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Sanatoria “giurisprudenziale”: un dibattito infinito…e una soluzione regionale

Articolo di approfondimento sulla sanabilità delle opere abusive conformi solo al momento della richiesta di sanatoria e non anche al momento della realizzazione, la cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”

Ermete Dalprato approfondisce un tema già accennato in un precedente scritto e che resta di grande attualità, ovvero la sanabilità delle opere abusive conformi solo al momento della richiesta di sanatoria e non anche al momento della realizzazione. La cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”. La disciplina di legge vigente (articolo 36 del DPR 380/01 derivata dall’articolo 13 della legge n. 47/85) ha fatto sorgere un dibattito infinito circa la sua sopravvivenza. Forse sarebbe auspicabile un intervento del Legislatore nazionale, ma probabilmente basterebbe un intervento regionale come ha fatto l’Emilia-Romagna che ha riconosciuto per legge l’istituto

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In un precedente articolo, parlando in generale dell’abusivismo (“Abusivo, illegittimo, conforme, sanabile: un po’ di chiarezza sui termini...e sulle procedure (parte seconda)”) abbiamo accennato alla modalità di sanare alcune tipologie di abusi tramite quella che viene definita “sanatoria giurisprudenziale” e cioè quella tipologia di sanatoria che non è definita per legge ma si basa sui principi generali del diritto amministrativo.

L’innovazione della legge del primo condono (l. n.47/85)

Tutti sanno che la legge n. 47 dell’ormai lontano 28 gennaio 1985 che titolava “Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie” non ha solo introdotto il “primo” condono edilizio, ma si è occupata anche in modo sistematico del “problema abusivismo” (anche perché auspicava di essere un provvedimento unico, eccezionale e “tombale” sull’argomento).

Ha dunque disciplinato anche le modalità di recupero al mondo della legittimità di quelle opere che, pur essendo abusive (e cioè prive di titolo abilitativo), potevano essere sottratte alla più severa disciplina delle sanzioni repressive attraverso procedure più blande qualora avessero certi requisiti (si rammenti che il cosiddetto “condono” è anch’esso una forma specifica ed eccezionale di “sanatoria”).

La sanatoria diventa “legale”

Questi requisiti venivano fissati nella norma dell’articolo 13 titolato “Accertamento di conformità”. Il titolo appare invero un po’ reticente (tra un po’ chiariremo perché) e non si qualifica per quello che davvero è (una sanatoria), ma preferisce già anticipare nel titolo la modalità di ottenimento della sanatoria di cui parla subito dopo nel testo del primo comma: la sanatoria si ottiene attraverso una procedura di “accertamento” della conformità delle opere al momento sia della realizzazione che a quello della domanda e sia alle norme urbanistiche vigenti che a quelle adottate.

Questa è quella che è stata definita “doppia” conformità (anzi: quadruplice conformità).

Ma la sanatoria è sempre stata anche “giurisprudenziale”

Non è che prima della legge n. 47/85 non fosse possibile “sanare” abusi edilizi, perché la “sanatoria” è un principio del diritto amministrativo che si basa sulla considerazione che è illogico sanzionare un’attività (qualsiasi) che – pur nata senza autorizzazione – sia poi (al momento dell’accertamento) conforme alla legge e questo anche nel caso in cui la conformità inizialmente non vi fosse e sia intervenuta successivamente.

Illogico ed anche antieconomico in senso lato se la sanzione fosse addirittura la demolizione (come nel caso di opere edilizie abusive). Anche perché, la conformità attuale alle norme al momento dell’accertamento, comporterebbe dapprima la sanzione e poi (se richiesto) il rilascio del titolo abilitativo.

E poiché l’attività della pubblica amministrazione deve rispondere ai principi di logicità, buon andamento ed economicità era ritenuto legittimo “sanare” con il rilascio di un titolo ex post ciò che era nato senza autorizzazione se poi divenuto conforme.

Dunque, in sintesi, ottenere la sanatoria in base ai principi del diritto comporta la sola conformità al momento della richiesta.

Così ci si è comportati fino all’entrata in vigore della legge n. 47/85 applicando la “sanatoria” detta “giurisprudenziale” perché non fondata su di una specifica norma di legge ma sui principi riconosciuti dalla giurisprudenza.

