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Calcolo dei muri di sostegno secondo le NTC 18 e la Circolare n.7/2019

Muri di sostegno: definizione, classificazione, dettagli costruttivi, caratteristiche strutturali, modalità di funzionamento in opera fino alle combinazioni di carico e alle varie verifiche.

Le Norme Tecniche per le Costruzioni 17.01.2018 hanno consolidato quanto introdotto con le precedenti normative del 2008, chiarendo diversi dubbi e snellendo l’insieme delle verifiche necessarie per il progetto di un muro di sostegno.

Il presente articolo vuole essere un riferimento schematico dei punti e degli aspetti da considerare per il progetto di un muro contro terra ordinario conformemente alle vigenti NTC.


Definizione di “muro di sostegno”

Per “muro di sostegno” si intende un manufatto murario con la funzione principale di sostenere, o contenere, fronti di terreno di qualsiasi natura e tipologia, eventualmente artificiali. Questa definizione è concisa ed apparentemente esaustiva, ma alla luce dei casi che si incontrano nella professione e delle indicazioni tecniche contenute nella normativa la progettazione potrebbe rivelarsi meno scontata di quanto si potrebbe immaginare, anche nel caso di opere ordinarie: esistono infatti diversi aspetti particolari che valgono tanto per le opere impegnative quanto per quelle correnti.

 

Classificazione dell’opera

Il primo passo per procedere al progetto di un muro di sostegno consiste nell’assicurarsi che l’opera che si intende realizzare sia veramente classificabile come tale. Le Norme Tecniche, infatti, contengono un paragrafo dedicato alla progettazione delle opere di sostegno, ma operano la distinzione tra “muri”, “paratie” e “strutture miste” che richiedono differenti approcci.

Le tre tipologie sono evidentemente accomunate dalla stessa finalità, il sostegno del terreno di un pendio con un’inclinazione differente da quella naturale, ma si distinguono per alcuni aspetti di carattere strutturale, esecutivo, e soprattutto per l’interazione col terreno.

Un metodo di classificazione potrebbe essere il seguente: guida alla classificazione delle opere di sostegno.

muri-di-sostegno-tipologie.JPG

Ciascuno dei punti elencati nella precedente tabella è una semplice indicazione e può facilmente essere smentito senza che l’opera cambi la propria natura. Nei seguenti quattro paragrafi si tenterà di approfondire questi punti, ma non si arriverà ad un giudizio assoluto in nessuno dei casi.

 

La matrice strutturale

Per quanto riguarda la natura degli elementi strutturali, alcune tipologie di muri sono maggiormente accomunati alle paratie, altre alle opere miste (terre armate ecc.).

Il primo elemento di classificazione influenza le cosiddette “verifiche interne”, cioè i metodi da utilizzare per garantire la resistenza dell’opera in sé, isolata dal terreno sostenuto.

Normalmente muri e paratie sono costituiti da elementi realizzati con materiali artificiali ed è immediato determinare con certezza quale sia il confine che separa l’opera dal terreno, per definire uno schema di calcolo che permetta di determinare le sollecitazioni interne e procedere alle usuali verifiche di sezione.

Qualche problema sorge nel caso dei muri a gravità, costituiti da muratura (se così vogliamo definire le scogliere in pietre o massi) o da calcestruzzo non armato, più che altro perché si allontanano dalla progettazione consolidata di una sezione rettangolare in c.a. e sfuggono dalle indicazioni contenute nelle Norme Tecniche. La situazione si complica ulteriormente nel caso dei muri di gabbioni o materassi, crib walls o muri cellulari che possono essere realizzati anche in legno.

Le tipologie strutturali sono varie, ma la natura dell’opera non cambia.

Nel caso di un muro in c.a., come già detto, dal punto di vista delle indicazioni normative non ci sono dubbi per quanto riguarda la progettazione della resistenza strutturale, dati i numerosi paragrafi dedicati al progetto di questa tipologia di opere.

