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Cop-27: un passo in avanti. Ma anche no. Ma forse sì

Si è conclusa a Sharm el-Sheik in Egitto la COP 27 su cui erano riposte tante speranze e aspettative per giungere ad un accordo globale condiviso e ben definito per contrastare i pericoli del cambiamento climatico in corso. Cosa è stato deciso? Analizziamo i risultati della COP 27 con Antonello Pasini, fisico climatologo del CNR e docente di fisica del Clima all’Università di Roma Tre.

Speranze, aspettative e.. timori


Nell’articolo pubblicato su Ingenio il 14/11/2022 avevo presentato la COP 27 e le tante speranze e aspettative che il mondo intero riversava su questo appuntamento ormai considerato quasi “il salvagente” del mondo.
A fianco delle speranze e delle aspettative dei Paesi che stanno subendo le conseguenze, tragiche, dei cambiamenti climatici ormai in atto (l’alluvione in Pakistan, la siccità e la carestia in Africa, i ghiacci che si sciolgono ai Poli e sulle nostre montagne), si celavano i timori della lobby del fossile che temeva la decisione di un repentino abbandono del carbone, del petrolio, del gas naturale… ad ognuno le sue paure.


COP
è l’acronimo di Conferenza delle Parti, dove le Parti sono i Paesi (ora 197) che aderiscono alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e che dal 1995 si incontrano annualmente per cercare di aiutarsi a combattere la battaglia contro i cambiamenti climatici che stanno mettendo a repentaglio la sopravvivenza stessa della vita umana sulla Terra. Quindi COP 27 significa che quello di quest’anno è stato il ventisettesimo appuntamento annuale delle Parti. Ricordo che l’Unione Europea partecipa con una sola voce e non come singoli Stati e che le decisioni finali della Conferenza devono essere prese all’unanimità.

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I temi trattati durante la conferenza

I temi in scaletta erano sostanzialmente questi:

  •  la mitigazione, ossia gli sforzi per cercare di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C al di sopra delle temperature preindustriali (primi anni del 1800);
  • la definizione degli impegni concreti per la diminuzione delle emissioni fossili clima-alteranti: la COP-26 di Glasgow aveva rimandato a questa COP-27 l’adozione della road-map per ridurre del 45% le emissioni di CO2 al 2030 per arrivare poi a zero emissioni nette “verso la metà del secolo”
  •  l’incremento dei finanziamenti per l’azione sul clima
  •  l’aggiornamento dei piani nazionali NDC con impegni più forti (finora solo 23 Paesi su 197 hanno presentato i propri piani alle Nazioni Unite)
  • verificare quale impatto ha la guerra in Ucraina sul transizione ecologica. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha causato una crisi globale con aumenti dei costi dell’energia, dell’inflazione, del cibo e della catena di approvvigionamento. Paesi come la Germania hanno dovuto ridimensionare i propri obiettivi climatici a breve termine, mentre lo storico Gruppo di lavoro sul clima Cina-Stati Uniti, annunciato a Glasgow, è stato sospeso.

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Le aspettative erano sostanzialmente legate alle decisioni rimaste in sospeso nelle COP precedenti, in particolare quelle della COP 26 dello scorso anno a Glasgow:

  • una decisione definitiva, condivisa ed inappellabile sulle azioni urgenti di mitigazione del cambiamento climatico;
  •  la presentazione di Piani nazionali NDC aggiornati e coerenti con l’accordo di Parigi, con obiettivi di contenimento delle emissioni più ambiziosi per il 2030, poiché le Nazioni Unite hanno dichiarato che i Piani attuali non sono sufficienti per evitare un “riscaldamento catastrofico”
  •  l’impegno sottoscritto e vincolante sull’abbandono delle fonti fossili quali carbone, petrolio e gas naturale e conferma gli impegni presi a Glasgow (nella COP 26) con ’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 °C;
  • i fondi e le strategie per l’adattamento (resilienza): il cambiamento climatico è ormai un dato di fatto. Oltre a fare tutto il possibile per ridurre le emissioni e rallentare il ritmo del riscaldamento globale, i Paesi devono anche adattarsi alle conseguenze del clima per proteggere i propri cittadini e aiutare le comunità più vulnerabili, proteggendole per esempio dagli eventi meteorologici estremi quali incendi, inondazioni, siccità, calore estremo e aumento del livello del mare.
  •  lo stanziamento definitivo del Fondo Verde per il Clima: i Paesi in via di sviluppo si aspettano che i Paesi sviluppati mantengano la promessa fatta a Parigi di versare 100 miliardi di dollari all’anno per finanziare una crescita sostenibile non fossile nei Paesi in via di sviluppo.
  • la definizione del meccanismo, detto Loss and Damage (perdite e danni): Il cambiamento climatico, provocato dalle emissioni di gas serra prodotte per la quasi totalità dai Paesi ricchi industrializzati, sta causando gravi danni ai Paesi poveri che mettono a repentaglio la vita e la crescita economica di questi Paesi che chiedono, quindi, di essere sostenuti da coloro che hanno la responsabilità di quanto accade.
  • evitare che la crisi causata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia possa condizionare, più o meno pesantemente, la strada verso la transizione ecologica.

