Sicurezza sul lavoro: il committente è responsabile anche in assenza di contratto scritto
Il committente, che talvolta può coincidere con il datore di lavoro (titolare dell'impresa), ha la responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro anche nei casi in cui non esista un contratto scritto. Attraverso l’esame del DLGS 81/2008 e della recente sentenza della Corte di Cassazione n. 22013/2025, si chiarisce che gli obblighi di tutela della salute e sicurezza non derivano necessariamente dalla formalizzazione contrattuale. La sicurezza sul lavoro, dunque, non può essere subordinata alla mera esistenza di un contratto, ma deve basarsi su una gestione consapevole e diligente dei rischi connessi alle attività lavorative affidate.
L'assenza di un contratto scritto esonera o non il committente dagli obblighi di sicurezza?
Quando ci si confronta con la sicurezza nei luoghi di lavoro il tema è ampio e include una serie di figure professionali e non. Tra queste, il committente riveste un ruolo centrale nella gestione e nella prevenzione dei rischi nei cantieri, specie quando sia titolare di impresa e quindi coincidente anche con la figura datore di lavoro avverso lavoratori dipendenti e/o autonomi.
Una delle convinzioni errate, ma purtroppo diffusa, è che la tutela della sicurezza avviene solo ed esclusivamente con la redazione di un contratto scritto.
In realtà, la legge stabilisce chiaramente che il committente non è esonerato dai propri doveri, anche in assenza di documentazione formalmente corretta.
In tale contesto, il DLGS 81/2008 che individua le figure coinvolte nel processo edilizio, ne individua le responsabilità e i compiti, oltre a disciplinare la sicurezza sui luoghi di lavoro e introdurre dei chiarimenti in termini di contratti.
Secondo l’art. 2 del DLGS 81/2008, comma 1 lett a) il lavoratore è la “(…) persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari (…).
L’articolo amplia la definizione di lavoratore, includendo, oltre la visione comune, anche:
- chiunque operi in ambito lavorativo, indipendentemente dalla tipologia di contratto;
- qualsiasi individuo che svolga attività, seppur inerenti solo alla formazione, ossia volta all’apprendimento di un mestiere.
Il principio secondo il quale il committente avrebbe degli obblighi di sicurezza nei confronti di chi svolge attività lavorative presso la sua organizzazione, trova piena applicazione nell'art. 26 del DLGS 81/2008, in particolare al comma 1 viene chiarito che “Il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo:
a) verifica, con le modalità previste dal decreto di cui all'articolo 6, comma 8, lettera g), l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d'opera o di somministrazione. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al periodo che precede, la verifica è eseguita attraverso le seguenti modalità:
1) acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato;
2) acquisizione dell'autocertificazione dell'impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale, ai sensi dell'articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445;
b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività (…)”.
L’articolo stabilisce proprio che il datore di lavoro committente è responsabile del verificare che (oltre all’impresa) il professionista esterno sia in regola con le norme sul lavoro, con l’assicurazione, con le norme sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e ciò avverrà mediante l’acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio e dell'autocertificazione dei lavoratori autonomi presenti.
Analogamente, in merito alla sicurezza delle lavorazioni in quota responsabili della maggioranza degli infortuni (spesso mortali) sui luoghi di lavoro, l'art. 148 dello stesso decreto legislativo stabilisce che “Prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l'obbligo di predisporre misure di protezione collettiva, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego. Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta.”
Nel decreto vengono, quindi, specificati gli obblighi di sicurezza relativi ai lavori in quota, richiedendo la verifica della resistenza delle coperture e più in generale dei piani di posa, ovvero la ripidità degli stessi, costringendo all'adozione di adeguate misure di protezione collettiva (oltre quelle individuali).
Com'è possibile riscontrare, il contratto scritto non è condizione necessaria per far insorgere gli obblighi di sicurezza sul lavoro.
Il committente è chiamato a partecipare attivamente alla prevenzione dei rischi, infatti a ribadirne la responsabilità penale per la sicurezza anche in assenza di un formale rapporto contrattuale è la sentenza della Corte di Cassazione n. 22013/2025.
Solo così è possibile costruire un sistema di sicurezza realmente efficace e conforme alla legge.
Sicurezza sul lavoro: la responsabilità del committente
Il caso oggetto del giudizio ha origine da un tragico incidente avvenuto nel 2015, quando all’interno di un capannone di proprietà del titolare dell’impresa, in qualità anche di committente di fatto, aveva incaricato un lavoratore, a cui era legato da un rapporto di amicizia, di occuparsi della riparazione della copertura dell’immobile, costituita da lamiere metalliche alternate a pannelli in plexiglass.
