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4 anni dal COVID: riflessioni su architettura e urbanistica, case e città

Nel cuore di un mondo trasformato dalla pandemia di COVID-19, Andrea Dari ci guida attraverso una riflessione profonda sull'impatto che questa crisi ha avuto e continua ad avere su architettura, urbanistica e il tessuto sociale. L'articolo esplora come il nostro concetto di "vita privata" sia radicalmente cambiato, spostandosi da un rifugio sacro a una dimensione di isolamento e restrizione. E' un invito a considerare come le nostre case, una volta considerate semplici rifugi, si siano trasformate in microcosmi complessi, riflettendo un bisogno di adattamento e reinvenzione senza precedenti. La pandemia non ha solo ristretto le nostre libertà personali, ma ha anche stimolato una riconsiderazione fondamentale del modo in cui viviamo, lavoriamo e interagiamo con lo spazio che ci circonda. In questo articolo vengono esplorate le trasformazioni dell'abitare e dell'urbanistica post-COVID, offrendoci uno sguardo sul futuro della progettazione e della vita urbana. Ma la conclusione non è scontata: il COVID ci ha realmente lasciato questa eredità ?

L’effetto del COVID sull’abitare

La pandemia di COVID-19 ha portato con sé una profonda riflessione sul concetto di "vita privata".

Prima del COVID-19, la vita privata era percepita come un rifugio sacro, un luogo di intimità e di libertà personale. Era lo spazio in cui gli individui potevano distaccarsi dal caos del mondo esterno, una "riserva naturale" per l'anima, dove si poteva esprimere la propria essenza più autentica lontano dalla frenesia del mondo globalizzato.

Tuttavia, con l'arrivo della pandemia, questo concetto ha subito una trasformazione radicale.

La vita privata è diventata sinonimo di isolamento e restrizione.

Le misure di lockdown e le regole di distanziamento sociale hanno trasformato le nostre case da rifugi in prigioni, limitando drasticamente la libertà di movimento e di interazione con gli altri. La vita lavorativa, sociale e persino le semplici attività quotidiane sono state costrette a rientrare nei confini delle nostre abitazioni.

Questa nuova realtà ha portato molte persone a riconsiderare il valore e il significato della loro vita privata.

Non più solo un luogo di riposo e riconnessione con sé stessi, ma un ambiente in cui si lotta per mantenere un equilibrio mentale e fisico in mezzo a restrizioni e incertezze. La nostra sfera personale si è trasformata in uno spazio in cui siamo costantemente sfidati a reinventarci e adattarci, cercando modi per far convivere la necessità di sicurezza sanitaria con il bisogno di interazioni umane e libertà individuale.

La pandemia ci ha costretto a confrontarci con la fragilità delle nostre libertà personali e con la necessità di trovare un nuovo equilibrio tra sicurezza e libertà, tra isolamento e connessione, in un mondo che continua a cambiare.

Se questa catastrofe sanitaria deve servirci a qualcosa, è per ricordarci la fragilità di tutto, qualcosa che dimentichiamo appena viviamo qualche anno di pace di benessere di seguito

Il COVID ci ha portato a una metamorfosi simile a quella del protagonista nel libro di Franz Kafka. Ognuno di noi si è risvegliato improvvisamente come Gregor Samsa in un letto, una stanza, che non erano più le stesse non perchè erano cambiate loro ma noi stessi.

Abbiamo avviato una trasformazione, come evidenziato dal libro “Dove sono?” di Bruno Latour, un cambiamento radicale nel modo in cui viviamo, lavoriamo e percepiamo lo spazio e il tempo.

Le case da rifugi a microcosmi complessi

Durante i mesi di lockdown, si è verificata una sorta di autogenerazione e autosostentamento di questa metamorfosi. La vita, un tempo concentrata fuori dalle mura domestiche, è diventata interna, spingendo le persone a ricreare i loro spazi personali. Le case non sono più semplici rifugi, ma sono diventate microcosmi complessi, dotati di tutto il necessario per vivere, lavorare e intrattenersi.

Questa ristrutturazione ha portato a un nuovo concetto di spazio e tempo.

Il tempo, un tempo misurato dal ritmo frenetico della vita esterna, è diventato più fluido e meno definito. Lo spazio, un tempo diviso nettamente tra luoghi di lavoro e abitazioni personali, si è fuso in nuove configurazioni, con la casa che diventa ufficio, palestra, scuola, e tanto altro.

Il desiderio di macrocase con terrazzi e spazi aperti riflette la necessità di un rifugio sicuro e controllato in un mondo improvvisamente percepito come minaccioso e incerto.

