, come si vedrà più oltre, i gestori delle piattaforme potranno definire ciò che sia «miglioramento» e «qualità».

Si pensi, peraltro, alla relazione che può intercorrere tra la disponibilità dei dati concernenti singoli componenti edilizi e impiantistici o interi sistemi costruttivi e le modalità di accesso a essi, che saranno sempre più tese a influire sulle valutazioni e sulle scelte degli operatori.

I capitalisti della sorveglianza del comparto si preoccuperanno, infatti, di mettere in relazione e di sincronizzare le diverse basi di dati, nonché i dati strutturati, semi strutturati e non strutturati secondo precisi e determinati criteri di convenienze, facilitandone interrogazioni e suggestioni orientate.

Per quanto inerisce alla proceduralizzazione, è palese che sinora si sia, in rapporto alla industrializzazione, posto l’accento sulla funzione delle piattaforme di integrare i saperi progettuali, di sistematizzare i processi di approvvigionamento e di articolare le combinatorie di elementi tecnologici e spaziali nell’orizzonte della logistica e dell’assemblaggio.

Epperò, come emerge, a titolo esemplificativo, dalle intenzioni di alcuni operatori, ciò che conta è enfatizzare le potenzialità combinatoriali tra soluzioni progettuali preventivamente autorizzate o autorizzabili.

In questa maniera, sono i tempi di attraversamento amministrativo a essere ridotti, ancor prima che quelli ideativi o realizzativi.

La proceduralizzazione, che comporta la computazionalità integrale del quadro regolatorio a livello urbanistico ed edilizio, potrebbe, perciò, fungere da cavallo di troia per indurre, ovvero per costringere, gli operatori ad assoggettarsi a logiche digitali forzatamente più rigide, essenziali per ottenere incrementi di produttività ed eventualmente di redditività, anche se non necessariamente di originalità.

È manifesto, allora, che, senza moralismi o ideologismi, occorra agire su questi due capisaldi al fine di disciplinare quali siano gli ambiti di potestà di coloro che raccolgono e che detengono grandi moli di dati, quali siano i limiti della loro capacità di condizionamento e di sorveglianza, quali siano i confini accettabili della conformità, quali flessibilità siano consentite agli operatori.

Sullo sfondo di questa riflessione sta, dunque, la caratteristica centralizzata o distribuita dell’«intelligenza» che sovrintende alle piattaforme.

In quest’ottica, è interessante notare come l’ipotesi di sfruttare le piattaforme per creare sistemi di oggetti digitali e di flussi informativi interoperabili (a livello evocativo e simbolico si potrebbero citare le Open API), potrebbe condurre a «democratizzare» l’uso delle stesse, secondo un criterio di autonomia, conservando il tessuto professionale legato a una «creatività locale» e preservando pure una «struttura territoriale» imprenditoriale, produttiva e distributiva.

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