Le due sanatorie: una convivenza contrastata

Qual è allora la differenza con la sanatoria “legale” dell’articolo 13 della legge n.47/85 (oggi articolo 36 del DPR 380/01)?

La sanatoria che richiede la sola conformità al momento della richiesta paga il contributo di autorizzazione (licenza, concessione, permesso, …) come una normale autorizzazione, ma resta sottoposta alle sanzioni penali (perché non estingue il reato edilizio commesso); la sanatoria legale dell’articolo 13 legge n. 47/85 paga il contributo di costruzione doppio ma non applica le sanzioni penali.

Non per nulla la norma è coeva del condono edilizio e non per nulla il “contributo doppio” si paga a “titolo di oblazione” (termine tecnico che ne qualifica la finalità estintiva del reato); d’altra parte se le opere erano conformi anche al momento dell’esecuzione l’illecito originario è solo formale (mancanza del titolo), ma non sostanziale (conformità alle norme).

Abbiano detto poc’anzi che il “condono” (ex legge n. 47/85 e successive: leggi n. 724/94 e n. 326/2003) è in realtà una sanatoria, ma una sanatoria speciale perché estingue anche il reato penale.

A volere essere sofisti potremmo dire – ribaltando il concetto – che l’articolo 13 della legge n. 47/85 (oggi art. 36 DPR 380/01) è più simile ad un condono permanente (che si giustifica per i soli reati formali) che ad una mera sanatoria amministrativa; o, almeno, è una via di mezzo tra condono e sanatoria amministrativa perché ha doppio effetto: sul piano amministrativo e su quello penale. Per quello forse il Legislatore lo titola “accertamento di conformità” e non “sanatoria” come abbiamo rilevato poc’anzi.

Se le parole (soprattutto quelle tecniche) hanno un senso questo distinguo usato dal Legislatore può darsi che sottenda qualcosa di più di una mera distinzione lessicale e ci aiuta forse a capire meglio quello che diremo nel seguito.

Nella prassi l’aver introdotto una norma di legge che disciplinava quella che d’ora in poi chiameremo sanatoria “legale” ha fatto sorgere il dubbio che quella “giurisprudenziale” fosse da questa sostituita e non fosse più applicabile.

Ma la legge tace sul punto.

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Un dibattito infinito…

Dal 1985 la sanatoria giurisprudenziale ha vissuto periodi di valutazione alterna perché, sia in dottrina che in giurisprudenza, si sono sostenute tesi diverse (ed opposte) tra chi la riteneva definitivamente soppressa e chi valutava che – per la sua specificità – ancora fosse applicabile.

Nonostante che già nel 1995 il Consiglio di Stato, 1995, sez. I, n. 2117 affermasse che “resta fermo, naturalmente, il più generale istituto della sanatoria delle opere conformi agli strumenti urbanistici vigenti al momento in cui l'amministrazione provvede sulla domanda di autorizzazione; non essendovi ragione, dopo la legge 47 del 1985 come in precedenza, di far demolire opere di cui viene chiesta la concessione, per poi farle ricostruire conformemente alla domanda” il dibattito si è trascinato anche dopo che l’articolo 13 della legge n. 47/85 è stato trasposto nell’articolo 36 del Testo Unico per l’Edilizia.

E ciò nonostante il Consiglio di Stato – proprio in occasione del Parere espresso in Adunanza Generale il 29 marzo 2001, (protocollo n. 52/2001) su quello che sarebbe poi diventato il DPR 380/01 - avesse suggerito l’opportunità dell’intervento del Legislatoreritenendosi illogico ordinare la demolizione di un quid che, allo stato attuale, risulta conforme alla disciplina urbanistica vigente e che, pertanto, potrebbe legittimamente ottenere, a demolizione avvenuta, una nuova concessione” .

Ma il Legislatore ha declinato l’invito.

Lo ha fatto il legislatore del DPR 380/01 (che era il Governo che operava su delega del Parlamento e quindi un legislatore con la “l” minuscola) sostenendo di non avere i poteri di introdurre modifiche al corpo normativo preesistente, ma solo di “riordinarlo”. Motivazione debole visto che sappiamo bene che invece ha in più punti innovato (e non solo riordinato) la normativa previgente.