Durante l’esecuzione dei lavori, uno di questi pannelli ha improvvisamente ceduto, causando la caduta e la morte dell’operaio. L’impresa era stata già condannata dalla Corte d’Appello di Salerno, la quale aveva evidenziato come l’imputato, in qualità anche di committente, avesse omesso una serie di adempimenti.
Contro tale pronuncia è stato presentato ricorso in Cassazione, dove veniva contestata l'esistenza stessa di un rapporto lavorativo tra la committenza e la vittima. Inoltre veniva sostenuto che il lavoratore non fosse stato formalmente incaricato dei lavori e che non ci fossero le condizioni per imputare al ricorrente una posizione di garanzia.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso evidenziando che “in forza del principio di effettività, l'obbligo dell'approntamento delle misure di sicurezza non è necessariamente collegato alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, ma inerisce a qualsiasi fattispecie di lavoro prestato anche a titolo di amicizia, per riconoscenza, o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato o autonomo. (…) La Corte, in coerenza con tali assunti, ha ribadito che *** ***, legato a *** *** da rapporto di amicizia ultraventennale, già in passato lo aveva incaricato di effettuare lavori all'interno della sua ditta e in occasione dell'infortunio mortale gli aveva affidato il compito di riparare, anche attraverso l'ausilio di altre persone, la copertura del capannone della sua ditta. Indi, la Corte ha confermato la sua responsabilità in ordine all'infortunio, ricollegandola alla posizione di garanzia da egli assunta in ragione del conferimento di tale incarico e alla inottemperanza degli obblighi su di lui gravanti ai sensi dell'art. 26 e 148 D.Lgs. n. 81/2008. (…) Il motivo, nel contestare la configurabilità di un rapporto di lavoro in senso tecnico non tiene conto della risalente e costante giurisprudenza di legittimità secondo cui chi coinvolge, in un lavoro pericoloso, un'altra persona, in base a un rapporto non di lavoro subordinato, ma di amicizia e riconoscenza, è egualmente tenuto all'adozione di tutte le necessarie cautele antinfortunistiche e, in caso di omissione a cui consegua il decesso a seguito di infortunio della persona coinvolta, risponde di omicidio colposo (…).”
La Corte chiarisce il principio di effettività, in base al quale gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro non discendono esclusivamente da un contratto di lavoro in senso tecnico, ma dalla concreta organizzazione delle attività e dall’affidamento dell’incarico e le stesse valgono anche nel caso che il rapporto si effettui a titolo di amicizia, parentela ovvero a titolo gratuito.
Infatti anche quando il lavoro è svolto in forma saltuaria, gratuita o motivato da ragioni affettive o di amicizia, colui che lo ha affidato l'incarico assume una posizione di garanzia e ha il dovere di tutelare l’incolumità del soggetto incaricato. Come anticipato, la Corte ribadisce che il committente/datore di lavoro risponde dell’omessa adozione delle misure di sicurezza anche se il rapporto con il lavoratore non sia stato formalizzato o non rientri comunque nelle forme contrattuali tipiche.
Ma ancora più interessante è stato il richiamo alla definizione di lavoratore contenuta all'art. 2 del DLGS n. 81/2008, ossia
"la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione". La stessa è infatti più ampia di quella prevista dalla normativa pregressa nella quale si faceva espresso riferimento al "lavoratore subordinato" (art. 3, D.P.R. n. 547 del 1955) e alla "persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro" (art. 2, comma 1, lett. a, D.Lgs. n. 626 del 1994).
Nel caso di specie, è emerso che l’impresa era solita affidare lavori di vario tipo al lavoratore e da ciò discende in modo diretto la sua posizione di committente e, dunque, l’obbligo di garantirne la sicurezza del luogo di lavoro e di predisporre adeguate misure preventive.
Questa sentenza sottolinea che la responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro si estende anche a quelle situazioni in cui l’incarico non si fondi su un contratto scritto o su una relazione formale.
Il committente (allorché anche datore di lavoro) nel momento in cui coinvolge terzi, anche occasionalmente o informalmente, nello svolgimento di attività lavorative potenzialmente pericolose, assume l’obbligo di tutelarne l’incolumità e può essere chiamato a rispondere penalmente in caso di incidente.
LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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La "Sicurezza sul Lavoro" comprende tutte le misure, le procedure e le normative destinate a proteggere la salute e l'integrità fisica e psicologica dei lavoratori durante l'esercizio delle loro attività professionali. La sicurezza sul lavoro è regolamentata dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 noto anche come Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (TUSL).
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