 

La città stessa ha subito un cambiamento.

La priorità non è più l'esterno, il luogo delle connessioni sociali e professionali, ma l'interno, dove sicurezza e confort diventano centrali.

Questa trasformazione non è stata solo fisica, ma anche psicologica, sociale.

Il concetto di pericolo e sospetto si è insinuato nelle nostre vite quotidiane, trasformando il modo in cui interagiamo con gli altri e con l'ambiente circostante.

La mascherina, un tempo un semplice strumento sanitario, è diventata un simbolo di questa nuova era, limitando non solo il contagio ma anche la nostra espressione e interazione sociale.

La pandemia di COVID-19 ha scatenato una metamorfosi nella società, una trasformazione che va oltre il semplice cambiamento di abitudini.

È una riconsiderazione fondamentale del modo in cui viviamo, lavoriamo e interagiamo con il mondo che ci circonda.

Tornando ai concetti espressi da Latour, siamo diventati come le termiti che costruiscono con pazienza e determinazione, abbiamo ricostruito i nostri spazi e le nostre vite, adattandoci a una nuova realtà che ha cambiato irrimediabilmente il nostro modo di essere nel mondo.

La Nuova Conformazione dell'Oikos

Nel corso di questi anni iniziali di pandemia, abbiamo assistito quindi a un'epocale metamorfosi, un cambiamento radicale nella nostra “polis” (πόλις), la città, e nel nostro “oikos” (οἶκος), la casa.

Come già detto questa trasformazione ha portato a un ripensamento fondamentale dell'architettura e dell'urbanistica, riflettendo profondamente sul significato stesso di “vita privata”.

La nostra casa, un tempo semplice rifugio dal caos del mondo esterno, si è trasformata in una sorta di “micro-polis”.

Ogni abitazione è diventata un microcosmo che riflette le diverse funzioni di una città: luoghi per il lavoro (l'agorà moderna), spazi per il riposo e l'intimità (i nostri “sanctuarium” personali), e aree per il tempo libero.

Questo ha richiesto case  che potesse riconoscersi in un design architettonico flessibile, capace di adattarsi a molteplici necessità e funzioni.

In particolare, l'importanza degli “spazi aperti all’interno” è aumentata esponenzialmente. Terrazzi, balconi e giardini non sono più solo estensioni decorative dell'abitazione, ma diventano spazi vitali, che offrono una connessione con la natura, fondamentale per il nostro benessere.

Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo

L'evoluzione della Polis Post-Pandemica

L'urbanistica ha risposto a queste sfide con un rinnovato impegno verso la creazione di città più vivibili, adottando un approccio humanitas-centrico.

Le strade si sono trasformate con spazi pedonali e ciclabili che incoraggiano uno stile di vita più salutare e sostenibile.

La pandemia ha portato anche alla decentralizzazione delle città.

Invece di concentrarsi su densi centri urbani, si è assistito a un movimento verso comunità più piccole, quasi autonome, che ricordano le polis greche, dove le persone possono vivere, lavorare e socializzare in un contesto più intimo e controllato.

 

Tecnologia e connettività nell'Architettura Moderna

L'evoluzione tecnologica e la digitalizzazione hanno segnato un'epoca di cambiamento radicale che ha toccato tutte le generazioni, ciascuna in modi distinti e significativi.

La nostra casa, trasformata in un nexus di connettività, ha assunto un ruolo centrale in questa evoluzione, diventando un nodo digitale essenziale per mantenere legami con il mondo esterno, nonostante l'isolamento fisico imposto dalla pandemia.

Un’evoluzione che ha impattato in modo diverso sulle singole generazioni.

I bambini, per esempio, abituati a un ambiente fisico e sociale per il loro sviluppo, si sono trovati immersi in un mondo digitale. L'istruzione è passata da aule tradizionali a classi virtuali, portando a una precoce familiarizzazione con la tecnologia. Questo ha sollevato sfide riguardo all'equilibrio tra apprendimento digitale e interazione fisica, fondamentale per lo sviluppo cognitivo e sociale. La cucina è diventata spesso l’aula e il genitore il maestro/compagno di studio, introducendo una rigidezza nei modelli di interazione che ha inciso nella crescita dei piccoli elementi della famiglia.

