Bocche di lupo in condominio: quando le modifiche non richiedono autorizzazione
Le bocche di lupo rappresentano una soluzione architettonica efficace per migliorare l’illuminazione e l’aerazione degli ambienti seminterrati, grazie alla loro capacità di convogliare luce naturale e permettere il ricambio d’aria. Tuttavia, in ambito condominiale, la loro installazione a posteriori solleva questioni giuridiche legate all’uso delle parti comuni dell’edificio. Illuminanti chiarimenti arrivano con la sentenza del Tribunale di Milano n. 3324/2025 con la quale viene chiarito che, qualora tali interventi non alterino la destinazione delle parti comuni o limitino i diritti degli altri condomini, rientrano nell’uso legittimo e individuale della cosa comune.
Le bocche di lupo: funzione, caratteristiche e implicazioni condominiali
Gli ambienti sotterranei sono spesso caratterizzati da una scarsa illuminazione naturale e le aperture a bocca di lupo rappresentano una soluzione per rendere più vivibili questi ambienti.
L’uso delle bocche di lupo consente non solo di avere un miglioramento in termini di illuminazione, ma comporta anche la rigenerazione dell’aria, importante soprattutto in locali interrati a rischio di ristagni d’aria (causa spesso di cattivi odori, eccesso di CO2, accumulo di gas radon, umidità eccessiva, muffe, etc.) che renderebbero l’ambiente malsano e, in presenza di veicoli, anche di elevate concentrazioni di smog (elevati tassi di particolato, PM10 e PM2.5).
Tali aperture risultano molto utili anche ai fini del rispetto della normativa antincendio nel caso di locali interrati adibiti a box auto o depositi di materiali comunque infiammabili. Esse permettono infatti l’evacuazione dei fumi in caso di incendio andando ad incrementare la superficie delle aperture verso l’esterno.
Generalmente le bocche di lupo sono realizzate con elementi prefabbricati e a volte sono anche ben nascoste e poco visibili dall’esterno.
Tali tipologie di aperture possono avere diverse dimensioni, così da adattarsi facilmente a qualsiasi progetto, tipologia di costruzione e stile architettonico.
Nel contesto condominiale la loro installazione comporta necessariamente l'utilizzo di parti comuni dell'edificio quindi diventa fondamentale la qualificazione delle opere, ossia occorre valutare se si tratti di interventi che non richiedono autorizzazione assembleare purché rispettino i limiti di destinazione e di uso paritetico (ex art. 1102 c.c.), oppure di vere e proprie innovazioni (ex art. 1120 c.c.), subordinate al consenso della maggioranza qualificata.
Nello specifico, l’art.1102 del c.c. sostiene che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.”
Ne consegue che ogni comproprietario può usare e migliorare (a proprie spese) l’intero bene comune, purché lo faccia permettendone l'acceso e il godimento altrui (anche con riferimento alle stesse modalità di utilizzo). Tuttavia, questo utilizzo è soggetto a due limiti fondamentali:
- il rispetto della destinazione d’uso del bene;
- la parità di diritti tra i comproprietari.
Di contro, l’art.1120 del c.c. sottolinea che “i condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (…).”
Con tale articolo il legislatore stabilisce quando (ossia ove sussista la maggioranza indicata dall'art. 1136, comma 5) e in che misura (si parla di innovazioni) i condomini possano approvare modifiche/migliorie alle parti comuni dell’edificio.
Chiariti questi aspetti, ciò che bisogna sempre valutare è se l'intervento alteri sostanzialmente la destinazione originaria del bene comune o si limiti ad un uso più intenso ma compatibile con la funzione preesistente. Di fatti, nel contesto condominiale, la realizzazione di bocche di lupo può generare spesso innumerevoli controversie. Come evidenziato dalla recente sentenza del Tribunale di Milano n. 3324/2025, che ha chiarito i limiti e le modalità di intervento sui beni comuni per migliorare l'abitabilità delle unità immobiliari sottostanti, occorre fare sempre un distinguo tra semplici modificazioni e vere e proprie innovazioni, soggette all'autorizzazione assembleare.