Introduction to loss and damage. La COP 19 ha istituito il Warsaw international mechanism for loss and damage. Da allora, ha svolto il ruolo di principale catalizzatore nell'ambito del processo UNFCCC per migliorare la conoscenza, la coerenza, l'azione e il sostegno per evitare, ridurre al minimo e affrontare le perdite e i danni associati agli impatti dei cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi di cambiamento climatico tratto da Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

I retroscena

La COP 27 si è svolta a Sharm el-Sheikh in Egitto e il Paese ospitante si era posto due obiettivi politici: farsi paladino delle mozioni a favore dell’Africa e dei Paesi in via di sviluppo, in modo da affermare la propria leadership nel Continente, ed evitare l’uscita immediata dal fossile, stante la sua appartenenza proprio al mondo dei produttori ed esportatori di petrolio. Per cui ha finalizzato, fin da subito, la sua attività sul fondo Loss & Damage mettendo invece una sordina al tema della mitigazione.

La lobby del fossile era presente in massa con 636 rappresentanti che giravano senza sosta nelle varie aule e sedi decisionali per “dare il giusto indirizzo” alla discussione.
Per evitare di reprimere totalmente il dissenso verso la COP 27, cosa che accade quotidianamente in Egitto per le vicende interne, gli organizzatori hanno permesso le manifestazioni solo in un’area desertica ben lontana dalle sedi della manifestazione. Per cui le voci del dissenso non hanno avuto alcun ruolo di controllo democratico, né per appoggiare né per criticare e magari cambiare, le decisioni che stavano maturando all’interno del convegno.
Molto criticate dagli osservatori sia la scelta della Coca-Cola come main sponsor, dato che è un’industria notoriamente inquinante e fossile sia l’aver permesso ai rappresentanti di utilizzare jet privati, al posto di mezzi meno energivori ed inquinanti.
Da apprezzare che questa COP abbia dato spazio, forse per la prima volta, a rappresentanti mondiali del mondo giovanile, che ha avuto la possibilità di esprimere le proprie idee e aspettative.

Il fondo Loss & Damage

L’organizzazione egiziana dell’evento ha spinto molto per cercare il consenso sul fondo Loss&Damage, un fondo richiesto per la prima volta nel 1991 dall’ambasciatore della Repubblica di Vanuatu (un arcipelago nel sud dell’Oceano Pacifico, considerate ad alto rischio di sopravvivenza per via dei cambiamenti climatici). In sostanza i Paesi che hanno subito e continuano a subire perdite causate dal cambiamento climatico chiedono ai responsabili proprio del cambiamento climatico di pagare loro i danni. Va da sé che i responsabili delle emissioni sono i Paesi ricchi e che, purtroppo, i danneggiati sono i Paesi poveri, in via di sviluppo.
Il dibattito si è imperniato su questo punto: chi sono i Paesi ricchi responsabili e chi sono i Paesi vulnerabili danneggiati. I 134 Paesi in via di sviluppo fanno parte del cosiddetto gruppo G77+Cina creatosi nel 1992 quando Paesi come, ad esempio, la Cina e l’India, erano ancora considerati in via di sviluppo e quindi da finanziare. Naturalmente il mondo in questi trent’anni è cambiato notevolmente e ora la Cina e l’India sono diventate grandi potenze economiche fortemente inquinanti, energivore con alte emissioni.
Per cui i Paesi ricchi (USA, Europa, Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Giappone) hanno chiesto che fosse ristretta la platea dei Paesi vulnerabili considerando solo i “più vulnerabili” e invece allargata quella dei Paesi finanziatori del fondo a Cina e India.
Il contenzioso è stato aspro e difficile. Il rappresentante della Comunità Europea Frans Timmermans ha più volte minacciato l’abbandono del tavolo delle trattative per protestare contro la gestione della presidenza egiziana che, a suo parere, stava spingendo troppo sui fondi da versare e poco sul tema degli impegni sulla riduzione delle emissioni di gas-serra. Per accettare di contribuire al fondo Loss&Damage la Comunità Europea ha quindi chiesto in cambio, oltre all’accettazione della definizione di “Paesi più vulnerabili” e dell’allargamento della platea dei Paesi finanziatori, l’adesione forte e incondizionata alla lotta ai cambiamenti climatici con l’impegno al tetto di 1,5°C, alla riduzione dell’impiego di fonti fossili e a fissare il picco delle emissioni al 2025. Cosa che, purtroppo, vedremo, non è stata accettata.

