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Quale patto col diavolo avete stretto oggi?

Nell’incessante frastuono digitale del “troppo pieno” il dominio dell’inatteso, ha il potere di disperdere ogni empatia, giustificando richieste di performance che modellano il corpo e l’anima come il cuore. L’antico mito del Faust appare ancora perfettamente integro ed è capace di porre alla nostra coscienza (individuale e collettiva) le stesse domande fondamentali.

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Quale patto col diavolo avete stretto oggi?

“È perché sono riuscito ad introdurmi nella tua intimità”

Vieni dove il piacere ti aspetta.

Sarebbe un piacere pagato a caro prezzo.

Sarebbe una seducente dolcezza. Un’ingiusta schiavitù. La felicità. Atroce infelicità. Taci, taci: non una parola di più. Ora mi convinco che la gelosia crea fantasmi. Amo una donna. Ed è questo che definisci impossibile? Se tu sapessi chi è! Colei che i tuoi occhi vorranno, il tuo cuore l’avrà. Sei impallidito. Ormai penso che l’anima debba avere scarso valore se non mi dà in cambio la donna che amo. Il mio cuore, guarito dalla febbre del sapere, non dovrà, per innalzarsi, chiudersi a nessun dolore. Voglio godere, nel mio intimo io, ciò che la sorte ha concesso a tutta l’umanità. Adesso un tuo sguardo, una parola tua, interessano più di tutta la sapienza del mondo. Pensare, pensare…! Il pensiero rovina il piacere ed esaspera la pena. Di più non merita la tua ipocrita umiltà. E io saprò punirti. Ingannatelo con dolci immagini di sogno, calatelo in un mare di illusioni! Il labbro imperioso di una fascinatrice per abbeverarsi alla sorgente più dolce dei sensi. In quale incantesimo sono capitato… tutto palpita. Sembra dunque che siamo costretti a peccare…

Sono le variazioni sul mito di “Faust” a cura di Paolo Scarpi per la Marsilio editore. Dalla” Storia di san Cipriano e di Santa Giustina” di Eudocia Augusta a Johann Spies. Dalla “Tragica storia” di Marlowe a “Il Mago prodigioso” di Calderón de la Barca. Dal titanico “Faust” di Goethe alla graziosa ballerina Mefistofela del “Faust danzato” di Heine; fino al bellissimo “Mio Faust solitario” della fiaba drammatica di Valéry. Un indefinibile immenso mare in cui la leggenda del patto col diavolo trova, nella ricca introduzione di Scarpi, anche Bulgakov e Mann collegati al “Neo Faust” manga di Osamu Tezuka e Al Pacino de “L’Avvocato del Diavolo”, che ripercorrono i primi Faust di Méliès, Murnau e poi di René Clair.

Nel frastuono assordante del “troppo pieno” quotidiano il mito di Faust sembra ormai una favola per bambini. Ma non è così. Incessantemente stringiamo (desideranti) questo patto col diavolo che è in noi stessi.

In ogni accecante istantaneo si ripete il bisogno di riconoscersi dentro e fuori la gerarchia sociale che classifica peccatori e santi. La tendenza neotenica dell’eternamente giovane rende attualissimo il Faust (basta scorrere sui social l’abuso del ringiovanimento sistematico che si compie attraverso l’intelligenza artificiale in ogni scenario più o meno realistico).

E il dominio dell’inatteso (che disperde ogni empatia) giustifica richieste di performance che modellano il corpo e l’anima come il cuore. Faust è integro e pone ancora le stesse domande fondamentali. Leggetelo e ascoltatelo.