MURI IN C.A.: ATTENZIONE AI DETTAGLI COSTRUTTIVI

Occorre però prestare attenzione ai particolari costruttivi per la durabilità, che saranno dettati dalla classe di esposizione (normalmente XC2 e/o XC4), come ad esempio la resistenza minima del cls (UNI EN 206:2021, UNI 11104:2016, Circolare esplicativa NTC 18 C4.1.6.1.3), il copriferro minimo (UNI EN 1992-1-1 4.4.1, Circolare esplicativa NTC 18 C4.1.6.1.3), l’armatura minima (UNI EN 1992-1-1 9.3 e 9.6).
Riguardo ai minimi di armatura, è interessante notare che l’EC2, per le pareti sollecitate prevalentemente fuori dal piano (come nel caso dei fusti dei muri in c.a.), richiama le regole valide per le piastre (paragrafo 9.3, nel caso di piastre unidirezionali, armatura principale minima come per le travi, armatura secondaria non minore del 20% della principale).

Riguardo al “fattore di comportamento” per l’analisi sismica, i muri in c.a. possono essere calcolati come strutture non dissipative (la “duttilità” risiede non tanto nel comportamento strutturale dell’opera, quanto nel volume di terreno significativo e nello scorrimento del muro soggetto all’azione sismica, ed è quantificata dal coefficiente βm di cui al 7.11.6.2.1, che potrebbe essere assunto unitario nel caso non si accettassero spostamenti residui a SLV e/o a SLD).

Per i casi rimanenti le NTC18 si limitano alla seguente indicazione: nel caso di strutture miste o composite, le verifiche di stabilità globale devono essere accompagnate da verifiche di stabilità locale e di funzionalità e durabilità degli elementi singoli”.

Questa frase implica che per alcuni aspetti le strutture “miste o composite” possono essere trattate come muri. La progettazione di una struttura mista a tutti gli effetti, come una terra armata, può quindi essere condotta con riferimento agli stati limite previsti per i muri, ad esempio riguardo alle verifiche “esterne” di stabilità, resistenza a scorrimento e capacità portante. Inoltre, le verifiche interne vanno comunque effettuate, anche se i metodi non sono esplicitamente definiti dalle Norme Tecniche, con riferimento a documenti di comprovata validità o a modelli di calcolo reperibili in letteratura tecnica.

 

Le caratteristiche strutturali

Per quanto riguarda le caratteristiche strutturali, che influenzano l’interazione terreno struttura e governano la scelta del modello di calcolo da adottare per la progettazione, i muri sono maggiormente accomunati alle opere miste (terre armate ecc.) piuttosto che alle paratie.

I muri si possono definire “opere di sostegno rigide”. La classificazione per mezzo della rigidezza dell’elemento strutturale è in realtà un metodo per stabilire il grado di interazione struttura – terreno che è necessario tenere in conto per la sua analisi.

Per tutte le opere di sostegno dei terreni il termine “opera” indica l’insieme dell’elemento strutturale artificiale e del terreno coinvolto, che si influenzano mutuamente; la distinzione è un processo artificioso, ma necessario per ridurre un problema complesso in una serie di modelli più semplici, affrontabili con l’uso di tecniche “maneggevoli”, cioè facilmente comprensibili e riducibili in caso di necessità a relazioni comprovate ed immediatamente verificabili alla luce delle regole fondamentali della statica e della geotecnica.

In questo senso i muri (e parte delle “opere miste”) possono essere classificati come opere rigide, cioè strutture con una deformazione trascurabile in esercizio, soggette ad un moto rigido. Questo aspetto semplifica notevolmente l’interazione terreno – struttura e nei casi ordinari permette di disaccoppiare totalmente il terreno dall’opera di sostegno, riducendo il primo ad una distribuzione di pressioni o carichi lineari da applicare al secondo, a sua volta rappresentato con uno schema statico semplice.

