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Vani accessori: attenzione all'utilizzo, il cambio di destinazione richiede il permesso di costruire

I vani accessori (cantine, soffitte, locali tecnici e zone wellness) sono spazi complementari all'edificio principale. Tuttavia, la loro trasformazione in aree residenziali o ricettive aumenta il carico urbanistico dell’immobile. Per questo motivo, come chiarito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 10411/2025, la qualificazione di ambienti come le aree wellness in un hotel di lusso (considerati strutture autonome e sostanziali) non può essere assimilata ai vani accessori poiché necessitano di un permesso di costruire per essere autorizzate.

Spazi accessori e la loro incidenza sul carico urbanistico

Il vano accessorio indica lo spazio di un immobile che non è destinato direttamente alla residenza o alle funzioni principali dell’edificio, ma svolge una funzione complementare o di supporto.
Non ha funzione abitativa diretta, ma serve a integrare o rendere più agevole l’uso dell’abitazione o dell’edificio principale.

Si possono considerare vani accessori:

● cantine;
● soffitte (non abitabili);
● locali tecnici (es. centrali termiche, vani contatori);
● lavanderie;
● ripostigli e dispense;
● autorimesse (quando non utilizzate per attività diverse);
● corridoi e vani scala (nelle parti comuni);
● rifugi per animali (es. stalle, pollaio, etc.);
● granai e depositi;
● bagni;
● verande.

Secondo l’art. 46 del DPR 1142/1949 “I vani aventi destinazione ordinaria accessoria dei vani principali si calcolano per tanti vani utili quanti, per ogni categoria, sono fissati dagli usi locali.

Si considerano vani accessori quelli necessari al servizio o al disimpegno dei vani principali (latrine, bagni, dispense, ripostiglio, veranda, ingresso, corridoio e simili), nonché quelli che, pur non essendo strettamente necessari alla utilizzazione dei vani principali, ne integrano la funzione (soffitte, cantine, bucatai, spanditoi, stalle, granai, porcili, pollai e simili). Sono compresi fra gli accessori quelli che, pur avendo destinazione principale nell'uso ordinario dell'unità immobiliare, hanno superficie minore di quella minima prestabilita in ogni zona censuaria per ciascuna categoria e classe. La cucina è considerata vano utile, qualunque ne sia la superficie, purché sia fornita degli impianti relativi alla sua speciale destinazione nel modo ordinario per la categoria e classe cui appartiene l'unità immobiliare. In mancanza di usi locali i vani accessori si computano per un terzo di vano utile se sono strettamente necessari al servizio od al disimpegno dei vani principali, per un quarto di vano utile in caso diverso.

Quindi secondo l'art. 46 del D.P.R. 1142/1949, si distinguono:

  • accessori diretti, sono quei locali necessari al servizio o al disimpegno dei vani principali (bagni, corridoi, ripostigli);
  • accessori indiretti, sarebbero i locali che, pur non essendo strettamente necessari, integrano la funzione dei vani principali (soffitte, cantine, lavanderie).

Occorre chiarire, tuttavia, che non si può considerare automaticamente uguali gli spazi abitabili e quelli accessori. Sono due cose diverse e, quindi, per calcolare quanto incidono sul carico urbanistico, si usano regole diverse.

Qualora gli spazi progettati e autorizzati come accessori vengano invece utilizzati come vere e proprie parti dell'abitazioni, si finisce per aumentare il numero di persone che vivono in quell’area. Questo porta a un maggiore uso dei servizi e delle strutture del territorio, andando oltre quello che era state le previsioni inerenti ai piani urbanistici.

Quindi, cambiare la destinazione d’uso di un locale, trasformarlo da spazio accessorio a spazio abitabile, può avere un impatto, anche significativo, sul carico urbanistico dell’edificio.

Per questo motivo, prima di effettuare questo tipo di intervento, è importante scegliere con attenzione il giusto titolo edilizio, in caso contrario essi si configurerà come un abuso edilizio, almeno secondo quanto chiarito nella sentenza della Corte di Cassazione n. 10411/2025.

La trasformazione di vani accessori in spazi residenziali: quando scatta l’obbligo di permesso di costruire

La Corte di Cassazione ha annullato la decisione del Tribunale del Riesame di Verona, che aveva negato il sequestro di una parte di un hotel a cinque stelle, disponendo il riesame del caso.

La vicenda riguarda una grande area benessere costruita al piano terra/seminterrato dell’hotel. Questa zona comprende una palestra, delle sale massaggi, alcune aree relax e un zona perimetrata come buffet. Secondo la Procura di Verona, queste strutture non potevano essere considerate vani accessori, come indicato nel progetto, poiché in realtà hanno una funzione autonoma e importante.

Il nodo centrale riguarda l’interpretazione delle norme sui vani accessori negli alberghi. I responsabili del progetto avevano ottenuto l'autorizzazione edilizia indicando l'area benessere come superficie accessoria esclusa dal calcolo della volumetria, beneficiando così di una deroga prevista per i vani accessori negli edifici seminterrati.