E anche il Legislatore con la “L” maiuscola (e cioè il Parlamento) ha fatto orecchie da mercante preferendo non assumere posizione, e così ognuno ha continuato ad andare per la propria strada arricchendo il dibattito (si fa per dire) di opinioni personali contrastanti, in un misto di interpretazione giuridica e argomentazioni di merito sull’efficacia dell’azione a contrasto dell’abusivismo. Una schermaglia che ormai dura più della guerra dei trent’anni, ben lontana dal giungere ad una soluzione univoca.

Non ci addentreremo qui in questo dibattito. Che d’altra parte non ci porterebbe ad una soluzione condivisa, ma semmai solo ad una più approfondita conoscenza delle opposte tesi, fortemente condizionate dalle opinioni personali e di opportunità, più che da una fredda analisi tecnico-giuridica.

Ad ogni citazione giurisprudenziale contraria si potrebbero opporre altrettante risoluzioni favorevoli con una prevalenza delle une sulle altre altalenante a seconda dei periodi.

Resta dunque il fatto che, a tutt’oggi, l’esito di un eventuale giudizio amministrativo apparirebbe incerto, dipendente dall’“orientamento” del momento. Il che non depone a favore della “certezza” del diritto e della tranquillità degli operatori.

Il dibattito è ancora aperto e probabilmente non si sopirà senza l’intervento del Legislatore perché un principio non si elimina per abrogazione implicita. Questo almeno sotto il profilo amministrativo.

Qualche punto fermo…

Anche la giurisprudenza penale si è occupata della questione rilevando però che, “La sanatoria di elaborazione giurisprudenziale, cioè l'ottenimento di un titolo edilizio conforme alla normativa urbanistica vigente al momento del rilascio, continua a trovare applicazione anche dopo l'introduzione del c.d. accertamento di doppia conformità di cui agli art. 13 e 22, l. 28 febbraio 1985 n. 47, e oggi all'art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, c.d. testo unico dell'edilizia, perché sarebbe contrario al buon andamento ed all'economia dell'azione amministrativa demolire un'opera che può essere nuovamente assentita sulla base della differente disciplina urbanistica vigente; ma detta sanatoria non produce la speciale causa estintiva prevista dalle citate norme, sicché permane l'illiceità penale” (Cassazione penale sez. III - 09/01/2004, n. 1806). E, ancora, Cassazione penale sez. III, 27/10/2005, n.40969.

Più specificamente, la Cassazione Penale (in Sez. III n. 21208 del 28 maggio 2008) prende atto che in ambito amministrativo sussistono due contrastanti orientamenti giurisprudenziali (richiamando anche esemplificative sentenze dell’uno e dell’altro) ma, lungi dal prendere posizione in merito, osserva che il rilascio di un atto sanante in base la sola conformità attuale delle opere non incide sul piano penale ma unicamente sul procedimento amministrativo (che è di competenza dell’amministrazione comunale).

In altri termini l’importante è che non siano messe in discussione le sanzioni penali e poiché la sanatoria giurisprudenziale non incide su di queste che – per unanime riconoscimento di dottrina e giurisprudenza – restano impregiudicate, la Suprema Corte Penale non ha avuto remore ad ammetterne l’esistenza sul piano amministrativo o, perlomeno, ad esserne indifferente.

Dal che si può anche dedurne che, quand’anche un atto di sanatoria giurisprudenziale dovesse essere ritenuto illegittimo (visto che su questo piano l’apprezzamento è mutevole nel tempo), certamente di per sé non costituisce un illecito.

Qual è allora lo stato dell’arte?

Al di la delle “simpatie” personali, se ci atteniamo agli atti e ai documenti formali dei procedimenti in corso, scopriamo che il tema è attualmente sul “Tavolo Tecnico per la proposta di un Nuovo Testo Unico sulle Costruzioni” istituito presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per la modifica del DPR 380/01 che in materia si propone di studiare un intervento di regolazione di questo istituto definendo gli “obiettivi da perseguire” e le “possibili soluzioni”.

Dal che si desume che:

  • per lo Stato (che poi è il Legislatore nazionale) l’istituto è vivo e vegeto, tanto che…
  • si propone di regolamentarlo e meglio precisarlo, ma non di sopprimerlo;
  • per cui nel frattempo lo si applica come è sempre stato, in ossequio ai principi generali del diritto (economicità, logicità, buon andamento).

Con i rischi degli umori variabili di cui si è detto. Questo è lo stato dell’arte a livello nazionale.

La competenza regionale: il caso della regione Emilia-Romagna

E a livello regionale?