L'accordo finale

Nell’accordo finale, giunto dopo lo sforamento della scadenza prevista e dopo un’ultima notte insonne di trattative, è stato finalmente introdotto il fondo Loss&Damage che sarà destinato solo ai “Paesi più vulnerabili”. I Paesi del G77 premevano affinché si mettesse nero su bianco anche una roadmap che imponesse di rendere il fondo operativo fin da subito al 2025, ma nel testo finale i dettagli e le tempistiche sono state demandate ad una commissione che dovrà presentare una proposta concreta nella COP 28 di Dubai.
Le Parti hanno confermato l’impegno, in verità troppo generico, blando e senza scadenze, della limitazione dell’aumento della temperatura media globale a 1,5°C. La delusione per questa battuta d’arresto è stata, solo in parte, limitata dagli impegni presi in merito alla lotta ai cambiamenti climatici dagli Stati presenti al G20, che si è tenuto a Bali in contemporanea con la COP 27.
Non è stato preso un impegno serio e vincolante
sull’abbandono delle
fonti fossili, in particolare del carbone, né sul picco delle emissioni al 2025. In merito alla dismissione del carbone la COP 27 ha mantenuto la locuzione “phase-down” (cioè riduzione graduale) imposta dall’India nella COP 26 di Glasgow invece di un più deciso “phase-out” (cioè eliminazione del carbone come fonte energetica). Questa decisione è stata sicuramente condizionata dalla povertà energetica attuale dovuta alla invasione dell’Ucraina.
Del Fondo Verde per il Clima, con l’impegno a versare 100 miliardi all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad intraprendere un modello di sviluppo virtuoso, a basse emissioni, con energie rinnovabili e non fossili, non si è invece neppure accennato.

Il Fondo verde per il clima (Green Climate Fund, GCF) è un fondo globale istituito per reagire ai cambiamenti climatici e investire in uno sviluppo a emissioni ridotte e resiliente rispetto ai mutamenti in atto. Il Fondo tiene particolarmente conto delle esigenze dei Paesi in via di sviluppo, molto vulnerabili di fronte ai cambiamenti del clima.

I commenti

Chiaramente soddisfatto Samh Shoukry, presidente della COP 27, che ha ottenuto quello che l’Egitto voleva: il rafforzamento della leadership dei Paesi in via di sviluppo, l’approvazione storica del Loss&Damage e il mancato accordo sul picco fossile del 2025 che avrebbe messo in crisi la lobby del fossile alla quale appartiene.
Meno soddisfatto il Segretario dell’ONU Antonio Guterrez: “Accolgo con favore la decisione di istituire un fondo per le perdite e i danni. Tuttavia, il nostro pianeta è ancora al pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che la COP 27 non ha affrontato”
Decisamente deluso, invece, Frans Timmermans, il vicepresidente della Commissione Europea: “Siamo orgogliosi di aver contribuito a risolvere il problema del Loss and Damage ma sulla riduzione delle emissioni qui abbiamo perso una occasione e troppo tempo. La soluzione non è finanziare un fondo per rimediare ai danni ma investire le nostre risorse per ridurre drasticamente il rilascio di gas serra nell’atmosfera”.