L’origine del problema, volendolo qui delineare in modo semplificato e riassuntivo, sta nell’esistenza di una relazione tra gli spostamenti dell’opera e le spinte del terreno, che trova un’efficace rappresentazione nei cosiddetti “sistemi a molle elastoplastiche” (la cui implementazione numerica è diffusa in molti software commerciali, in particolar modo quelli dedicati allo studio delle paratie).

I diagrammi tratti dall’appendice C della UNI EN1997-1:2013 (EC7) riassumono efficacemente il concetto fondamentale:

  • se l’opera si sposta verso valle e scarica il terreno sostenuto, le spinte diminuiscono velocemente fino ad un valore minimo identificato dal limite di spinta attiva, che possiamo associare al termine “ka”;
  • se l’opera si sposta verso monte e carica il terreno sostenuto, le spinte aumentano lentamente fino ad un valore massimo, che possiamo associare al termine “kp”.

I termini “lentamente” e “velocemente” sono qui utilizzati in modo relativo, per quantificarli si può far riferimento ai seguenti prospetti (prospetto C.1, prospetto C.2 e figura C.4), ridisegnati da EC7 a cui si rimanda per maggiori dettagli:

Calcolo dei muri di sostegno secondo le NTC 18 e la Circolare 21.01.2019 n.7

Figura C.4 tratta da UNI EN1997-1:2013

muri di sostegno

 

Dal prospetto sopra riportato si ricava, facendo riferimento ad esempio al caso b), che nel caso di un terreno sciolto un muro di sostegno deve spostarsi verso valle dello 0.2% della propria altezza (va = 0.2% × h) per mobilitare completamente la spinta attiva del terreno alle proprie spalle. Per un muro alto 3 metri questo equivale a 300 cm × 0.002 = 0.6 cm.

Gli spostamenti per mobilitare la spinta attiva sono effettivamente piccoli (tenendo presente che si sta considerando uno scenario di stato limite ultimo). Considerando la rigidezza del fusto del muro si può ritenere che lo spostamento sia uniforme lungo il suo sviluppo, perciò lo schema di calcolo si riduce al calcolo della spinta attiva con una formula consolidata tratta da letteratura tecnica ed alla trasformazione delle spinte conseguenti in carichi lineari da applicare ad una striscia di un metro di muro (o qualsiasi altra larghezza sia comoda nel caso specifico).

Un’altra conclusione che si può immediatamente trarre dall’analisi dei prospetti C.1 e C.2 è che gli spostamenti necessari a mobilitare completamente la spinta passiva (vp) sono effettivamente piuttosto grandi, perciò lo sfruttamento di tale aliquota resistente in uno stato limite ultimo implica una notevole traslazione del muro verso valle (fino al 25% dell’altezza del muro). D’altro canto, lo spostamento necessario per mobilitare il 50% della spinta passiva (v0.5p) è decisamente più ragionevole, attorno al 2% dell’altezza dell’opera.

 

Le modalità di installazione

Per quanto riguarda le modalità di installazione e le conseguenze che queste hanno sul terreno circostante (e conseguentemente sul modello di calcolo), i muri sono maggiormente accomunati alle opere miste (terre armate ecc.) piuttosto che alle paratie.

Normalmente i muri vengono realizzati con una procedura notevolmente invasiva nei riguardi del terreno preesistente, soprattutto per quanto riguarda il terreno spingente, sovente completamente o quasi completamente sostituito o quantomeno completamente rimaneggiato.

Nonostante le apparenze, questo fatto ha delle conseguenze che possono semplificare la progettazione. Se, da un lato, la distruzione della struttura del terreno può vanificare i risultati di raffinate indagini geotecniche, dall’altro può giustificare l’utilizzo di ipotesi forfettarie rinunciando al ricorso a formulazioni complesse per tenere in conto dell’effettivo comportamento del terreno.

Come è noto, ai terreni è associabile un angolo di resistenza a taglio a volume costante φ’cv, uno di picco φ’p ed uno residuo, che possono essere anche notevolmente differenti e sono associati alla storia ed alla struttura del terreno in sito, correlabile allo stato di addensamento.

