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Ristrutturazione edilizia, nuova costruzione, restauro o risanamento conservativo? Tutte le differenze

Consiglio di Stato: bisogna conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all'organismo preesistente

Spesso il confine tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione è labile ma, se lo si 'attraversa' senza paracadute (cioè senza permesso di costruire), il rischio è di incappare in un abuso edilizio con tutte le conseguenze del caso.

L'oggetto del contendere

Lo spiega bene il Consiglio di Stato nella recente sentenza 7993/2022 del 15 settembre, inerente il ricorso contro un'ordinanza di demolizione emessa da un comune per alcune opere edilizie abusive, consistenti:

  • a) nell’ “ampliamento appartamento per creazione di una superficie coperta di circa mq 17.42 e mc 44.77 ottenuta dalla copertura del terrazzo con lamiera coibentata controsoffittata in legno e chiusura dei lati liberi struttura in muratura e infissi in vetro-alluminio”;
  • b) nella “realizzazione manufatto, di circa mq 26 e mc 59.80, costituito da struttura in ferro con sovrastante copertura in lamiera coibentata, delimitato per un lato da pannelli in legno con vano apribile, per un lato da infisso chiuso tra pilastri, per un lato da pannelli in plexiglass e per un lato muretto con sovrastanti pannelli in legno”.

Opere pertinenziali e di restauro conservativo o nuove costruzioni?

Il ricorrente deduce l’omessa valutazione delle censure riferite alla compatibilità e condonabilità delle opere di cui sopra sotto l’aspetto urbanistico e paesaggistico.

Secondo quanto dedotto dall’appellante, non si farebbe questione di opere edilizie incidenti sul territorio e idonee a determinare una trasformazione sotto il profilo urbanistico-edilizio e paesaggistico.

In subordine, si farebbe questione di opere pertinenziali o, comunque, integranti gli estremi del restauro conservativo.

Ristrutturazione e nuova costruzione: quali differenze considerare?

Palazzo Spada segue con una serie di paletti giurisprudenziali sulle diverse tipologie di intervento, partendo dal presupposto che per valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera "frazionata" (Consiglio di Stato, sez. II, 18 maggio 2020, n. 3164).

Quindi:

  • l'intervento di nuova costruzione consiste in una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, attuata attraverso opere di rimodellamento della morfologia del terreno, ovvero costruzioni lato sensu intese, che, indipendentemente dai materiali utilizzati e dal grado di amovibilità, presentino un simultaneo carattere di stabilità fisica e di permanenza temporale, dovendosi con ciò intendere qualunque manufatto che sia fisicamente ancorato al suolo (il cui tratto distintivo e qualificante viene, dunque, assunto nell'irreversibilità spazio-temporale dell'intervento) che possono sostanziarsi o nella costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati o nell'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma stabilita (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1536);
  • l'intervento di ristrutturazione edilizia, invece, sussiste quando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso: tuttavia, laddove il manufatto sia stato totalmente trasformato, con conseguente creazione non solo di un apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell'intero fabbricato), ma anche di un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria, l'intervento rientra nella nozione di nuova costruzione; nella nozione di nuova costruzione possono, dunque, rientrare anche gli interventi di ristrutturazione qualora, in considerazione dell'entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione dell'immobile, possa parlarsi di una modifica radicale dello stesso, con la conseguenza che l'opera realizzata nel suo complesso sia oggettivamente diversa da quella preesistente (Consiglio di Stato, sez. II, 6 aprile 2020, n. 2304).

In definitiva, pur consentendo l'art. 10, comma 1, lett. c), del dpr 380/2001 di qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all'organismo preesistente (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 gennaio 2016, n. 328).

I 'figli' della risatrutturazione edilizia: restauro e risanamento

Il Consiglio di Stato prosegue sottolineando che la ristrutturazione edilizia, a sua volta, deve essere distinta dagli interventi di restauro e risanamento conservativo.

Mentre la ristrutturazione può condurre ad un "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente", il restauro e il risanamento conservativo "non possono mai portare a ridetto "organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente", avendo sempre la finalità di "conservare l'organismo edilizio" ovvero di "assicurarne la funzionalità" (cfr. ancora art. 31, lett. c) della L. n. 457 del 1978, traslato testualmente nell'art. 3, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380 del 2001)" (Consiglio di Stato, Sez. II, 26 dicembre 2020, n. 8337);

In definitiva, abbiamo un restauro e risanamento conservativo qualora l'intervento sia funzionale alla conservazione dell'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità, nel rispetto dei suoi elementi tipologici (in specie, architettonici e funzionali, suscettibili di consentire la qualificazione dell'organismo in base alle tipologie edilizie), formali (tali da contraddistinguere il manufatto, configurandone l'immagine caratteristica) e strutturali (concernenti la composizione della struttura dell'organismo edilizio).

