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L’affaticamento sul lavoro, un vero campanellino d’allarme!!

Per ridurre l'affaticamento sul lavoro è necessario evitare le situazioni organizzative che generano o aumentano gli errori.

Sicurezza e affaticamento

La parola sicurezza è senza dubbio connessa alla parola affaticamento, ingrediente spesso nascosto nella valutazione dei rischi, che rende l’errore più probabile, andando a costituire la causa radice dell’evento infortunistico.

Le caratteristiche della situazione di lavoro e l’organizzazione influenzano infatti fortemente l’attività che vi si svolge anche in termini di sicurezza. Evitare le situazioni organizzative che generano o aumentano gli errori rimane quindi una priorità della progettazione dei sistemi di lavoro e dell’impianto prevenzionistico.


Facciamo un esempio

È venerdì, un venerdì qualsiasi; uno di quelli che si succede nello scorrere incessante del tempo. La giornata sta per volgere al termine. Gli uffici sono ormai quasi vuoti e gli addetti dell’impresa di pulizie sono al lavoro, appropriandosi pian piano degli spazi.

Un operaio presente sale su una scala a pioli per effettuare la pulizia di una vetrata, l’ultima da pulire prima di terminare la sua giornata lavorativa. L’operaio ha ormai un solo traguardo da raggiungere, quell’ultimo vetro da pulire. Quando si effettua un lavoro così ripetitivo, si pensa che ogni azione sia uguale a quella che si è precedentemente compiuta, non curanti della fatica accumulata ma, prima o poi, la stanchezza arriva e rende ogni gesto sempre più difficile, come il sollevamento e lo spostamento del materiale necessario per le pulizie. All’improvviso, un tonfo cupo e l’uomo si ritrova disteso a terra con gravi lesioni non certamente guaribili in pochi giorni.

L’utilizzo della scala, e la concezione semplicistica di un attrezzo di uso comune, non fa notizia perché nella quotidianità non è considerata una tra le principali fonte di rischio, ma non è così! Infatti, secondo le statistiche dell’ultimo triennio una altissima percentuale di coloro che cadono da una scala si rompono il femore.

Ma è solo questione di percezione di rischio?

Oppure vi sono elementi aggravanti che spesso possono diventare una componente essenziale della primordiale fonte di rischio? Proprio in questo caso specifico, il giudice individua un nesso eziologico infortunistico sottostante che apre nuovi scenari, non legati esclusivamente a fattori tecnici e formativi (conformità dell’attrezzatura, manutenzione, formazione/addestramento all’uso, etc.), ma connessi all’organizzazione del lavoro.

 

Le “cause radice” di un infortuno

Dunque, quando parliamo di analisi dei rischi, dovremmo anche pensare e ricercare le “cause radice” (root cause analysis), le ragioni sottostanti di un evento infortunistico che, come in questo caso, potrebbero ricondurre all’affaticamento fisico e mentale? La stanchezza potrebbe compromettere la lucidità mentale e portare al cosiddetto affaticamento biomeccanico, soprattutto se in effetto sinergico con un più ampio cahier de doléances dei rischi? È pertanto necessario considerare nella valutazione dei rischi la differenza di condizione fisica e mentale ad inizio e a fine giornata lavorativa nelle attività di una pulizia di una vetrata?

Questi interrogativi ci dovrebbero sempre portare alla complessa struttura dei singoli aspetti che hanno scatenato gli eventi avversi (infortuni o mancati infortuni), sulla dietrologia delle cause che hanno determinato i fatti, per comprenderle ma ancor più per prevenirne il ripetersi.

Solo conoscendo tutte le cause di un incidente, si possono poi adottare misure di prevenzione e protezione efficaci e idonee ad evitare un’ampia serie di episodi infortunistici comportamentali.  Se non si individuano le condizioni latenti di errore, le barriere difensive presenteranno sempre delle imperfezioni consentendo ai buchi di Reason (NOTA1) di allinearsi, innescando l’azione che porta all’incidente. Nelle statistiche infortunistiche, invece, gli eventi sono comunemente ricondotti alla sola “componente più lampante”, che riporta più comunemente all'episodio violento e non a tutti i fattori organizzativi “nascosti”, che possono emergere solo dietro una più attenta analisi della dinamica.

 

L’affaticamento, come campanellino d’allarme per evitare infortuni sul lavoro

 

Le cause organizzative di un infortunio

Appare quindi evidente come sia fondamentale, in termini antinfortunistici, la ricerca anche delle cause organizzative legate al fattore umano, più difficili da analizzare e spesso penalizzate nell’analisi in favore dei soli aspetti tecnico-ingegneristici, in un approccio che sovverte le vecchie visioni della sicurezza e richiede di focalizzarsi sulle persone, al passo con i nuovi fattori di rischio connessi anche, ma non solo, all’organizzazione del lavoro. Sono diverse le inchieste svolte negli anni nelle quali l’affaticamento risulta il fattore principe scatenante o, comunque, la concausa determinante degli eventi infortunistici. 

 

la concausa determinante degli eventi infortunistici


Dai dati si evince come gli eventi sono i più vari e che non vi è realmente un’attività che può esserne priva. La stanchezza accumulata, l’orario di lavoro, la turnazione, sono tutti aspetti comuni e scatenanti in questi incidenti; molti dei quali avvenuti nel mezzo della notte o al mattino presto, quando i lavoratori affaticati erano ancora impegnati nelle attività. 