Per opere ordinarie, dando per scontata la rinuncia all’utilizzo di modelli di calcolo complessi ed in grado di rappresentare efficacemente il comportamento meccanico del terreno, ci si riduce all’utilizzo di formule che esprimono la spinta attiva del terreno in funzione dell’angolo di resistenza a taglio, ma la scelta dell’angolo “operativo”, magari intermedio tra φ’cv e φ’p non è semplice, proprio perché dipendente dalla stato del terreno e dall’interazione terreno – struttura, che vengono trascurate. Nel momento in cui la storia e la struttura del terreno vengono però completamente distrutte, tanto vale rassegnarsi e ricorrere all’utilizzo dell’angolo φ’cv, che una volta definita la natura del terreno presenta una variabilità piuttosto ridotta e che può trovare conferma in letteratura tecnica.

Il disturbo arrecato al terreno a monte del muro ha però una ragione di notevole importanza, che qui viene solo accennata: l’installazione di un filtro (possibilmente efficace nel tempo) in grado di garantire il necessario drenaggio, condizione fondamentale per la stabilità dell’opera, perché la spinta esercitata dall’acqua ha un valore rilevante rispetto a quella dovuta al terreno asciutto.

 

Le modalità di funzionamento in opera

Per quanto riguarda l’equilibrio, i muri sono maggiormente accomunati alle opere miste (terre armate ecc.) piuttosto che alle paratie.

I muri garantiscono l’equilibrio per mezzo della propria resistenza strutturale e del proprio peso. Spesso l’opera si idealizza come composta da un fusto e da una fondazione, aspetto che distingue i muri dalle paratie. Anche volendo considerare il tratto infisso di una paratia come fondazione, benché questa rappresenti un’estensione del fusto (nei muri è invece presente un’evidente distinzione tra le due parti), nel caso delle paratie la fondazione coinvolge la resistenza del volume di terreno posto di fronte ad essa invece che sotto di essa.

L’esistenza di una fondazione comporta la necessità di eseguire le relative verifiche, sia strutturali, nel caso ad esempio di un muro a mensola in c.a., sia geotecniche, cioè capacità portante e scorrimento.

Per tutte le opere (muri, paratie, miste), l’equilibrio può essere assicurato anche per mezzo di tiranti o ancoraggi, che potrebbero anche fornire un contributo prevalente lasciando alla fondazione un compito relativamente marginale.

L’installazione di un singolo tirante, soprattutto se attivo (cioè posto in opera con un significativo livello di tensione) complica immediatamente la progettazione. La tesatura del tirante comprime il muro contro il terreno di monte, che si sposterà da una condizione di “spinta a riposo” verso una condizione di “spinta passiva“, mettendo in crisi la progettazione basata sullo spostamento rigido del muro e sul coefficiente di spinta attiva ka; occorre poi verificare la possibilità che si verifichino altri cinematismi di collasso, come ad esempio la rotazione attorno al punto di innesto del tirante sul fusto. Infine, la necessità di operare un’analisi terreno – struttura per tenere in conto delle spinte del terreno in funzione degli spostamenti del muro richiama il punto 6.2.4.1.3 delle NTC 18 ed il punto C6.5.3.1.2 della Circolare, con conseguenze piuttosto onerose in termini di analisi e computazionali.

Nel caso si progetti di installare tiranti o chiodature, potrebbe convenire adottarne almeno due file, senza pretensione (ancoraggi passivi). In questo modo l’intero compito di garantire l’equilibrio orizzontale potrebbe essere affidato ai tiranti, senza la necessità di operare un’analisi terreno – struttura e la fondazione potrebbe essere ridotta al minimo, col solo compito di equilibrare le azioni verticali.

...[CONTINUA].

L'articolo continua con la trattazione di:

  • Le combinazioni da considerare
  • Il calcolo delle spinte
  • Le verifiche interne
  • Le verifiche esterne

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