In particolare, "la caratteristica degli interventi di mero restauro è quella di essere effettuata mediante opere che non comportano l'alterazione delle caratteristiche edilizie dell'immobile da restaurare, e quindi rispettando gli elementi formali e strutturali dell'immobile stesso, mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell'edificio (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 02-09-2020, n. 5350)" (Consiglio di Stato, sez. II, 18 giugno 2021, n. 4701).

Il Consiglio (sez. II, 2 aprile 2021, n. 2735), in definitiva, ha precisato che "la finalità di conservazione, caratteristica degli interventi di recupero e risanamento conservativo, postula il mantenimento tipologico e strutturale del manufatto; conseguentemente dovendosi ascrivere gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile (e comportino, altresì, la modifica e ridistribuzione dei volumi) non già nel concetto di "manutenzione straordinaria" (e, a fortiori, di restauro o risanamento conservativo), ma quale "ristrutturazione edilizia" (pertanto ravvisabile nella modificazione della distribuzione della superficie interna e dei volumi e dell'ordine in cui sono disposte le diverse porzioni dell'edificio anche per il solo fine di renderne più agevole la destinazione d'uso esistente)" (Consiglio di Stato, sez. II, 2 aprile 2021, n. 2735).

Ma questa è una costruzione 'nuova'

L’applicazione delle coordinate ermeneutiche sopracitate al caso di specie conduce al rigetto del motivo di impugnazione: l’ampliamento di un appartamento e la realizzazione di un nuovo manufatto danno infatti luogo ad interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, comportando un aumento della volumetria precedentemente assentita.

Nel primo caso, la parziale chiusura di un terrazzo con ampliamento dell’appartamento, comportando una variazione planivolumetrica ed architettonica dell'immobile interessato, integra un intervento di ristrutturazione edilizia soggetto al preventivo rilascio di permesso di costruire, determinando una trasformazione dell’organismo edilizio con aumento di volumetria, superficie (oltre che) modifica del prospetto.

Tale intervento, dando luogo ad un intervento di ristrutturazione edilizia comportante un aumento della volumetria, è soggetto al previo rilascio del permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. c), DPR n. 380/01, in assenza del quale si impone ex art. 33 DPR n. 380/01 la sanzione demolitoria.

Nel secondo caso, la realizzazione di un manufatto di circa mq 26 e mc 59.80 integra gli estremi dell’intervento di nuova costruzione, avendo condotto all’edificazione di un nuovo organismo edilizio suscettibile di autonoma utilizzazione, per il quale, parimenti, risultava prescritto il previo rilascio del prescritto permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. a), DPR n. 380/01, in assenza del quale è dovuta la sanzione ripristinatoria ex art. 31 DPR n. 380/01.

Pertinenza urbanistica? Non ci sono gli estremi

Infine, non potrebbe neppure ricorrersi alla nozione di pertinenza urbanistica, qualifica riferibile soltanto ad opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, ma non anche ad opere che, da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cd. principale e non siano coessenziali alla stessa, tali, cioè, che non ne risulti possibile una diversa destinazione economica.

A differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando, da un lato, sia preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, essendo funzionalmente inserito al suo servizio, dall'altro, sia sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporti carico urbanistico, esaurendo la sua finalità nel rapporto funzionale con l'edificio principale.

Il collegamento tra pertinenza e bene principale non può essere, peraltro, apprezzato sul piano soggettivo, avuto riguardo al tipo di destinazione che il proprietario ha inteso imprimere nel caso concreto al manufatto di servizio, dovendo sussistere un "oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce" (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, 8 giugno 2020, n. 3634).

Nel caso di specie, da un lato, si fa questione dell’ampliamento di un appartamento preesistente, con la conseguenza che non emerge alcun rapporto di accessorietà tra una res principale e una pertinenziale, emergendo un unico manufatto all’uopo ampliato; nel secondo caso, emerge un manufatto di apprezzabili dimensioni (26 mq e 59,80 mc) suscettibile di un autonomo utilizzo, con conseguente mancata integrazione degli elementi costitutivi della pertinenza urbanistica.

Demolizione sacrosanta...

Facendosi questione di interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia in assenza del permesso di costruire, non soltanto era necessitata la sanzione demolitoria, ma non era possibile neppure procedere alla sanatoria delle opere in parola, in quanto la normativa edilizia-urbanistica e paesaggistica richiamata e trascritta nel diniego di sanatoria precludeva l’esecuzione di opere comportanti un aumento di volumetria.


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