 

Organizzazione del lavoro e stanchezza

Ed è ormai appurato che esiste una diretta correlazione tra gli aspetti dell’organizzazione del lavoro (lavoro notturno, pause, carico, ritmo, eccessivo sforzo psicomotorio, sovraccarico intellettivo o monotonia, esecuzione prolungata di compiti eccessivamente meccanici, iper-stimolazione sensoriale, lavori automatici complessi, responsabilità, gestione di grandi mole di dati, domanda emotiva elevata, etc..) e la stanchezza fisica e mentale, che costituiscono un campanellino d’allarme sia per i sintomi di stress lavoro-correlato che per la probabilità di incidenti ed infortuni sul lavoro. Ma cosa accade all’individuo in questi casi? Il suo cervello non è nello stesso status biologico alle 3 del pomeriggio o alle 3 del mattino, ricercando un equilibrio nell’attivazione di meccanismi fisiologici differenti. Proprio quando si pensa di essere stanchi, l’uomo mobilita più risorse per cercare di arrivare allo stesso risultato. La fatica muscolare rende l’impoverimento delle risorse energetiche interne al muscolo in una circolazione sanguigna insufficiente per evacuare gli scarti ed apportare il glucosio e l’ossigeno necessari allo svolgimento delle proprie attività. La fatica nervosa si manifesta come l’impossibilità per il sistema nervoso di mantenere il trattamento dell’informazione allo stesso ritmo. La stanchezza porta a mettere in gioco un maggior numero di risorse per ottenere lo stesso risultato anche se, in un primo tempo, la fatica non è cosciente. Le capacità ne sono colpite ma la persona non se ne rende conto. Questa fase “incosciente” della fatica è particolarmente critica dal punto di vista della sicurezza e può causare un aumento degli errori e delle omissioni, con la conseguente diminuzione della percezione di quanto si sta svolgendo. Solo se la fatica viene percepita, si potranno eventualmente mettere in atto delle strategie per gestirla.

La stanchezza fisica e mentale

Possiamo dunque certamente affermare che la stanchezza fisica e mentale diminuisce le capacità di reazione ed è strettamente collegata alla maggiore probabilità di commettere errori e dunque di creare situazioni potenzialmente insicure in ogni settore, partendo dalle attività di pulizia e di manutenzione, dove in molti casi operai e tecnici si trovavano, anche soli, a lavorare molte ore al giorno, concentrando alcune attività pericolose in orari e giornate di fermo produttivo, fino ad arrivare al mondo dell’agricoltura e delle costruzioni.

Se pensiamo proprio al comparto dell’edilizia, che è considerato uno dei settori maggiormente a rischio di infortunio lavorativo, è lapalissiano come l’esposizione prolungata contemporanea a condizioni avverse, quali: la movimentazione di attrezzature pesanti ed ingombranti, il lavoro in altezza, l’utilizzo simultaneo di DPI, l’eccessivo rumore e le condizioni microclimatiche  ambientali sfavorevoli, che rappresentano importanti fattori di rischio per questa categoria di lavoratori, possa indurre nel lavoratore la comparsa di stress fisico e psicologico e ridurre la soglia dell’attenzione. 

In aggiunta a queste attività vi sono tutti i servizi che offrono disponibilità 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, che si stanno progressivamente estendendo a un sempre crescente numero di attività. 

La stanchezza fisica e mentale


Dunque, l’affaticamento sul lavoro è positivamente correlato al maggiore rischio di infortunio e aggrega differenti aspetti, sia per livelli di intensità che per dimensione, regolarmente sottovalutati o, meglio, non valutati da parte del datore di lavoro. 

L’affaticamento quindi è senza dubbio un assente ingiustificato nei documenti di valutazione del rischio, nonché nelle fonti bibliografiche di medicina del lavoro, probabilmente per una difficoltà che nasce dalla mancanza di espliciti dati oggettivi negli ambienti lavorativi, di misure del carico di lavoro universalmente accettate, nonché per la difficoltà che deriva dall’incidenza di fattori soggettivi, influenzati anche da caratteristiche quali: genere, lingua, cultura, età dei lavoratori.

Alcuni tentativi sono stati realizzati per misurare la fatica fisica e mentale attraverso l’utilizzo di fattori soggettivi (ad esempio, somministrando ai lavoratori check list o questionari) o fisiologici (esempio: misurando frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, sudorazione e contrazione muscolare) o comportamentali (esempio analizzando il numero di movimenti eseguiti in un arco di tempo dato, la durata e frequenza degli sguardi diretti verso fonti di informazioni visive, etc.), ma questo non ha risolto le difficoltà di individuazione e di valutazione del rischio sul lavoro. In ogni modo ciò non può costituire un alibi dietro cui nascondersi, ma deve essere uno stimolo per riflessioni nuove, che escano dagli schemi mentali convenzionali.

Saper conoscere e valutare le condizioni organizzative che causano affaticamento mentale, fisico, sociale e motivazionale, consente di poter ridurre il rischio affaticamento attraverso l’adozione di specifiche misure di prevenzione (orario di lavoro, pause, ferie, tempi di recupero, rotazione di mansioni differenti, formazione, addestramento, etc.), che potrebbero migliorare la mitigazione di tale rischio, contribuendo così a minimizzare il degrado delle prestazioni e gli errori umani, riducendo la probabilità di incidenti gravi.

In questo, particolare attenzione andrà prestata alle situazioni in cui gli operatori non sono nella loro condizione “normale”, ad esempio quando la durata del lavoro è stata inabituale o dopo aver gestito situazioni straordinarie, che hanno richiesto l’utilizzo eccessivo di risorse. Le imprese spesso sono impreparate in questo, non disponendo, al loro interno, di competenze nell’ambito dei fattori umani ed organizzativi. 

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