Nel silenzio del Legislatore nazionale la regione Emilia-Romagna ha risolto legislativamente il problema applicando il principio della legislazione concorrente e riconoscendo legittimità alla sanatoria giurisprudenziale all’articolo 17, comma 2 della legge 21.10.2004 n. 23 che testualmente recita:

“Art. 17  - “Accertamento di conformità”

…………….. omissis …………………..

2. Fatti salvi gli effetti penali dell’illecito, il permesso e la SCIA in sanatoria possono essere altresì ottenuti, ai soli fini amministrativi, qualora l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda.

…………….. omissis …………………..

Non è mancato chi si è stupito di questa disposizione ipotizzandone un conflitto con la competenza statale.

Né mancherà chi vorrà obiettare che la questione è già stata affrontata recentissimamente dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 232/2017 in merito alla legge regionale siciliana n. 16/2016 di cui ha dichiarato incostituzionale l’articolo 14 che aveva recepito l’articolo 36 del DPR 380/01 richiedendo la sola conformità al momento della domanda e non anche al momento della realizzazione.

Ma proprio qui sta il punto che differenzia la legge regionale dell’Emilia-Romagna da quella siciliana.

Quest’ultima, infatti all’articolo 14, riscriveva l’articolo 36 del DPR 380/01 titolato “Recepimento con modifiche dell’articolo 36 ‘Accertamento di conformità’ del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380” cancellando tout court il requisito della doppia conformità (e richiedendo sempre e solo la conformità attuale) che comunque comportava l’estinzione del reato penale e delle sanzioni ex articolo 44 T.U dell’Edilizia.

E’ evidente che così concepita la norma incideva sulla competenza esclusiva dello Stato e non poteva essere tollerata nell’ordinamento costituzionale. Dalla lettura della sentenza emergono chiare le motivazioni della dichiarata illegittimità.

Né ci conduce a diversa conclusione la precedente sentenza della Corte Costituzionale n 101/2013 in merito alla legge regionale Toscana n. 4/2012 che, per la verità, si riferisce alla materia antisismica.

La legge regionale dell’Emilia-Romagna al comma 1 dell’articolo 17 invece recepisce integralmente l’articolo 36 del T.U dell’Edilizia - col requisito della doppia conformità ad effetti estintivi del reato penale – e dunque non lo sostituisce, ma al comma 2, aggiunge anche la sanatoria giurisprudenziale senza effetti in campo penale.

L’incipit del comma toglie ogni dubbio su potenziali ipotizzati conflitti di competenza: la norma fa salvi gli effetti penali dell’attività illecita (che abusiva era e abusiva resta all’origine e come tale sanzionabile in base alle norme di esclusiva competenza statale) e ne sana i soli aspetti amministrativi che (in ossequio all’articolo 117, comma 3 della Carta Costituzionale) sono di competenza delle Regioni.

Così formulata la norma risulta rispettosa delle materie di competenza esclusiva statale e riporta la disposizione all’ambito amministrativo come paiono suggerire le citate sentenze della Cassazione Penale dianzi citate.

Ed è indubbio che la sanzione demolitoria rientri nella gestione amministrativa della repressione dell’illecito che ha natura prevalentemente “ripristinatoria” (e solo incidentalmente e di riflesso “afflittiva”), tesa cioè a riparare (reintegrare, rimettere in pristino stato) l’interesse pubblico violato; interesse che, se l’opera è attualmente conforme, non appare più violato in concreto e nulla ha da ripristinare.

A buon diritto l’Emilia-Romagna ha disciplinato questo istituto applicando anche il principio di “proporzionalità” dell’azione amministrativa di derivazione comunitaria – ricomprendendo nell’articolo 17 della legge regionale sopra richiamata:

  • al primo comma la sanatoria della “doppia conformità” dell’articolo 36 del DPR 380/01 e
  • al secondo comma la sanatoria che a livello nazionale definiamo “giurisprudenziale” e che (così stando la noma) nella regione Emilia-Romagna ben si può definire anch’essa “legale”.

Potremmo anzi dire che il legislatore regionale – nel silenzio di quello statale – ha colto l’invito del Parere del Consiglio di Stato di cui abbiamo detto sopra integrando la norma nazionale nello spazio della discrezionalità delle scelte amministrative che la Costituzione riserva alle regioni in materia di “Gestione del Territorio”. 


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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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