Argini e rischio alluvionale: strutture fondamentali ma vulnerabili
Gli argini fluviali sono strutture cruciali per la difesa dal rischio alluvionale, ma spesso trascuriamo la loro vulnerabilità. Studi recenti mostrano che il collasso arginale può avvenire anche senza eventi estremi, richiedendo maggiore monitoraggio e conoscenza.
Gli argini: strutture complesse e non infallibili
Durante la recente giornata dei SAIE LAB sul dissesto idrogeologico, il professor Guido Gottardi ha posto l’attenzione su un tema spesso sottovalutato ma cruciale: la vulnerabilità dei sistemi arginali. Gli argini, strutture in terra progettate per contenere le acque dei fiumi durante le piene, rappresentano una linea di difesa fondamentale contro il rischio alluvionale. Tuttavia, proprio la loro natura strutturale li rende soggetti a diversi meccanismi di collasso che possono innescare eventi disastrosi, come accaduto nelle alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna nel maggio 2023.
Secondo le stime, nel 2010 circa un miliardo di persone viveva in aree soggette a inondazioni. Entro il 2050, questo numero potrebbe salire a 1,6 miliardi. Le alluvioni fluviali, in particolare, rappresentano la minaccia idrogeologica più diffusa a livello globale. In questo scenario, gli argini assumono un ruolo centrale nella mitigazione del rischio, ma proprio per la loro importanza devono essere oggetto di studio, manutenzione e controllo costante.
L’argine non è solo un “muro di terra”. È una struttura ingegneristica che deve garantire resistenza a molteplici sollecitazioni: erosione esterna, erosione interna (sifonamento), instabilità dei versanti e sormonto. Ogni parte – dal paramento lato fiume alle berme, dal terreno di fondazione al coronamento – svolge un ruolo specifico per mantenere la stabilità complessiva.
Tuttavia, molti degli argini presenti lungo i nostri corsi d’acqua non sono stati progettati secondo criteri ingegneristici moderni. Spesso si tratta di manufatti storici, realizzati con materiali locali, ampliati nel tempo, e di cui si conosce poco o nulla sulla struttura interna. Questo porta a un paradosso: strutture su cui facciamo affidamento ogni giorno, ma che potrebbero cedere senza preavviso in occasione di piene nemmeno eccezionali.
I meccanismi di collasso arginale
Il professor Gottardi ha illustrato i principali scenari di rottura:
- Erosione esterna: causata dalla forza della corrente durante la piena, che può scalzare la base dell’argine lato fiume.
- Sormonto: quando l’acqua supera la sommità dell’argine, generando processi erosivi sul lato campagna.
- Erosione interna (sifonamento): flusso sotterraneo d’acqua che attraversa l’argine o il terreno di fondazione, spesso innescato da materiali eterogenei, tane di animali o presenza di vegetazione e strutture interrate.
- Instabilità delle scarpate: cedimenti dei versanti lato fiume o lato campagna dovuti a variazioni rapide del livello dell’acqua.
Molti collassi, ha sottolineato Gottardi, non avvengono per eventi “record”, ma per fenomeni più modesti e insidiosi, che agiscono lentamente o in modo imprevedibile.
Il caso Emilia-Romagna: una tragedia da studiare
Le alluvioni del maggio 2023 hanno rappresentato un evento senza precedenti in termini di estensione e numero di fiumi coinvolti. Sono state censite 66 brecce principali su 16 corsi d’acqua. Un’occasione – pur drammatica – per raccogliere dati e migliorare la comprensione del comportamento degli argini in condizioni reali.
Con il supporto dell’Agenzia regionale di protezione civile e dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, è stato avviato un lavoro di catalogazione e analisi delle brecce, con l’obiettivo di identificare i fattori di vulnerabilità.
Questi fattori si possono distinguere in:
- Vulnerabilità intrinseche: legate alla geometria, ai materiali e alla conformazione storica dell’argine.
- Vulnerabilità indotte: dovute a interventi successivi (rampe, condotte, scavi di animali, ecc.) che alterano la struttura originale.
- Vulnerabilità sistemiche: determinate dalla morfologia fluviale tridimensionale, come restringimenti e meandri che alterano i livelli idraulici e la distribuzione delle sollecitazioni.
Un esempio emblematico è l’argine del Lamone a Faenza, dove un tratto rettilineo e adiacente all’abitato ha ceduto per sormonto. Il restringimento della sezione fluviale ha accelerato il flusso, alzato il livello dell’acqua e innescato l’erosione fatale.
La lezione che ci lasciano eventi come quello del 2023 – così come, in passato, l’inondazione del Mare del Nord del 1953 nei Paesi Bassi o l’uragano Katrina del 2005 negli Stati Uniti – è che la gestione del rischio alluvionale richiede una visione integrata. Le mappe di pericolosità idraulica, oggi spesso basate solo sul rischio di sormonto, devono includere anche la possibilità di collassi strutturali degli argini.
È fondamentale conoscere in dettaglio la struttura degli argini, monitorarli, raccogliere dati e costruire modelli predittivi affidabili. Solo così si potrà passare da una cultura della risposta a una cultura della prevenzione.
Come ha concluso il professor Gottardi, “gli argini sono strumenti essenziali per mitigare il rischio alluvionale, ma solo se li trattiamo come ciò che realmente sono: strutture ingegneristiche complesse e vulnerabili, da studiare, manutenere e conoscere a fondo”.
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