 

Giovanni Gastel. Faust o Faustina,
É una mia rielaborazione grafica di una famosa immagine del grande fotografo di moda Giovanni Gastel. Faust o Faustina, diavolo o diavolessa poco importa le immagini da sogno e il mare di illusioni definiscono il contesto in cui il “patto” si stringe. Basta scorrere immagini e video proposti con “obesa assuefazione” nei social più collettivamente partecipati, per comprendere come questo straordinario mito sia ancora freschissimo in ogni sguardo. (Marcello Balzani)

 


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Forma e dimensioni

In un mondo digitale dove basta muovere due dita per ingrandire o per ridurre tutto, dove è normale immaginare la scalatura infinitamente piccola o immensamente grande di ogni cosa, si perde la cognizione del ruolo del contesto. Il contesto non è solamente uno sfondo in cui le forme viventi si agitano. Il contesto ambientale rende possibile la vita nelle forme e nelle dimensioni che ci circondano.

Perché la forma e le dimensioni di un essere umano non sono connesse all’idea di ingrandirsi (come una statua) o di ridursi (come un soldatino)? Sembra un sogno quello strano “effetto Alice” o “effetto Gulliver” con cui ci piace giocare immaginando che le nostre proporzioni siano correlate alle dimensioni come in una “taglia” o attraverso una “scala”.

La verità è che la nostra forma e le nostre dimensioni (che tanto ci piacciono e ci identificano) vengono modellate (e misurate) dalla gravità, dalla viscosità delle membrane, dalla tensione superficiale… tutte forze fisiche che ci collegano all’ambiente per il quale ci siamo adattati ed evoluti. Appena la vita si ingrandisce un po’ ci si accorge che le forme delle zampe dell’elefante o la struttura della balena prendono il sopravvento. Quando ci riduciamo di qualche decina di volte le zampette di un insetto risultano le uniche possibile per muoversi in un questo nostro contesto ambientale. Capisco che il muovere due dita possa essere fantastico e che alcuni supereroi dei fumetti o del cinema degli effetti speciali ci abbia abituato a credere che il fattore dimensionale operi come una lenta di ingrandimento o di riduzione digitale da fotocopiatrice, ma tutto ciò non è possibile.

Sarebbe molto più interessante chiedersi incessantemente perché forma e dimensioni di ciò che ci appartiene di più caro e di ciò che ci circonda pulsante di vita esprima in quel modo (e unicamente in quel modo) la propria afferenza al contesto.

Meno poetico … ma sicuramente più biologicamente coerente.

 

Fotografia di Josef Koudelka su “Praga 1968”, ripresa in una recente mostra a lui dedicata all’Instituto Moreira Salles di San Paolo.
L’immagine è un mio scatto di una famosa fotografia di Josef Koudelka su “Praga 1968”, ripresa in una recente mostra a lui dedicata all’Instituto Moreira Salles di San Paolo. (Marcello Balzani)

  


Dalla rubrica «Marcello Balzani: tra Parola e Immagine»

C’è un numero che, più di altri, incarna l’idea di equilibrio e compiutezza: sei. È il primo numero perfetto, perché somma dei suoi divisori (1, 2, 3), ma è anche la metrica dell’esametro omerico, che ha guidato per secoli il racconto del viaggio, del mito, dell’umano.

A questo numero si ispira la struttura di “Perfetto Sei”, una rubrica che raccoglie i testi di Marcello Balzani come pensieri in cammino, intrecciati a immagini e citazioni che non illustrano, ma evocano, non spiegano, ma interrogano.

Il titolo è anche un gioco di specchi: si può leggere come “Sei perfetto”, allusione alla somiglianza divina dell’essere umano, fatto — secondo la tradizione — a immagine di Dio. Un invito, forse, a riscoprire nel frammento la traccia di un’armonia nascosta.

Ogni articolo della rubrica ospita progressivamente sei pensieri. Sei come unità compiuta, come sequenza che diventa ciclo. Quando l’articolo si completa, ne nasce uno nuovo. E ogni nuovo inizio si pone in cima alla serie, come il primo passo di un nuovo viaggio. L’intero progetto si dispiega così in una serie aperta di cerchi perfetti, ognuno con il proprio tema originario e la propria traiettoria di senso.

PERFETTO SEI

LINK alla PAGINA di PERFETTO 6

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