Oltre il DM 560/2017? Opportunità e Incognite della Digitalizzazione
Un articolo di Angelo Luigi Camillo Ciribini
Qual’è oggi, sulla scena internazionale, il messaggio di maggior rilievo che riguarda la digitalizzazione?
Il fatto che essa, pur essendo, ineludibile, non comporti necessariamente conseguenze positive, che la prevalenza della dimensione numerico-computazionale comporti una difficile dialettica tra «verità» e «potere», vale a dire che essa implichi la capacità di influenzare le preferenze e i comportamenti dei soggetti sul mercato secondo modalità più o meno condivisibili e trasparenti.
In altre parole, è sempre più evidente che esistano forme di «buona digitalizzazione» e forme di «cattiva digitalizzazione», o meglio di digitalizzazione consapevole e inconsapevole.
Per quanto riguarda il settore della costruzione e dell’immobiliare nel nostro Paese la sensazione è, francamente, che queste ultime forme possano, infine, prevalere.
La ragione più immediata da comprendere per questo eventuale fenomeno è, anzitutto, l’improvvisazione di molti soggetti, talora persino improbabili, che si propongono sotto differenti vesti agli operatori, attraverso gli strumenti anziché i metodi, allettati dalla crescente popolarità del tema, ma quella più profonda si deve all’assenza di una vera e propria politica industriale in argomento.
Lo stesso decreto ministeriale 560/2017, indirizzato alla Domanda Pubblica, a prescindere dai rilievi formulati su di esso dal Consiglio di Stato, forse annoverabili meramente nel cerchio delle tecnicalità giuridica, oltre che essere stato a lungo da molti letteralmente ignorato (nel senso di non letto), inizia a essere disatteso, in assenza del corrispondente decreto attinente alla qualificazione delle stazioni appaltanti e in mancanza di un quadro sanzionatorio.
Quel che è peggio, tuttavia, a proposito di disattendimento, è che, in alcuni casi, le amministrazioni pubbliche si preoccupano effettivamente dei risvolti della inadempienza su un piano puramente formale, per tema di contenziosi innescato dalle controparti, incaricando soggetti terzi di predisporre documenti, come il capitolato informativo (non già secondo la sequenza processuale prevista dalle norme UNI EN ISO 19650) e di selezionare sistemi di gestione documentale, impropriamente definiti ambienti di condivisione dei dati.
È palese, perciò, che del carattere sistemico dei processi digitali (ben esplicitati negli obblighi di investimento organizzativo, formativo e strumentale contenuti nell’art. 3 del DM 560/2017) poco o nulla si sia non di rado compreso né pare che vi sia un’ansia impellente di farlo.
Non sembra, inoltre, che il quadro proposto dalla Domanda Privata sia troppo differente né maggiormente omogeneo.
E, più in generale, le innovazioni avanzate da ConTech e da PropTech appaiono già sin d’ora puntuali e sparse, senza un autentico fil rouge che le tenga assieme.
A fronte di ciò, al netto di exempla forniti da alcune strutture di committenza e di promozione, peraltro poco emulate, sta, ovviamente, un relativamente ristretto numero di esponenti della Offerta Privata, professionale e imprenditoriale, che traggono oggettivamente beneficio dai lodevoli sforzi intrapresi, ma che spesso constatano una sostanziale indifferenza, da parte dei loro interlocutori contrattuali, nel conferimento di valore aggiunto offerto da una accresciuta maturità digitale.
Senza il riconoscimento di valore, connesso pure alla mitigazione del rischio, la digitalizzazione sembra essere, infatti, un passaggio svalutato originariamente, più un orpello retorico che altro.
Naturalmente, come logica derivazione da questa situazione, la condizione di inconsapevolezza digitale dei diversi livelli delle catene di fornitura è pervasiva, vanificando molte richieste presenti nei requisiti informativi di capitolati, troppo sovente, a loro volta, analogici e documentali.
Di là della eventuale azione della commissione di monitoraggio contemplata dal decreto ministeriale, emerge con chiarezza che, accanto alla politica industriale, serva l’opera di agenzia, abbisogni mettere a disposizione degli attori indirizzi e riferimenti sicuri e, il più possibile, scevri di conflitti di interessi.
È questa, del resto, la strategia comune alla maggior parte degli Stati Membri dell’Unione Europea, indipendentemente dalla stato di cogenza.
Regge qui molto bene l’analogia con la digitalizzazione con la quale sono alle prese gli adolescenti secondo cui sia assolutamente necessario procurare loro una preparazione sul coding e una cultura dei dati, del tutto inutile provvederli di smartphone o di altri dispositivi senza il viatico opportuno.
È, infatti, responsabilità delle persone (umilmente) competenti, come, appunto, ricordava Mario Draghi in altro contesto recentemente, assumersi l’onere di orientare correttamente il settore, il comparto e il mercato, alle prese con l’avvio della transizione digitale, affinché non li si consegni nelle mani improvvide della etero-direzione, non si creino loro diseconomie e disfunzionalità, non li si conduca a una insensata rincorsa ai paradigmi manifatturieri, bensì si colloqui con i settori economici più avanzati digitalmente con pari dignità sulla scorta della propria specificità.
Occorre comprendere che non sia sufficiente allineare le rappresentanze della filiera in modo irenico, ma scarsamente operativo, che sia giunta l’ora di proporre agli operatori una coraggiosa e precisa strategia industriale che non nasconda l’impossibilità di procedere senza un riassetto non indolore del mercato, la cui natura risulta troppo antagonistica ed eccessivamente parcellizzata per procedere oltre con efficacia.
Occorre un approccio sistemico che non si riduca al livello tecnologico, che sia cosciente che il piano culturale, il piano giuridico, il piano gestionale, siano i fattori abilitanti primi.
Questa è la sfera più propria della politica, del governo della complessità che è manifestata dalle sfide circolari, climatiche, sostenibili.
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