Modifica o innovazione? I limiti all’uso delle parti comuni
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 3324/2025, ha fatto chiarezza su una questione molto comune nella vita condominiale: se sia possibile per un proprietario modificare una finestra trasformandola in bocca di lupo senza dover richiedere l'autorizzazione dell'assemblea condominiale.
Protagonista del caso è la proprietaria di un'unità immobiliare seminterrata che aveva deciso di allargare una preesistente finestrella, trasformandola in una bocca di lupo, installando al contempo una griglia metallica sul piano di calpestio del cortile comune. Tale intervento nasceva dall’esigenza di garantire una maggiore quantità di luce e aria al proprio locale.
Tuttavia il condominio sosteneva che i lavori avessero comportato un'alterazione della destinazione di una porzione del cortile comune e del sottosuolo. Quindi, in seguito all’assemblea condominiale, veniva deliberato di chiedere alla proprietaria il ripristino del precedente stato del cortile.
Il problema, che il Tribunale di Milano ha dovuto affrontare, era quello di stabilire se i lavori eseguiti costituissero un'innovazione ai sensi dell'art. 1120 del c.c. e quindi soggetti all’autorizzazione dell'assemblea, oppure rientrassero in un uso particolare della cosa comune disciplinato dall'art. 1102, per cui non sia necessaria tale autorizzazione.
Il tribunale ha sottolineato che, “(...) deve considerarsi innovazione, agli effetti dell'art. 1120 c.c., non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria; il relativo accertamento costituisce un'indagine di fatto insindacabile in sede di legittimità, se sostenuta da corretta e congrua motivazione. (…) A ciò si aggiunga che le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall'art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., dirette a ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa (…)”.
Nella sostanza, si deve considerare innovazione esclusivamente quegli interventi volti ad alterare l’entità sostanziale o la destinazione d’uso originaria del bene comune, in particolare:
- le innovazioni incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione;
- le modifiche minori sono dirette invece a ottenere una migliore e più razionale utilizzazione della cosa.
Dall’analisi delle fotografie prodotte dalla proprietaria, non contestate dal condominio, viene rilevato che il posizionamento della griglia a pavimento era identico in fattezza e posizionamento a quelle già presenti sugli altri lati del cortile in prossimità delle altre bocche di lupo esistenti. Le opere non avevano alterato l'originaria funzione e destinazione del cortile e del sottosuolo, ma erano state eseguite per ottenere una migliore utilizzazione della cosa comune.
Per giunta, l'intervento era in linea con altre casistiche già presenti nel medesimo stabile e quindi non vi era alcun impatto sull’organicità o sul decoro dello stesso.
Quindi, “l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione (per il cui mutamento è necessaria l'unanimità dei consensi dei partecipanti) e di impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (…). Per meglio dire “l’uso paritetico della cosa comune, che va tutela, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare (…). Va detto quindi che ad una attenta valutazione dello stato dei luoghi così come rappresentati dalle fotografie in atti (di cui parte convenuta non ha contestato la veridicità del detto stato dei luoghi come ivi rappresentati) non si ravvisa alcuna lesione dell’uso potenziale spettante a tutti i condomini, proporzionalmente alla rispettiva quota del bene in comunione attesa la realizzazione da parte di altri condomini di medesimi manufatti.”
In sintesi, le opere rientrano tra quelle ammesse dalla legge (art. 1102 c.c.), essendo stato controllato il rispetto delle regole sull’uso e il miglioramento della parte comune, ossia verificata l'assenza di:
- qualsivoglia alterazione della normale e originaria destinazione;
- impedimenti oggettivi nei confronti di altri condomini avverso l'uso paritario (ossia allo stesso modo) della cosa comune.
Il giudice ha chiarito che, nel caso specifico, proprio la presenza di manufatti analoghi già realizzati da altri condomini, ha avvalorato la tesi in merito all'assenza di lesioni connesse all'uso potenziale spettante a tutti i partecipanti.
In conclusione, non tutte le modifiche alle parti comuni costituiscono innovazioni vietate, in particolare se si tratti di opere finalizzate a un miglior godimento della proprietà individuale senza alterazione della destinazione o impedimento dell'uso altrui, ossia quelle opere la cui realizzazione rientrerebbe nell'uso particolare consentito ai sensi dell’ art. 1102 del Codice Civile.
LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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