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Progettisti e Responsabilità nell’Era Digitale

Una riflessione di Angelo Ciribini

Sarebbe possibile, in termini di attribuzione di responsabilità e di modalità di retribuzione, che all’architetto e ai suoi consulenti tecnici fossero addossate richieste relative a ciò che egli o ella avesse progettato, nel corso della vita utile, qualora i cespiti fossero costituiti da componenti edili e impiantistici completamente sensorizzati e interconnessi e allorché fosse possibile misurare computazionalmente non solo il grado di soddisfazione degli utenti, ma anche la loro produttività (lavorativa, ma pure abitativa)?

angelo-ciribimi-bim-digitalizzazione.jpgSi tratta di una ipotesi senz’altro, in parte, provocatoria che, tuttavia, si basa su una ipotesi di lavoro ben precisa: che, cioè, i cespiti immobili e immobiliari divengano veicolo preferenziale per l’erogazione di servizi individualizzati alla persona entro l’ecosistema digitale costituito principalmente dai social media.

In questa ottica, i componenti, eventualmente prefabbricati e preassemblati, dialogherebbero a sistema tra loro e con i fruitori medesimi.

Il primo obiettivo sarebbe, ovviamente, quello inerente alla manutenzione predittiva, cosicché i singoli componenti possano auto-identificare il proprio fabbisogno manutentivo o sostitutivo e innescare le corrispondenti procedure di intervento.

Progettisti: nuovi profili di responsabilità ?

I progettisti, perciò, sarebbero tenuti a dover rispondere, assieme ai produttori e ai costruttori, oltreché ai distributori, per un determinato periodo temporale, contrattualmente definito, degli specifici livelli prestazionali dei diversi componenti e, soprattutto, del sistema.

Essi, soprattutto, dovrebbero co-assicurare, entro il medesimo lasso temporale,non esclusivamente il benessere abitativo o lavorativo degli occupanti, bensì anche la loro produttività, valutabile attraverso determinate metriche digitalmente, numericamente, abilitate.

È, pertanto, chiaro che lo scenario appena adombrato porterebbe alle estreme conseguenze una serie di istanze (dall’integrazione delle scelte progettali nelle logiche produttive all’attenzione per la durabilità degli elementi, alla valutazione post-occupativa) in maniera da enfatizzare alcuni tratti decisivi e di permettere di meglio comprendere la natura intima, dirompente, della trasformazione digitale.

Certo, allo stato attuale, ben poco di tutto ciò che è qui immaginato appare percorribile né, peraltro, desiderabile, ma, in definitiva, occorre analizzarne passo per passo i diversi aspetti.

Prima di tutto, ovviamente, dal punto di vista della committenza, diretta o indiretta, apparirebbe profondamente mutato l’oggetto del contratto, che vedrebbe al centro il benessere, o la produttività, degli esseri umani, sino a giungere a forme di «contratto esistenziale», o, comunque, nelle quali fossero negoziate e pattuite alcune condizioni di soddisfazione di peculiari, sartoriali, esigenze dei fruitori.

Questa tipologia di Outcome-Based Contract andrebbe oltre i tradizionali Performance-Based Contract, di cui i più noti sono gli Energy-Based Contract e presupporrebbe una elevata dinamicità adattiva del prodotto immobiliare nell’ottica dei servizi erogabili.

In secondo luogo, produttori e distributori, assieme ai progettisti, dovrebbero rispondere in tempo reale delle prestazioni offerte puntualmente, senza soluzione di continuità, vanificando le ragioni delle certificazione di conformità convenzionali, del tutto secondarie allorché gli esiti attesi, computazionalmente stabiliti e verificabili, conterebbero solo normalità che negano se stesse nell’individualità propria e del contesto ambientale in cui si trovano a operare.

Progettisti: nuovi profili di colloborazione ?

L’edificio, nelle sue componenti, comprese quelle mobili (coordinate, ad esempio, dall’assistente vocale) e nel suo complesso, dovrebbe, inoltre, dimostrarsi interattivo, responsivo, cognitivo, dialogante cogli occupanti, sino, anzitutto a riconoscerli e a cercare di procurare loro «esperienze»: contrattualizzabili?

In questo caso, i progettisti, unitamente a produttori, a distributori, a costruttori/assemblatori, a manutentori e a gestori, dovrebbero concorrere «collaborativamente» a questo fine e risponderne.

È palese, del resto, che la dimensione manutentiva, pur fondamentale, passerebbe in secondo piano, in quanto prettamente ausiliaria all’oggetto prevalente della pattuizione.

Come si è premesso, il quadro proposto è naturalmente del tutto avveniristico (di un futuro che non necessariamente occorre auspicarsi), ma restituisce con efficacia le potenzialità, o per meglio dire, le minacce, di un universo digitalizzato in cui sul serio i dati qualitativi potrebbero condurre a inauditi esperimenti sociali per via economica e tecnologica.

Il fatto è, a prescindere dalla credibilità degli scenari futuribili, che molta parte degli impegni, più o meno giuridicamente esplicitati, che i progettisti abitualmente si assumono, in termini spesso retorici, sulla costruibilità, sulla manutenibilità e sulla fruibilità di ciò che ideano è destinata, progressivamente, a divenire effettuale.

Con quali metodologie e apparati essi sapranno farvi fronte? Con quali saperi e assetti?

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