Per gli adolescenti, il periodo pandemico è stato un vero e proprio crocevia. Questa generazione, già a suo agio nel digitale, ha trovato nel mondo virtuale un rifugio, ma anche una gabbia. La vita scolastica, sociale e le prime esperienze lavorative si sono svolte in una realtà digitale, influenzando profondamente il loro modo di interagire e percepire il mondo. La disponibilità di strumenti autonomi di comunicazione, e di quell’intimità che rappresenta la base per una sfida al mondo e per una crescita umana sono stati gli elementi che hanno segnato questo passaggio. Ed è forse la generazione che più ha sofferto il lockdown.

Per i giovani, la transizione al telelavoro e alla vita sociale online è stata una spada a doppio taglio. Da un lato, ha offerto nuove opportunità di lavoro e flessibilità; dall'altro, ha portato a una sfida nell'equilibrio tra vita professionale e personale, spesso confondendosi in uno spazio unico. Lo Smart Working, che ha riguardato anche la generazione successiva, in questo caso è arrivato troppo presto, non consentendo a chi, essendo ancora giovane e con poche esperienze, di fare quelle esperienze carnali che sono necessarie in uno sviluppo umano e professionale. Molti sono tornati alla provincia, alla terra di origine, per risparmiare l’affitto, per poter ritrovare una socialità che i micro appartamenti/cella delle città nel pieno dell’isolamento non gli consentiva.

La rinascita della vita in provincia

Abbiamo maturato e vissuto la sensazione che le province, i paesi, i borghi potessero tornare a vivere grazie al telelavoro, alla riscoperta degli spazi, dei rapporti familiari, delle metriche brevi.

Ci siamo tutti illusi che il Covid ci avesse restituito quella dimensione metrica delle famiglie, comportando una rinascita delle piccole e medie città, con le sonorità degli accenti e dei dialetti.

Gli adulti hanno dovuto navigare in un equilibrio complesso.

Mentre molti hanno abbracciato la digitalizzazione per il lavoro, altri hanno trovato sfide nell'adattamento a nuove modalità di comunicazione e lavoro, dovendo spesso reimparare e aggiornare le proprie competenze digitali.

Ma il colpo più duro è stato per gli anziani, per i quali la digitalizzazione ha rappresentato una svolta cruciale.

Mentre alcuni hanno abbracciato con entusiasmo le nuove tecnologie per rimanere connessi con famiglie e amici, altri hanno incontrato ostacoli significativi, evidenziando la necessità di un accesso più inclusivo e di supporto nell'utilizzo delle tecnologie digitali.
 

Una Società trasversalmente connessa

Questa metamorfosi digitale ha creato una nuova tessitura sociale in cui ogni generazione ha dovuto reinventare il proprio modo di vivere, lavorare e comunicare.

Se da un lato ha unito le generazioni in una rete di connettività senza precedenti, dall'altro ha messo in luce le differenze nelle capacità e nelle esigenze di adattamento al digitale.

È emersa la necessità di un approccio più olistico che tenga conto delle diverse esigenze generazionali nella progettazione e implementazione delle tecnologie, assicurando che la domus digitale sia un luogo inclusivo e accessibile per tutti, un locus dove ogni generazione possa trovare il proprio spazio e modo di esprimersi.

Un Nuovo Aeon nell'Architettura e nell'Urbanistica

Nel periodo pandemico di COVID-19 abbiamo avuto la sensazione che ci fosse stato un momento di discontinuità radicale, un passaggio che non ha solo avesse la capacità di aver trasformato il nostro modo di vivere, ma ha innescato una riflessione profonda su come costruiamo e utilizziamo i nostri spazi.

Abbiamo riscoperto l'importanza di un'architettura che tenga conto delle necessità emotive, sociali e ambientali ma non solo in ambito polis-sociale, ma anche domus-sociale.

Il risultato che è emerso è di aver creato una profonda riflessione tra chi progetta l’abitare, un nuovo aeon nell'architettura e nell'urbanistica, dove l'integrazione tra spazio, funzionalità e benessere umano è diventata la pietra miliare di una società più resiliente e consapevole.

Chi si occupa di architettura e urbanistica ha cominciato a pensare a uno concetto di abitare e quindi di progetto sociale. 

In un articolo su Forbes l’architetto Marco Casamonti di dice che le nuove case post-Covid necessitano di design innovativi che rispondano alle esigenze di flessibilità, sicurezza e benessere. Devono includere spazi multifunzionali che consentano lo smart working, aree di sanificazione per mantenere un ambiente sano, e tecnologie avanzate per la disinfezione, come l'uso di lampade ultraviolette. Inoltre, è essenziale prevedere maggiori spazi comuni nei condomini per favorire la socialità in sicurezza. Questi cambiamenti richiedono una rivisitazione dei regolamenti edilizi per garantire abitazioni che siano non solo funzionali ma anche capaci di promuovere il benessere fisico e mentale.