Facciamo il punto con Antonello Pasini

È evidente come l’obiettivo della COP 27 si sia spostato dalla lotta, direi su base scientifica e tecnica, ai cambiamenti climatici alla politica finanziaria che, seppur sacrosanta, pensa di risolvere il problema solo pagando i danni senza pensare invece ad evitarli, specie quelli futuri. Insomma, due aspetti positivi che però non devono esser messi in antitesi.

Ho chiesto all’amico Antonello Pasini, fisico climatologo del CNR e docente di fisica del Clima all’Università di Roma Tre, esperto di riferimento del TG 1 e di altre testate, il suo parere sul documento finale stilato dalla COP 27, la cosiddetta Cover Decision, l’accordo maturato dopo una notte insonne e dopo aver sforato i tempi previsti per la conclusione della Convezione.
Vorrei ricordare che Antonello Pasini è l’autore, assieme a Grammenos Mastrojeni, del libro "Effetto serra, effetto guerra", che, per primo, ha indagato sulla correlazione fra i cambiamenti climatici e le guerre nel Terzo Mondo.

- Antonello, è stato finalmente introdotto il meccanismo del "loss and damage", secondo te come e perché può essere un aiuto alla lotta ai cambiamenti climatici?

- Questo meccanismo di risarcimento e' un segnale importante che si comincia a considerare seriamente il fattore delle diseguaglianze e della giustizia sociale, in quanto si riconosce che già in passato i paesi poveri e in via di sviluppo hanno subito danni ingenti per "colpa" di altri, cioè' dei paesi industrializzati. Ovviamente, però, il meccanismo è ancora solo abbozzato e non sarà' semplice giungere ad una versione operativa, demandata alla prossima COP 28 che si terrà a Dubai nel 2023.

- Non si è deciso nulla invece sul "Fondo verde per il clima" con i 100 miliardi per i Paesi in via di sviluppo, può essere un problema? che ne pensi?
- Certamente e' un problema. Questi soldi servono per l'adattamento (affinché i paesi poveri non continuino in futuro a subire i danni peggiori del riscaldamento globale) e in parte anche per favorire un loro sviluppo che non sia "fossile". Noi occidentali dovremmo capire che c’è una "bomba" demografica in questi paesi che vogliono giustamente eradicare la povertà, la malnutrizione, ecc., ma lo dovranno fare in maniera sostenibile per il pianeta! E senza il nostro aiuto non saranno in grado di farlo.

Mi sembra che si sia parlato più di finanza che di scienza e impegni concreti: sul tema della riduzione delle emissioni per mantenere la temperatura al di sotto dei 1.5 °C ci sono stati passi avanti o siamo ancora al "si dovrebbe, si potrebbe"?
Purtroppo, questo e' l'aspetto più negativo della COP27: ci si aspettava impegni più ambiziosi (richiesti lo scorso anno a Glasgow) da parte di tutti i paesi presenti, e invece, su quasi 200 paesi, solo una trentina li hanno presentati. Di questo passo ci scordiamo di mantenere la temperatura globale al di sotto di 1.5 °C rispetto alla temperatura preindustriale, con tutte le conseguenze del caso in termini di impatti.

-Grazie Antonello

A presto. E un saluto ai lettori di Ingenio.

Un passo avanti. Ma anche no. Ma forse sì

Da inguaribile ottimista propendo per il passo avanti. Magari piccolo, ma avanti. Innanzitutto perché in un momento in cui si sente vicina l’eco degli spari, l’avere un luogo di confronto in cui parlare e discutere civilmente mi sembra in ogni caso un segno positivo. Poi perché si è finalmente riconosciuta la responsabilità di coloro che, con il loro paradigma culturale ed economico, hanno messo a repentaglio la vita di miliardi di persone innocenti. Sono, invece, chiaramente deluso dal mancato accordo, vincolante, sulla transizione ecologica dal fossile alle rinnovabili da effettuare in tempi brevi, brevissimi. Comprare le medicine va bene ma è necessario, nel frattempo, curare il male in modo che questo non peggiori.
Ma ci sarà un’altra COP e questo, ritengo, è già un buon risultato.

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