La Suprema Corte ha chiarito in modo definitivo come debba intendersi per vano accessorio secondo la normativa vigente, specificando che “(…) il pubblico ministero richiama, quale normativa di riferimento, quella del regolamento edilizio tipo di cui al d.P.C.M. 20 ottobre 2016 che, al punto 15 dell'allegato a), definisce cosa debba intendersi per "superficie accessoria", in particolare descritta come la "Superficie di pavimento degli spazi di un edificio aventi carattere di servizio rispetto alla destinazione d'uso della costruzione medesima, misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre. (…) Già dalla stessa definizione di "superficie accessoria" contenuta nel RET è evidente, pur nella sua valenza esemplificativa, che nessuna delle tipologie di strutture elencate può essere assimilata a quella, peraltro articolata e complessa, oggetto dell'intervento edilizio in questione, caratterizzata da ambienti e locali tra loro indipendenti.

La superficie accessoria è quella avente carattere di servizio rispetto alla destinazione d’uso della costruzione, includendo tipicamente portici, ballatoi, cantine, sottotetti, spazi per autoveicoli e locali condominiali di servizio. Le aree in questione si caratterizzano invece per ambienti e locali tra loro indipendenti, dotati di autonomia funzionale e destinati ad attività che comportano una presenza umana significativa e prolungata nel tempo.

Inoltre la Corte richiama “(…) la legge della Regione Veneto n. 11 del 2013 che demanda ad un'apposita deliberazione di Giunta l'individuazione dei requisiti che gli hotel a 5 stelle, come quello in esame, devono possedere. La delibera attuativa è costituita dalla delibera n. 807 del 2014 che, all'articolo 7 dell'allegato a), individua i limiti di altezza dei vani accessori, prendendo distintamente in esame l'area wellness al punto 55-18 dell'allegato B) tra le tipologie di strutture di cui devono essere almeno presenti 5 locali ben individuati perché l'albergo possa ottenere una classificazione a 5 stelle, tipologie che dall'esame del lungo elenco risultano del tutto diverse dai vani accessori dell'allegato a). (…) Quanto sopra, tenuto conto della specificità della normativa regionale applicabile all'intervento edilizio in questione, trova poi una sua conferma nella Delibera della Giunta Regionale del Veneto n. 807 del 2014, attuativa della legge reg. Veneto n. 11 del 2013, che fissa i requisiti che gli hotel a 5 stelle, come quello in esame, devono possedere. In particolare, all'articolo 7 dell'allegato a), la predetta Delibera individua i limiti di altezza dei vani accessori, prendendo distintamente in esame l'area wellness al punto 55-18 dell'allegato B) tra le tipologie di strutture di cui devono essere almeno presenti 5 servizi ben individuati perché l'albergo possa ottenere una classificazione a 5 stelle, tipologie che dall'esame del lungo elenco risultano del tutto diverse dai vani accessori dell'allegato a).

La delibera regionale citata dalla Corte sottolinea i requisiti per la classificazione degli hotel a cinque stelle, distinguendo chiaramente i vani accessori dalle strutture che un albergo di lusso deve necessariamente possedere per ottenere la massima classificazione, elencando specificamente le aree wellness tra i servizi obbligatori e non tra gli spazi accessori. Tale distinzione assume particolare rilevanza perché dimostra come la zona benessere non possa essere considerata un mero accessorio dell'attività alberghiera, ma rappresenti invece un elemento qualificante e sostanziale dell'offerta ricettiva di alto livello.

La Cassazione ha evidenziato che “(…) Ne deriva che la trasformazione in unità residenziali, idonee per i diversi fini propriamente abitativi, è un intervento edilizio rilevante, solo ove si consideri l'aggravio sul carico urbanistico complessivo, a tacere dei profili igienico-sanitari di abitabilità del vano. L'effetto di questi interventi è quindi di ampliare la superficie residenziale e la relativa volumetria autorizzate con l'originario permesso di costruire. (…) la destinazione ad uso residenziale del "vano accessorio" costituito dall'area wellness realizzata, incide sul carico urbanistico e, quindi, sul calcolo degli standard urbanistici che devono essere conseguentemente adeguati alla maggiore pressione antropica che si determina in conseguenza della maggiore superficie residenziale e dell'incremento dei volumi utilizzabili a fini abitativi.

Non vi è dubbio, infatti, che nel caso di conversione di superficie accessoria in superficie ad uso abitativo, si determini un aumento di superficie utile, seppur in assenza di aumento di superficie calpestabile, con conseguente incremento della capacità insediativa. Inoltre, come del resto afferma anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. St., 5/07/2023, n. 6572), la categoria urbanistica non muta in ragione della accessorietà rispetto ad unità con destinazione abitativa prevalente, poiché il vincolo pertinenziale non modifica l'ascrivibilità a categorie edilizie che, nel caso specifico, restano non omogenee, in ragione del diverso carico urbanistico a ciascuna riferibile, con conseguente necessità del permesso di costruire per il mutamento in residenziale della destinazione d'uso del locale accessorio.

Quindi, la trasformazione di spazi, classificati come accessori in aree effettivamente utilizzate per attività residenziali o ricettive, comporta inevitabilmente un aggravio del carico urbanistico, richiedendo conseguentemente il rilascio del permesso di costruire. Le caratteristiche funzionali e le straordinarie dimensioni dell'intervento edilizio rendevano infatti palese la divergenza rispetto alla definizione normativa di vano accessorio, escludendo la possibilità che i costruttori potessero invocare l’errore veniale o la lieve difformità.

La sentenza chiarisce che non è possibile aggirare i vincoli edilizi attraverso classificazioni inappropriate degli spazi, anche quando questi sono funzionalmente collegati all'attività principale (ricettiva o residenziale che sia).

 

LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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