Il cambiamento climatico ci costringerà a cambiare casa ?
Negli Stati Uniti vengono spostate le case per cercare luoghi meno sensibili ai rischi idrogeologici dovuti ai cambiamenti climatici.Gli Stati e il governo federale stanno contribuendo. E in Italia cosa si sta facendo ?
Qualche giorno fa ho affrontato il tema della non assicurabilità degli immobili in alcune aree soggette a crescenti eventi catastrofici dal punto di vista meteorologico (Il cambiamento climatico sta cambiando le gestione del rischio e il ruolo delle assicurazioni).
Si tratta di uno degli effetti già visibili del cambiamento climatico in atto, ma non l’unico, anche perchè accadendo queste situazioni in aree occidentali, comincia ad essere evidente il rischio che il problema delle migrazioni conseguenti alla variazioni del clima potrebbe non essere più un problema solo per le aree critiche del pianeta come l’area subsahariana o il bangladesh.
Il cambiamento climatico è già iniziato, occorre tenerne conto
L'articolo di Manuela Andreoni pubblicato sul New York Times di questi giorni, intitolato "Moving out of harm's way", affronta proprio il tema degli effetti dei cambiamenti climatici sulle inondazioni e gli incendi, confermando l’opinione che questi fenomeni crescenti spingeranno un numero sempre maggiore di persone ad abbandonare le proprie case.
Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell'Università di Rice, che si sono concentrati sulle inondazioni, molti di coloro che negli Stati Uniti sono già stati costretti a spostarsi per sfuggire al pericolo, al momento non si sono allontanati molto dalle loro vecchie abitazioni.
Gli autori dello studio hanno analizzato i dati di migliaia di americani che si sono trasferiti dalle proprie case a causa del rischio di inondazioni tra il 1990 e il 2017, grazie a un programma gestito dall'Agenzia Federale per la Gestione delle Emergenze. Circa tre quarti di loro sono rimasti entro un raggio di 20 miglia dalle vecchie abitazioni.
L’autrice ha approfondito il rapporto con uno dei ricercatori, James R. Elliott, un sociologo che studia il recupero da catastrofi naturali dal passaggio dell'uragano Katrina sulla costa del Golfo nel 2005, per saperne di più sullo studio e su cosa i decisori politici possono imparare da esso.
La ragione per cui le persone rimangono vicine alle loro vecchie abitazioni nasce dalla considerazione del tipo "non posso immaginarmi vivere altrove".
Ma cosa significa realmente?
E si è scoperto che c'è un complesso insieme di fattori che legano le persone al luogo in cui si trovano, come le abitudini, gli spostamenti e le reti sociali.
Le persone si spostano a livello locale. Ma si stanno trasferendo in luoghi più sicuri?
Dall’articolo emerge è che, in media, le persone hanno effettivamente ridotto in modo significativo il rischio di inondazione, anche grazie a piccoli spostamento.
Resta però una domanda, che ci permette di allargare l’orizzonte anche a considerazioni locali, dal punto di vista finanziario, quante persone hanno le risorse per fare questo tipo di spostamenti e raggiungere questi obiettivi ?
Perchè il tema finanziario è ovviamente fondamentale.
Il problema territoriale
Sul piano della sicurezza in termini di prevenzione si è ragionato soprattutto per due diverse direzioni: micro, ovvero il miglioramento degli edifici, o macro, ovvero la messa in sicurezza dei territori attraverso un’ulteriore antropizzazione.
E questo approccio ha avuto tra gli ostacoli da superare proprio il problema dell’ulteriore azione di cambiamento dei territori. La pubblica opinione non coinvolta direttamente dal rischio si è sempre opposta a qualsiasi azione. Se c’è un’abitato in una zona a rischio si è cercato di incidere aumentando le opere di protezione idrauliche o geologiche, piuttosto che spostare le case.
In California è vietato costruire entro una certa distanza dalle faglie sismiche e dove è accaduto si stanno avviando dei piani di demolizione/ricostruzione. Da noi si erogano dei fondi che non è obbligatorio utilizzare per edifici a rischio, scaricando la responsabilità su chi vive in essi, e probabilmente vive gli stessi dubbi evidenziati dal rapporto americano.
A Faenza, a Forlì, nelle altre cittadine romagnole, così come è accaduto nelle Marche, sono state le case dei centri storici, vicine ai fiumi, e sotto il livello degli stessi, ad avere i problemi principali. E’ normale, queste città sono state costruite proprio dove passavano i fiumi, perchè erano l’elemento fondamentale per lo sviluppo sociale degli abitati. Ora questo è un problema.
Abbiamo dato la colpa ai rami non raccolti nei letti dei fiumi, alle nutrie che hanno indebolito gli argini, ma al crescere della consistenza degli eventi climatici la domanda che dovremo porci e quanto dovremo investire in rafforzamento crescente delle protezioni e quanto, invece, nel ricostruire città più resilienti.
Si tratta di temi complessi, su cui forse è arrivato il momento di riflettere anche a livello nazionale.
Un dibattito che deve essere avviato con il contributo dei tecnici.
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