E rileggendo quanto emerso dai vari approfondimenti fatti sull’argomento, l’opinione condivisa è che le abitazioni post COVID, sia nuove che rinnovate, avrebbero dovuto privilegiare un rapporto diretto con l’ambiente esterno, sfruttando terrazzi e giardini come spazi di socializzazione e benessere, integrando così la natura nella vita quotidiana. Un approccio che richiede anche un impegno verso città più pulite e meno inquinate.

 

Architettura: cosa abbiamo imparato realmente dal COVID

Il Covid ci realmente cambiato ?

Julian Carron nel libro “Il risveglio dell’Umano” ci avverte: “il cambiamento non avviene per semplice accumulazione di urti, di eventi e impressioni delle cose che capitano, ma per una compressione del senso di ciò che ci accade, come acquisto di conoscenza. Perciò il nostro cambiamento non può essere meccanico.”

Torno alla domanda, il Covid ci ha cambiato? o ha prevalso il desiderio di volere solo scrollarci tutto di dosso ?

Quattro anni dopo l’emergenza COVID, ci interroghiamo su Ingenio sull’impatto reale che questa crisi ha avuto su architettura e urbanistica.

La domanda emerge non come mera speculazione, ma dalla constatazione che, nonostante le esperienze vissute, la ripresa post-emergenza sembra aver riportato un’accelerazione verso dinamiche pre-pandemiche, privilegiando un ritorno alla vita urbana intensa, all’iper-consumo, e a un’interazione con l’ambiente che sembra dimenticare i principi di sostenibilità e riuso sottolineati durante il lockdown.

Questa riflessione ci invita a considerare se gli insegnamenti tratti dalla pandemia abbiano trovato applicazione concreta nel modo in cui progettiamo e viviamo i nostri spazi, o se il desiderio di ritornare alla “normalità” abbia sopraffatto l’opportunità di reimpostare le nostre priorità verso modelli più sostenibili e inclusivi.

La pandemia ha offerto l’opportunità di rivalutare il nostro rapporto con gli spazi personali e collettivi, enfatizzando la necessità di abitazioni più funzionali e città più resilienti e a misura d’uomo, che valorizzino il verde urbano, la mobilità sostenibile e spazi pubblici accessibili e inclusivi.

In questo contesto, emerge la questione di come mantenere vivo il ricordo delle lezioni apprese e applicarle in modo duraturo. È fondamentale interrogarsi su come le città possano evolversi per affrontare le sfide dell’età moderna, non solo in termini di pandemie, ma anche riguardo alla crisi climatica, alla necessità di maggiore equità sociale e alla promozione di uno stile di vita che metta al centro il benessere collettivo e il rispetto per l’ambiente.

La vera sfida sarà quindi quella di tradurre queste riflessioni in azioni concrete, attraverso politiche urbane innovative, progetti architettonici che rispondano effettivamente ai bisogni emergenti e un cambiamento culturale che ponga le basi per una società più consapevole e responsabile.

Solo così potremo sperare di vedere un cambiamento reale e profondo nel tessuto delle nostre città e nella qualità della vita urbana.

Questa è la domanda che porgeremo ad alcuni architetti e urbanisti, per comprendere se il COVID ci ha veramente lasciato qualcosa o si è trattato una semplice parentesi collettiva il cui unico dubbio è se nei vaccini ci fossero veramente i nanosensori per il controllo dell’umanità.


FONTI:

  • “Dove sono?”, Bruno Latour, Einaudi
  • “Il risveglio dell’umano”, Julian Carron, BUR
  • “La solitudine del cittadino globale”, Zygmunt Bauman, Feltrinelli
  • “Così Marco Casamonti ha ripensato i luoghi del vivere nell’era post Covid”,Forbes”
  • ”Case più vive e strade più libere. Se si vive meglio, ci si cura meglio”,diFrancescaBlesio,CorrieredellaSera

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L'architettura moderna combina design innovativo e sostenibilità, mirando a edifici ecocompatibili e spazi funzionali. Con l'adozione di tecnologie avanzate e materiali sostenibili, gli architetti moderni creano soluzioni che affrontano l'urbanizzazione e il cambiamento climatico. L'enfasi è su edifici intelligenti e resilienza urbana, garantendo che ogni struttura contribuisca positivamente all'ambiente e alla società, riflettendo la cultura e migliorando la qualità della vita urbana.

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