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La richiesta di condono non blocca i canoni sull’occupazione di suolo pubblico

Il condono edilizio e le autorizzazioni di occupazione di suolo pubblico, sono due procedimenti autonomi e non intercambiabili. Con il condono si vogliono sanare irregolarità e ripristinare la legalità delle opere realizzate, senza tuttavia autorizzare comportamenti scorretti o elusivi delle norme. La Corte di Cassazione chiarisce che la richiesta di condono edilizio non sospende o esenta dal pagamento dei canoni per l’occupazione abusiva di suolo pubblico. Infatti, l’occupazione illegittima di aree demaniali o comunali, ancorché in presenza di istanze di condono per strutture realizzate su tali aree, debba essere affrontata separatamente e con le dovute autorizzazioni.

La distinzione tra condono edilizio e autorizzazioni di occupazione di suolo pubblico

Il condono edilizio, pur con tutte le sue criticità, nasce con un fine ben preciso, offrire la possibilità di sanare errori e irregolarità nate nel tempo e ristabilire una legalità infranta. Tuttavia, è bene sottolineare che il condono non deve diventare una scorciatoia per giustificare comportamenti scorretti o per eludere il rispetto delle regole.
Quando si parla di occupazione di suolo pubblico, si intende invece l’uso di uno spazio destinato alla collettività. Questa occupazione riguarda non solo il suolo, ma anche lo spazio sopra o sotto di esso, e può interessare aree comunali o anche aree private su cui esiste un diritto di passaggio pubblico.

Ogni Comune stabilisce, con un proprio regolamento, definisce il canone da pagare, prevedendo anche regole diverse a seconda del tipo dell’area interessata.

L’occupazione del suolo pubblico si differenzia dalla concessione in quanto:

  • l’occupazione prevede un utilizzo temporaneo del suolo;
  • la concessione di suolo pubblico si ha quando l’occupazione è permanente o di lunga durata.

Chiarito ciò bisogna sottolineare che la sanatoria di un abuso edilizio non implica automaticamente la legittimazione dell’occupazione del suolo pubblico, la quale richiede autonome autorizzazioni e il corretto assolvimento degli oneri previsti dalla legge.

Questa distinzione è fondamentale per garantire un equilibrio tra il diritto alla regolarizzazione delle costruzioni e la tutela degli interessi pubblici, elemento imprescindibile per la gestione sostenibile e ordinata del territorio.
Il caso dell’ordinanza della Corte di Cassazione n.30406/2025, pone l’attenzione sull’occupazione del suolo pubblico, chiarendo che il condono edilizio, anche se pendente, non giustifica né sospende il pagamento del canone per l’occupazione abusiva del suolo pubblico, essendo la sanatoria edilizia e la concessione dell’uso del suolo sono due procedimenti distinti e autonomi.

 

Il condono edilizio non esonera dal pagamento di canoni per suolo pubblico

La Corte di Cassazione ha finalmente chiuso una lunga vicenda che ha visto contrapposti il Comune di Ischia e la società ricorrente in merito all’occupazione di una porzione di suolo.
L’origine del contenzioso riguarda un’ingiunzione di pagamento avanzata dal Comune a titolo di indennità per l’occupazione abusiva di un’area di circa 400 metri quadrati.

La società aveva costruito in area demaniale e in seguito presentato domanda di condono, credendo che l’istanza potesse legittimare l’opera e si conseguenza anche la proprietà del terreno demaniale su cui giaceva, esonerandola dal pagamento dell’occupazione.

La società ricorrente, aveva inizialmente ottenuto una sentenza favorevole dal Tribunale di Napoli, che aveva escluso l’abusività dell’occupazione, ritenendo sufficiente il pagamento regolare di un canone annuo e la presentazione di istanze di sanatoria.

Il Comune è riuscito a ottenere una parziale revisione della decisione in Corte d’Appello, la quale ha accertato che solo una parte dell’area era legittimamente occupata, mentre la restante superficie risultava priva di qualsiasi titolo autorizzativo, e quindi abusivamente detenuta.

La Corte ha specificato che la cosiddetta terrazza 3 era completamente sprovvista di titolo edilizio e mai oggetto di istanza di sanatoria, mentre per la terrazza 2 era stata presentata nel 2004 una domanda di condono, ma mai definita.
Nella sentenza della Corte d’Appello si evidenzia anche che qualora la società avesse chiesto il condono edilizio di tutte le opere, questo non sarebbe stato comunque sufficiente a bloccare le richieste del Comune. Il problema non era solo edilizio, ma di una vera e propria occupazione di fatto del suolo comunale. E siccome usare senza permesso un’area del Comune è una questione separata dalle infrazioni edilizie, il condono non poteva fermare le richieste economiche addotte dal Comune.

Di contro, la società ha presentato ricorso alla Cassazione, sostenendo che, siccome aveva chiesto il condono, il Comune non poteva avanzare pretese economiche. Inoltre aveva ribadito di aver già pagato delle somme negli anni passati e che queste dovevano essere sottratte da quanto richiesto o addirittura considerate sufficienti a saldare quanto dovuto.

La Suprema Corte respinge totalmente il ricorso evidenziando che “(…) la richiamata sospensione era limitata alle sanzioni per abusi edilizi, mentre nel caso concreto si controverteva di occupazione di fatto di demanio comunale e della debenza del corrispondente canone, ossia di un procedimento autonomo e indipendente rispetto a quello avente ad oggetto sanzioni per abusi edilizi (…). Come correttamente affermato dalla Corte di merito, che ha rimarcato lo specifico oggetto della suddetta pretesa e quindi del contendere, non si verte affatto in ambito di poteri sanzionatori del Comune e relativi provvedimenti e le norme invocate in ricorso sono del tutto inconferenti, così come lo sono le deduzioni, tra l’altro espresse in modo non lineare e chiaro, circa l’asserito consenso implicito del Comune a consentire la disponibilità dell’area e circa la rilevanza della sanatoria edilizia chiesta nel 2004, mai perfezionata secondo quanto espone la stessa ricorrente e, peraltro, non solo concernente bene demaniale, come stigmatizzato dalla Corte territoriale, ma anche riguardante solo la limitata porzione di mq. 44,33”.

La società non ha dimostrato con prove chiare e precise perché la sentenza della Corte d’Appello fosse sbagliata, ne ha spiegato bene quando, come e perché avrebbe fatto dei pagamenti che voleva far valere per compensare il debito. La questione non riguarda una multa per lavori edilizi fatti senza permesso, ma il pagamento dovuto perché la società stava usando senza autorizzazione un’area pubblica del Comune.

Per questo motivo, le leggi sul condono edilizio, richiamate dalla società, non sono rilevanti in questo caso.

L’occupazione abusiva di aree demaniali non può essere tollerata né giustificata da condoni edilizi, poiché il bene pubblico costituisce patrimonio di tutti i cittadini. Pertanto, il condono edilizio, che per sua natura mira a sanare abusi edilizi solo a determinate condizioni, non può costituire una deroga al pagamento dei canoni per l’occupazione di suolo pubblico, né deve indurre a bypassare la necessità di altre autorizzazioni.

 

L'ORDINANZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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L’articolo nella sua forma integrale è disponibile attraverso il LINK riportato di seguito.
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