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Distanze tra costruzioni ex articolo 9 DM 1444/68 e articolo 5 dello Sblocca Cantieri: effetti collaterali

Un'interessante riflessione sui collegamenti tra l'art.9 del DM 1444/68 che regolamenta le distanze tra costruzioni (o distanze in edilizia) e l'articolo 5 del Decreto Sblocca Cantieri

Abbiamo già ampiamente commentato le “innovazioni” dell’articolo 5 della legge cosiddetta “Sblocca Cantieri” (conversione dell’omonimo decreto legge) in materia di distanza tra pareti finestrate di edifici frontistanti (v. Ingenio: "Distanze degli edifici e dintorni nella legge sblocca cantieri"; "Decreto sblocca Cantieri: sulle distanze in edilizia tanto rumore per (quasi) nulla"; "Sblocca Cantieri: due suggerimenti sulle distanze tra costruzioni"; "Le distanze dell’articolo 9 del D.M. 1444/68: la metamorfosi di una norma") di cui abbiamo posto in evidenza la “singolarità” della metodologia con cui il Legislatore è intervenuto.

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La modalità dell’interpretazione autentica

Sì perché quelle che abbiamo or ora definito “innovazioni” non sono state apportate con una “modifica” del testo normativo, ma con una apparentemente più innocente “interpretazione autentica”.

Che è certamente metodica corretta (in astratto) che è di competenza dell’Organo che ha emanato la norma in parola e che ha lo scopo di meglio illustrarne la sua corretta interpretazione secondo la finalità originaria; chi meglio di chi ha emanato la norma sa che cosa voleva dire ?

Senza dubbio è Lui il più attendibile interprete.

In questo caso il “Lui” è addirittura il Parlamento, cioè l’organo primario cui compete legiferare (anzi l’unico perché gli “altri” possono legiferare solo su Sua delega).

A dire il vero qui la fonte normativa che viene interpretata è un decreto ministeriale e quindi il soggetto normatore cui dovrebbe competere l’interpretazione sarebbe il Ministero, ma siccome la giurisprudenza ha riconosciuto al decreto forza di legge, perché emanato su mandato dell’articolo 17 della legge ponte, non saremo certo noi a negare al Parlamento la competenza all’interpretazione.

La legittimità dell’intervento interpretativo ci pare dunque indiscutibile; l’opportunità merita qualche considerazione in più.

La discutibile opportunità del metodo

Infatti “est modus in rebus” dicevano i latini ed è evidente che un’interpretazione autentica di una norma giovane (magari di pochi mesi) ci sta e può essere opportuna – per orientare gli operatori – ma un ‘interpretazione “autentica” di una norma dopo cinquant’anni dalla sua emanazione  …. ci sta un po’ meno e fa nascere qualche perplessità e anche forse più problemi che certezze.

Perché nei suoi cinquant’anni di vita la norma – che in effetti qualche problematica interpretativa la presentava fin dall’origine – non è che non è stata interpretata: lo è stata eccome. Non ultima dalla Giurisprudenza.

Non dimentichiamo che il Giudice deve applicare le leggi, ma nel farlo, laddove si possano insinuare dubbi interpretativi (e gli operatori ben sanno che ciò si verifica anche troppo spesso), dà una Sua interpretazione alla legge. Oggi nessun tecnico muove più un passo se non è confortato dall’interpretazione giurisprudenziale.

Infatti proprio perché esposta a diverse possibilità interpretative, in questi cinquant’anni il Giudice ha ampiamente dato una Sua lettura del D.M. 1444/68 – come si è visto addirittura attribuendo a un decreto il rango di norma di principio civilistico di esclusiva competenza statale – e, a proposito dell’articolo 9, ha sempre ritenuto i commi 2 e 3 riferibili alla generalità delle “zone” (escluse le “A”) e non solo alle zone “C” come ci dice ora l’articolo 5, comma 1, lettera 1 bis della legge n. 55/2019 (la Sblocca Cantieri). Come abbiamo visto questo cambia, e non poco, le carte intavola.

Lettura che pareva ormai consolidata e fuori discussione.

Una singolare conflittualità (per così dire) istituzionale

Si profila così – e neanche tanto tra le righe – una conflittualità interpretativa tra due “Soggetti” (il Parlamento e il Giudice) entrambi legittimati a dare interpretazione, che sulla stessa norma danno una lettura opposta.

Se posso esprimere un’opinione personale, mi pare che quella data dal Giudice sia la più logica e coerente (almeno per come era scritta nel testo originario e ufficiale della Gazzetta).

Il che non mi pare che aiuti la chiarezza delle norme di cui – per un principio generale – non è ammessa ignoranza.

Perseguimento di finalità diverse da quelle originarie

Diciamoci la verità, la cosiddetta interpretazione autentica (che per di più costringe i redattori dei testi di legge a riportare in calce all’articolo l’annotazione di come si deve interpretare visto che il testo originario non muta) è di fatto una diversa stesura della norma che persegue finalità diverse da quelle originarie.

Che oggi sono quelle (dichiarate) della densificazione urbanistica mentre in origine erano l’esatto opposto.

Altro che interpretazione autentica !

Non era meglio allora riscrivere la norma per rispondere a queste nuove finalità diverse da quelle di cinquant’anni fa? Certamente legittime (come legittime erano quelle originarie) perché in cinquant’anni le cose cambiano e anche gli obiettivi?

Ho già detto in altra sede che non comprendo il timore reverenziale del Legislatore nei confronti di questo decreto al quale gira intorno senza il coraggio di cambiarlo (cosa di cui ha invece competenza esclusiva) di cui però, sotto sotto, indirettamente, riconosce la non attualità. Anche perché (soprattutto perché) la modalità con cui cambiare il significato di una norma tramite l’”interpretazione autentica” o la sua “riscrittura” non ha le stesse conseguenze.

Le conseguenze della retroattività

A parte lo sconcerto degli operatori (di cui ormai il Legislatore non si preoccupa più e che invece è elemento fortemente incidente sulla corretta applicazione e conseguente “efficacia” della norma) è bene dire che la riscrittura vale da quel momento in poil’interpretazione autentica (essendo la corretta lettura che fin dall’origine si sarebbe dovuto dare alla norma) ha effetto retroattivo.

Non dobbiamo allora pensare all’applicazione futura della norma (che si adeguerà alla innovativa “interpretazione”). In questi cinquant’anni la norma è già stata applicata (e in conformità alle risoluzioni giurisprudenziali - difformi dall’interpretazione oggi ritenuta “autentica”- ) ed è stata (e ancora attualmente è) fonte di diffuso contenzioso.

Il che vuol dire che:

  • il contenzioso concluso sulla base della interpretazione giurisprudenziale difforme da quella oggi data dalla legge Sblocca Cantieri avrebbe avuto siti opposti (il che non fa felici i contendenti soccombenti);
  • il contenzioso in corso (magari a cavallo dei vari gradi di giudizio) può ribaltarsi rispetto alle legittime previsioni basate sull’ormai costante giurisprudenza formatasi in precedenza.

Non ne guadagna la certezza del diritto.

Va bene il cambio di obiettivo e (conseguentemente) di norma, ma la sua applicazione deve dare certezze e non sconcerto, confusione e … nuovo contenzioso.


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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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